Quirinale: il Presidente della Repubblica rinvia alle Camere il Collegato Lavoro
Il Presidente della Repubblica non ha firmato il disegno di legge (c.d. Collegato Lavoro) alla manovra finanziaria (DDL 1167-B) e lo rinvia alle Camere per le opportune modifiche.
Il testo integrale del messaggio del
Presidente Napolitano alle Camere
"Onorevoli Parlamentari,
mi è stata sottoposta, per la promulgazione, la legge recante: "Deleghe al
Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di
incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di
controversie di lavoro".
Il provvedimento, che nasce come stralcio di un disegno di legge collegato alla
legge finanziaria 2009 (Camera n.1441-quater), ha avuto un travagliato iter
parlamentare nel corso del quale il testo, che all'origine constava di 9
articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si è
trasformato in una legge molto complessa, composta da 50 articoli e 140 commi
riferiti alle materie più disparate.
Questa configurazione marcatamente eterogenea dell'atto normativo - che risulta,
del resto, dallo stesso titolo sopra riportato - è resa ancora più evidente da
una sia pur sintetica e parziale elencazione delle principali materie oggetto di
disciplina: revisione della normativa in tema di lavori usuranti,
riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e dal Ministero della salute, regolamentazione della Commissione per la
vigilanza sul doping e la tutela della salute nelle attività sportive, misure
contro il lavoro sommerso, disposizioni riguardanti i medici e professionisti
sanitari extracomunitari, permessi per l'assistenza ai portatori di handicap,
ispezioni nei luoghi di lavoro, indicatori di situazione economica equivalente,
indennizzi per aziende in crisi, numerosi aspetti della disciplina del pubblico
impiego (con conferimento di varie deleghe o il rinvio a successive disposizioni
legislative), nonché una ampia riforma del codice di procedura civile per quanto
attiene alle disposizioni in materia di conciliazione e arbitrato nelle
controversie individuali di lavoro.
Ho già avuto altre volte occasione di sottolineare gli effetti negativi di
questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle
disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del
diritto; nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo, per la
impossibilità di coinvolgere a pieno titolo nella fase istruttoria tutte le
Commissioni parlamentari competenti per ciascuna delle materie interessate. Nel
caso specifico l'esame referente si è concentrato alla Camera nella Commissione
lavoro e al Senato nelle Commissioni affari costituzionali e lavoro, mentre, ad
esempio, la Commissione giustizia di entrambi i rami del Parlamento ed anche la
Commissione affari costituzionali della Camera sono intervenute esclusivamente
in sede consultiva e non hanno potuto seguire l'esame in Assemblea nelle forme
consentite dai rispettivi Regolamenti. Tali inconvenienti risultano ancora più
gravi allorché si intervenga, come in questo caso, in modo novellistico su
codici e leggi organiche.
Ciò premesso - con l'auspicio di una attenta riflessione sul modo in cui
procedere nel futuro alla definizione di provvedimenti legislativi, specialmente
se relativi a materie di particolare rilievo e complessità - sono indotto a
chiedere alle Camere una nuova deliberazione sulla presente legge dalla
particolare problematicità di alcune disposizioni che disciplinano temi di
indubbia delicatezza sul piano sociale, attinenti alla tutela del diritto alla
salute e di altri diritti dei lavoratori: temi sui quali - nell'esercizio del
mio mandato - ho ritenuto di dover richiamare più volte l'attenzione delle
istituzioni, delle parti sociali e dell'opinione pubblica.
Intendo qui riferirmi specificamente all'articolo 31 che modifica le
disposizioni del codice di procedura civile in materia di conciliazione ed
arbitrato nelle controversie individuali di lavoro e all'articolo 20 relativo
alla responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta
la sua opera sul naviglio di Stato. Su di essi sottopongo alla vostra attenzione
le considerazioni ed osservazioni che seguono.
1. L'articolo 31, nei primi nove commi, che ne costituiscono la parte più
significativa, modifica in modo rilevante la sezione prima del capo primo del
titolo quarto del libro secondo del codice di procedura civile, nella parte in
cui reca le disposizioni sul tentativo di conciliazione e sull'arbitrato nelle
controversie individuali di lavoro (artt. da 409 a 412-quater del codice di
procedura civile), introducendo varie modalità di composizione delle
controversie di lavoro alternative al ricorso al giudice. Apporta inoltre, negli
ultimi sette commi, una serie di modifiche al decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, dirette a rafforzare le competenze delle commissioni di
certificazione dei contratti di lavoro.
La introduzione nell'ordinamento di strumenti idonei a prevenire l'insorgere di
controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalità di definizione può
risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito
aperto: ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni siano
pienamente coerenti con i princìpi della volontarietà dell'arbitrato e della
necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.
