SENTENZA N. 47
ANNO 2008
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
-
Franco BILE Presidente
- Giovanni
Maria FLICK Giudice
-
Francesco AMIRANTE "
- Ugo
DE SIERVO "
- Alfio
FINOCCHIARO "
-
Alfonso QUARANTA "
- Luigi
MAZZELLA "
-
Gaetano SILVESTRI "
-
Sabino CASSESE "
- Maria
Rita SAULLE "
-
Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale degli artt. 6 e 9 della legge 11 gennaio
1943, n. 138 (Costituzione dell'Ente «Mutualità fascista – Istituto
per l'assistenza di malattia ai lavoratori»); degli artt. 1 e 2 del
decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile 1946, n. 142 (Disciplina
provvisoria del carico contributivo per le varie forme di previdenza e
di assistenza sociale); dell'art. 2 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 31 ottobre 1947, n. 1304 (Trattamento di
malattia dei lavoratori del commercio, del credito, dell'assicurazione
e dei servizi tributari appaltati); dell'art. 74 della legge 23
dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale);
dell'art. 14 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle
strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni
e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia
previdenziale e pensionistica) e dell'art. 31 della legge 28 febbraio
1986, n. 41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1986), promossi con due
ordinanze del 4 dicembre 2006 dal Tribunale di Bolzano e con ordinanze
del 27 ottobre 2006 dal Tribunale di Milano, del 17 gennaio 2007 dal
Tribunale di Bologna e del 4 aprile 2007 dal Tribunale di Milano,
rispettivamente iscritte ai nn. 427, 428, 529, 724 e 743 del registro
ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 24, 32, 42 e 44, prima serie speciale, dell'anno 2007.
Visti
gli atti di costituzione della Metro Italia Cash and Carry s.p.a.,
dell'INPS, dell'Azienda Energetica s.p.a – Etschwerke AG, della Hera
Bologna s.p.a., della AEM Calore & Servizi – Utilities & Facility
Management Services s.p.a., nonché gli atti di intervento della Hera
s.p.a. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 12 febbraio 2008 il Giudice relatore Luigi
Mazzella;
uditi
gli avvocati Giorgio Albé e Tullio Tranquillo per la Metro Italia Cash
and Carry s.p.a., Maurizio Cinelli per l'Azienda Energetica s.p.a. –
Etschwerke AG, Michele Miscione per la Hera Bologna s.p.a., Giovanni
Gentile e Gianluca Ciampolini per l'AEM Calore & Servizi – Utilities &
Facility Management Services s.p.a., Fabrizio Correra e Antonietta
Coretti per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. – Nel
corso di un giudizio civile promosso, con ricorso in opposizione
all'iscrizione a ruolo ed a cartella di pagamento, dalla Metro Italia
Cash and Carry s.p.a. contro l'Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS) ed altri, il Tribunale ordinario di Bolzano (r.o. n.
427 del 2007) ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 38 e
41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 6 e 9 della legge 11 gennaio 1943, n. 138 (Costituzione
dell'Ente «Mutualità fascista - Istituto per l'assistenza di malattia
ai lavoratori»), 1 e 2 del decreto legislativo luogotenenziale 2
aprile 1946, n. 142 (Disciplina provvisoria del carico contributivo
per le varie forme di previdenza e di assistenza sociale), 2 del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 31 ottobre 1947,
n. 1304 (Trattamento di malattia dei lavoratori del commercio, del
credito, dell'assicurazione e dei servizi tributari appaltati), 74
della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio
sanitario nazionale), 14 della legge 23 aprile 1981, n. 155
(Adeguamento delle strutture e delle procedure per la liquidazione
urgente delle pensioni e per i trattamenti di disoccupazione, e misure
urgenti in materia previdenziale e pensionistica), e 31 della legge 28
febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986).
Il
rimettente premette che la Corte di cassazione, con la sentenza n.