Entrambi questi princìpi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce
dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la
illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio
all'arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire
deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della
giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti
i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai
rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere
contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la
"effettiva" volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora
una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti
del lavoratore in sede giurisdizionale. Questa linea giurisprudenziale, ripresa
e sviluppata dalla Corte di Cassazione, ha condotto a far decorrere la
prescrizione dei crediti di lavoro nei rapporti privi della garanzia della
stabilità dalla cessazione del rapporto. Ciò in analogia con quanto previsto
dall'art. 2113 del Codice civile in ordine alla decorrenza del termine per
l'impugnazione di rinunce e transazioni che abbiano avuto ad oggetto diritti del
prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei
contratti collettivi (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 63 del
1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972, n. 127 del 1977, n. 488 del 1991, nn.
49, 206 e 232 del 1994, nn. 54 e 152 del 1996, n. 381 del 1997, n. 325 del 1998
e n. 221 del 2005).
Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la
previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad
arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in
costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento
della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola
compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel
quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione
di lavoro.
Del resto l'esigenza di verificare che la volontà delle parti di devolvere ad
arbitri le controversie sia "effettiva" risulta dalla stessa formulazione del
comma 9, che affida tale accertamento agli organi di certificazione di cui
all'art. 76 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003. Garanzia che
peraltro non appare sufficiente, perché tali organi - anche a prescindere dalle
incertezze sull'ambito dei relativi poteri, che scontano più generali difficoltà
di "acclimatamento" dell'istituto - non potrebbero che prendere atto della
volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una
fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto
una ovvia condizione di debolezza.
Ulteriori motivi di perplessità discendono dalla circostanza che, ai sensi della
nuova formulazione dell'art. 412 del codice di procedura civile contenuta nel
comma 5 dell'art. 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello
stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la
"richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali
dell'ordinamento".
Come è noto, nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in
deroga alle disposizioni di legge: si incide in tal modo sulla stessa disciplina
sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche al
livello del rapporto individuale. Né può costituire garanzia sufficiente il
generico richiamo del rispetto dei principi generali dell'ordinamento, che non
appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti
indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e comunque un
aspetto così delicato non può essere affidato a contrastanti orientamenti
dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili di alimentare contenziosi che la
legge si propone invece di evitare. Perplessità ulteriori suscita la estensione
della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di
pubblico impiego: in tal caso è particolarmente evidente la necessità di
chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di buon
andamento, trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa sanciti
dall'art. 97 della Costituzione.
Del resto un arbitrato di equità può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile
solo a patto di muoversi all'interno di uno spazio significativo ma circoscritto
in limiti certi e condivisi. In sostanza l'obiettivo che si intende perseguire è
quello di una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di
lavoro, che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o
comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva. E in
effetti l'esigenza di una maggiore flessibilità risponde a sollecitazioni da
tempo provenienti dal mondo dell'imprenditoria, alle quali le organizzazioni
sindacali hanno mostrato responsabile attenzione guardando anche alla
competitività del sistema produttivo nel mercato globale. Si tratta pertanto di
un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere
esplicitato e precisato, non potendo essere semplicemente presupposto o affidato
in misura largamente prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione
equitativa delle controversie, assecondando una discutibile linea di intervento
legislativo - basato sugli istituti processuali piuttosto e prima che su quelli
sostanziali - di cui l'esperienza applicativa mostra tutti i limiti.
Il problema che si pone è dunque quello di definire - nelle sedi dovute e in
primo luogo nel Parlamento - in modo puntuale modalità, tempi e limiti che
rendano il ricorso all'arbitrato - nell'ambito del rapporto di lavoro - coerente
con la necessità di garantire l'effettiva volontarietà della clausola
compromissoria e una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore
(da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente
non negoziabili). Si tratta cioè di procedere ad adeguamenti normativi che vanno
al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti
del licenziamento dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori.
A quest'ultimo proposito lo scorso 11 marzo la maggior parte delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese si è impegnata a
definire accordi interconfederali che escludano l'inserimento nella clausola
compromissoria delle controversie relative alla risoluzione del rapporto di
lavoro ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è a sua volta
impegnato a conformarsi a tale orientamento negli atti di propria competenza. Ma
pur apprezzando il significato e il valore di tali impegni, decisivo resta il
tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e
contratto individuale. Solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni
perché possa considerarsi "effettiva" la volontà delle parti di ricorrere
all'arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del
lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece
demandare alla contrattazione collettiva. A quest'ultima, nei diversi livelli in
cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di
spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali
adeguatamente assistite così come per la definizione equitativa delle
controversie che insorgano in tali ambiti.