10232 del 27 giugno 2003 (pronunciata a sezioni unite e pertanto da
ritenersi «diritto vivente»), ha affermato che l'art. 6, secondo
comma, della legge n. 138 del 1943 (secondo cui l'indennità di
malattia non è dovuta dall'INPS quando il trattamento economico di
malattia è corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore
di lavoro o da altri enti in misura pari o superiore all'indennità
medesima), non vale ad escludere l'obbligo contributivo del datore di
lavoro.
Il giudice
a quo aggiunge di aver già sollevato la questione di
legittimità del citato art. 6, secondo comma, per violazione degli
artt. 2, 3, 38 e 41 Cost., e che la Corte costituzionale, con
l'ordinanza n. 241 del 2006, ha dichiarato la questione manifestamente
inammissibile in considerazione del fatto che quella norma nulla
dispone quanto all'obbligo contributivo a carico del datore di lavoro.
Affermando
di essere abilitato a sollevare nuovamente la questione, il Tribunale
di Bolzano ritiene di correggere l'errore segnalato dalla Corte
nell'ordinanza menzionata, individuando le norme che prevedono e
disciplinano l'obbligo contributivo nelle seguenti: art. 9, primo
comma, della legge n. 138 del 1943 (secondo il quale «Agli scopi di
cui sopra sarà provveduto con il contributo dei lavoratori e dei
datori di lavoro nella misura determinata dal contratto collettivo di
lavoro o da deliberazione dei loro competenti organi ovvero nel
decreto di cui al secondo comma dell'articolo 4»); art. 1 del d. lgs.
lgt. n. 142 del 1946 (il quale prevede che «A decorrere dal primo
periodo di paga successivo alla data di entrata in vigore del presente
decreto e in via provvisoria fino a che non sarà provveduto ad una
organica disciplina della ripartizione degli oneri contributivi fra
datori di lavoro e lavoratori per le varie forme di previdenza e
assistenza sociale contemplate nel successivo articolo 2, la quota di
contributi dovuta in qualunque settore della attività produttiva da
parte dei lavoratori ai sensi delle disposizioni vigenti per le forme
di previdenza e assistenza predette è corrisposta senza alcun diritto
a rivalsa dai datori di lavoro in luogo dei lavoratori stessi e sarà
considerata a tale titolo a tutti gli effetti di legge e conteggiata
sulla retribuzione al lordo»); art. 2 dello stesso d. lgs. lgt. n. 142
del 1946 (secondo cui «Le forme di previdenza e di assistenza, per le
quali il datore di lavoro a norma dell'articolo precedente è tenuto
alla corresponsione senza diritto a rivalsa delle quote di contributo
di spettanza dei lavoratori, sono le seguenti: [...] 6) assicurazione
obbligatoria per le malattie nell'industria, nell'agricoltura, nel
commercio e nel credito, assicurazione e servizi tributari
appaltati»); art. 2, «secondo comma» (recte: primo comma), del
d. lgs. C. p. S. n. 1304 del 1947 (il quale stabilisce che «Le
indennità giornaliere di malattia e gli altri assegni in denaro per
gli iscritti all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le
malattie, appartenenti al settore del commercio e a quello del
credito, assicurazione e servizi tributari appaltati ed i contributi
dovuti per l'assicurazione malattia sono stabiliti nelle misure
indicate nelle tabelle A) e B) allegate al presente
decreto e vistate, d'ordine del Capo provvisorio dello Stato, dal
Ministro per il lavoro e la previdenza sociale»), art. 74, primo
comma, della legge n. 833 del 1978 (secondo il quale «A decorrere dal
1° gennaio 1980 e sino all'entrata in vigore della legge di riforma
del sistema previdenziale l'erogazione delle prestazioni economiche
per malattia e per maternità previste dalle vigenti disposizioni in
materia già erogate dagli enti, casse, servizi e gestioni autonome
estinti e posti in liquidazione ai sensi della legge 17 agosto 1974 n.
386, di conversione con modificazioni del decreto-legge 8 luglio 1974,
n. 264, è attribuita all'Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) che terrà apposita gestione. A partire dalla stessa data la
quota parte dei contributi di legge relativi a tali prestazioni è
devoluta all'INPS ed è stabilita con decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, di concerto col Ministro del tesoro»).
Il
rimettente ricorda, poi, che l'art. 14 della legge n. 155 del 1981
prevede, al primo comma, che «La quota parte dei contributi da
devolvere all'Istituto nazionale della previdenza sociale ai sensi
dell'articolo 74 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, per la
erogazione delle prestazioni economiche di malattia è determinata
nella misura del 2,50 per cento della retribuzione imponibile per gli
aventi diritto di tutti i settori, ad esclusione di quello agricolo,
per il quale contributo stesso è determinato nella misura di un sesto
del contributo giornaliero di malattia», e che l'art. 31, comma 5,
della legge n. 41 del 1986 stabilisce che «I contributi dovuti dai
datori di lavoro per i soggetti aventi diritto alle indennità
economiche di malattia sono fissati nelle misure indicate
nell'allegata tabella G», misure tuttora vigenti.
Ad avviso
del giudice a quo, le norme così individuate contrasterebbero
con l'art. 3 Cost., perché non differenziano tra le imprese che si
sono obbligate, nel contratto collettivo, a continuare a versare
l'intera retribuzione al lavoratore malato e le imprese che non
abbiano assunto tale obbligo. Infatti, le prime sollevano l'INPS dal
rischio assicurativo e, pertanto, dovrebbero essere chiamate a versare
un contributo inferiore rispetto all'aliquota massima.
Il medesimo
art. 3 Cost., inoltre, sarebbe violato perché le norme denunciate
prevedono un trattamento ingiustificatamente diverso tra le varie
categorie di imprese (gravando le imprese del settore del commercio,
ma non anche quelle dell'industria ed alcune imprese del terziario –
come la RAI s.p.a. – dell'obbligo contributivo) e di lavoratori
(poiché il contributo economico di malattia è preteso per operai e
impiegati, ma non per quadri e dirigenti).
Sussisterebbe anche la violazione dell'art. 2 Cost., difettando logica
e razionalità nella distribuzione degli oneri connessi al principio di
solidarietà economica e sociale richiamato dalla menzionata sentenza
n. 10232 del 2003 delle sezioni unite della Corte di cassazione. Al
riguardo, il rimettente evidenzia come, anzi, i datori di lavoro
imprenditori che si obbligano a continuare a corrispondere la
retribuzione durante il periodo di malattia, non solo sono obbligati a
versare in misura integrale il contributo di malattia, ma debbono
pagare quel contributo anche sulla retribuzione corrisposta durante il
periodo di malattia.
Il Tribunale
di Bolzano denuncia poi la violazione dell'art. 38, secondo comma,
Cost., norma che si preoccupa unicamente di assicurare al lavoratore
mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita in caso di malattia
(esigenze nella fattispecie soddisfatte con l'erogazione della
retribuzione), senza nulla disporre in ordine ai mezzi con i quali
tale obiettivo deve essere perseguito e senza sovvertire i princípi
fondamentali del sistema assicurativo.
Infine,
sarebbe violato l'art. 41 Cost., poiché esigere il pagamento del
contributo solo da parte di alcune imprese porrebbe un ingiustificato
ostacolo al pieno dispiegamento del principio della libertà di
iniziativa economica privata, impedendo che la concorrenza tra le
imprese si svolga in condizioni paritarie.
In ordine
alla rilevanza della questione, il rimettente espone che la Metro
Italia Cash and Carry s.p.a., si è opposta alla pretesa dell'INPS,
contenuta in una cartella di pagamento, al versamento, a titolo di
contributo economico di malattia (e conseguenti accessori),
dell'importo complessivo di lire 1.438.869.845, affermando di aver
stipulato, in data 12 ottobre 1993, un contratto collettivo aziendale
nel quale era prevista l'erogazione a tutti i dipendenti, in caso di
malattia non professionale e non dipendente da infortunio sul lavoro,
dell'intera retribuzione netta di fatto e di aver conseguentemente
omesso di versare il contributo di malattia nel periodo dall'aprile
1996 al dicembre 1998.