Si avvierebbe in tal modo un processo concertato, ed insieme ispirato ad un
opportuno gradualismo, attraverso il quale ripristinare quella certezza del
diritto che è condizione essenziale nella disciplina dei rapporti di lavoro per
garantire una efficace tutela del contraente debole e una effettiva riduzione
del contenzioso in un contesto generale di serena evoluzione delle relazioni
sindacali.
Non sembra invece coerente con i princìpi generali dell'ordinamento e con la
stessa impostazione del comma 9 in esame, che consente di pattuire clausole
compromissorie solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti
collettivi di lavoro, il prevedere un intervento suppletivo del Ministro - di
cui tra l'altro non si stabilisce espressamente la natura regolamentare né si
delimitano i contenuti - che dovrebbe consentire comunque, anche in assenza dei
predetti accordi, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge tale
possibilità, stabilendone le modalità di attuazione e di piena operatività:
suscita infatti serie perplessità una così ampia delegificazione con modalità
che non risultano in linea con le previsioni dell'art. 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400.
Al di là delle osservazioni fin qui svolte a proposito dell'articolo 31, è da
sottolineare l'opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche
modo connesse - presenti negli articoli 30, 32 e 50 - che riguardano gli stessi
giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di
prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi.
2. Secondo l'articolo 20 della legge, l'articolo 2, lettera b), della legge 12
febbraio 1955, n. 51, recante delega al Governo per l'emanazione di norme per
l'igiene del lavoro, si interpreta nel senso che l'applicazione della legge
delega è esclusa non soltanto - come espressamente recita la lettera b)
dell'articolo 2 - per "il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli
aeromobili", ma anche per "il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo
il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito".
Dai lavori parlamentari emerge che con detto articolo 20 si è inteso evitare che
alle morti o alle lesioni subite dal personale imbarcato su navigli militari e
cagionate dal contatto con l'amianto, possano continuare ad applicarsi - come
invece sta accadendo in procedimenti attualmente pendenti davanti ad autorità
giudiziarie - le sanzioni penali stabilite dal DPR 19 marzo 1956, n. 303, che
disciplina l'applicazione di tali sanzioni, escludendole unicamente nei casi di
morti o lesioni subite da personale imbarcato su navi mercantili.
Si ricorda altresì che in materia di tutela della salute e della sicurezza del
lavoro, oggi disciplinata dal decreto legislativo n. 81 del 2008, sono previste
sanzioni per la inosservanza delle norme in tema di protezione dai rischi per
esposizione ad amianto in tutti i settori di attività, pubblici e privati, sia
pure con i necessari adattamenti, con riguardo in particolare alle forze armate,
peraltro non ancora definiti.
Al di là degli aspetti strettamente di merito, occorre rilevare innanzitutto che
l'articolo 20 in esame non esplicita alcuno dei possibili significati
dell'articolo 2, lettera b), della legge del 1955 e quindi non interpreta ma
apporta a tale disposizione una evidente modificazione integrativa. La norma
incide, inoltre, su una legge delega che ha già esaurito la sua funzione dopo
l'adozione del DPR attuativo n. 303 del 1956, senza invece intervenire su di
esso, risultando di fatto inapplicabile e priva di effetti.
L'articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte - in sé
largamente condivisibile - che riguarda la "salvezza" del diritto del lavoratore
al risarcimento dei danni eventualmente subiti. In assenza di disposizioni
specifiche - non rinvenibili nella legge - che pongano a carico dello Stato un
obbligo di indennizzo, il risarcimento del danno ingiusto è possibile
esclusivamente in presenza di un "fatto doloso o colposo" addebitabile a un
soggetto individuato (art. 2043 del codice civile). Qualora la efficacia della
norma generatrice di responsabilità sia fatta cessare, con la conseguente non
punibilità delle lesioni o delle morti cagionate su navigli di Stato, non è
infatti più possibile individuare il soggetto giuridicamente obbligato e
configurare ipotesi di "dolo o colpa" nella determinazione del danno.
Per conseguire in modo da un lato tecnicamente corretto ed efficace, e
dall'altro non esposto a possibili censure di illegittimità costituzionale, le
finalità che la disposizione in esame si propone, appare quindi necessario
escludere la responsabilità penale attualmente prevista per i soggetti
responsabili di alcune categorie di navigli, in linea del resto con gli
adattamenti previsti dal citato testo unico n. 81 del 2008, e prevedere, come
già accade per altre infermità conseguenti ad attività di servizio, un autonomo
titolo per la corresponsione di indennizzi per i danni arrecati alla salute dei
lavoratori.
Per i motivi innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell'articolo 74,
primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a
me trasmessa il 3 marzo 2010".
Direzione Provinciale del Lavoro di Modena - www.dplmodena.it