1.1. – Si è
costituita in giudizio la Metro Italia Cash and Carry s.p.a., che ha
chiesto che la Corte dichiari l'illegittimità delle norme censurate.
Ad avviso
della società, sussisterebbe contrasto con l'art. 3 Cost., perché
solamente alcuni dei datori di lavoro che corrispondono la
retribuzione ai loro dipendenti anche durante i periodi di assenza per
malattia sarebbero esonerati dall'obbligo di versamento della
contribuzione.
Per lo
stesso motivo sarebbe violato anche l'art. 2 Cost., perché il
principio di solidarietà imporrebbe lo stesso trattamento per
identiche categorie di datori di lavoro e di lavoratori.
A parere
della Metro Italia Cash and Carry s.p.a., le norme denunciate
contrasterebbero, inoltre, con l'art. 38 Cost, il quale non ha inteso
sovvertire i princípi fondamentali del sistema assicurativo e, in
particolare, quello del rischio.
Infine, la
circostanza per la quale, secondo l'interpretazione fornita dalla
Corte di cassazione, l'obbligo contributivo sussiste anche nel caso in
cui il datore di lavoro provvede direttamente alle esigenze del
lavoratore in malattia, comporterebbe la violazione dell'art. 41 Cost.,
pregiudicando l'esercizio dell'iniziativa economica.
1.2. – Si è
costituito anche l'INPS che ha concluso nel senso dell'inammissibilità
e dell'infondatezza delle questioni.
Con
riferimento alla pretesa violazione degli artt. 3, 38 e 41 Cost.,
l'ente afferma che l'interpretazione delle norme censurate adottata
dalla giurisprudenza di legittimità è conforme al principio
costituzionale di solidarietà che informa i sistemi previdenziali e la
cui realizzazione prescinde da un criterio di stretta corrispondenza
fra contribuzione e prestazione. Inoltre, in ordine ai casi di esonero
dall'obbligo della contribuzione per l'indennità di malattia, l'INPS
deduce che si tratta di ipotesi che trovano la loro fonte in contratti
corporativi ancora in vigore per effetto dell'art. 43 del decreto
legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369 (Soppressione
delle organizzazioni sindacali fasciste e liquidazione dei rispettivi
patrimoni), ovvero in contratti collettivi efficaci erga omnes
in virtù della legge 14 luglio 1959, n. 741 (Norme transitorie per
garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori),
e che, semmai, dubbi di legittimità costituzionale dovrebbero essere
sollevati a proposito delle disposizioni che prevedono tali eccezioni.
Ad avviso
dell'INPS, non sussisterebbe neppure contrasto con l'art. 2 Cost.,
perché, in tutti i casi di insolvenza del datore di lavoro, permane in
capo all'ente previdenziale l'obbligo di pagare l'indennità di
malattia e perché l'obbligazione contributiva ha natura pubblicistica
e dunque non può essere modulata o ridotta in dipendenza degli
interessi particolari dei singoli datori di lavoro che intendano
sostituirsi alla pubblica amministrazione nella gestione
dell'assistenza economica di malattia.
1.3. – E'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso nel senso
dell'infondatezza delle questioni.
Rispetto
alla denunciata violazione degli artt. 3 e 41 Cost., la difesa
erariale deduce che l'obbligo del datore di lavoro di continuare a
corrispondere la retribuzione durante il periodo di malattia e quello
di versare i contributi previdenziali si fondano su previsioni che
operano su piani diversi (contrattuale privatistico il primo,
pubblicistico il secondo), onde il datore di lavoro ben può valutare,
nell'àmbito della complessiva contrattazione con le controparti
sindacali, la convenienza ad assumersi l'obbligo alla corresponsione
della retribuzione durante il periodo di malattia, senza che perciò
debba venir meno l'obbligo al versamento dei contributi.
Analogamente, non potrebbero ritenersi violati gli artt. 2 e 38 Cost.,
poiché la contribuzione non è collegata alle prestazioni da un
rapporto di corrispettività.
1.4. – E'
intervenuta la Hera s.p.a. che ha chiesto che la Corte voglia
dichiarare l'illegittimità delle norme denunciate.
L'interveniente deduce di essere a capo di un gruppo di società le
quali applicano contratti collettivi di lavoro che prevedono l'obbligo
per il datore di lavoro di pagare ai dipendenti la retribuzione
durante il periodo di malattia. Ne conseguirebbe il suo interesse ad
intervenire nel giudizio di costituzionalità.
2. – Nel
corso di un giudizio civile promosso dalla Azienda energetica s.p.a. -
Etschwerke AG nei confronti dell'INPS, avente ad oggetto un'azione di
accertamento negativo avverso una pretesa contributiva dell'istituto
previdenziale, il Tribunale ordinario di Bolzano (r.o. n. 428 del
2007) ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 38 e 41 Cost.,
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 9 della legge
n. 138 del 1943, 1 e 2 del d. lgs. lgt. n. 142 del 1946, 2 del d. lgs.
C. p. S. n. 1304 del 1947, 74 della legge n. 833 del 1978, 14 della
legge n. 155 del 1981, e 31 della legge n. 41 del 1986.
Il
rimettente premette che, già con ordinanza del 30 settembre 2005,
aveva sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 38 e 41 Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge n. 138
del 1943 e riproduce l'intero testo dell'ordinanza medesima.
In essa il
Tribunale aveva dato atto che: il rapporto di lavoro dei dipendenti
della società ricorrente è regolato dal contratto collettivo nazionale
di lavoro per gli addetti al settore elettrico che obbliga il datore
di lavoro all'erogazione di un trattamento di malattia in misura pari
alla retribuzione di fatto per un periodo di dodici mesi, prorogabile
fino a trentadue mesi; l'INPS aveva richiesto alla società il
pagamento di euro 1.458.691,76, a titolo di contributi di malattia per
gli anni dal 1999 al 2004, sanzioni ed interessi; contro tale pretesa
la società aveva proposto un'azione di accertamento negativo,
chiedendo la dichiarazione di infondatezza dell'obbligo contributivo,
e l'INPS, costituendosi in giudizio, aveva chiesto in via
riconvenzionale la condanna della società al pagamento del predetto
importo.
Nella
precedente ordinanza di rimessione erano poi stati illustrati i vizi
di illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge n. 138 del
1943.
In
particolare, il rimettente aveva ritenuto sussistente il contrasto con
l'art. 3 Cost., perché situazioni sostanziali differenti – da una lato
le imprese che, erogando la retribuzione ai dipendenti assenti per
malattia, accollano su se stesse il rischio malattia, dall'altro lato
le imprese che caricano quel rischio sull'INPS – dovrebbero essere
destinatarie di una disciplina differenziata sotto il profilo
contributivo. Vi sarebbero, inoltre, casi in cui situazioni
sostanziali omogenee trovano un trattamento ingiustificatamente
diverso, come ad esempio avviene per l'ENEL che, pur operando nel
medesimo settore produttivo delle aziende energetiche ex
municipalizzate (categoria alla quale appartiene la ricorrente nel
giudizio a quo) godrebbe di una riduzione dell'onere
contributivo in virtù del d. P. R. 17 marzo 1965, n. 145 (Disciplina
dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie e del trattamento
economico di maternità per il personale dipendente dall'Ente Nazionale
per l'Energia Elettrica - ENEL).
Poiché tali
differenze di trattamento si verificano all'interno della stessa
categoria produttiva, il Tribunale aveva ritenuto violato anche l'art.
41 Cost., che garantisce il diritto all'iniziativa economica in
condizioni di parità.
La prima
ordinanza di rimessione aveva denunciato, poi, il contrasto con l'art.
2 Cost., perché il dovere di solidarietà enunciato da tale precetto
costituzionale non può essere illimitato, ma deve essere
proporzionato, circoscritto entro il limite della ragionevolezza e
contenuto entro un giustificabile bilanciamento tra il vantaggio
destinato al beneficiario ed il corrispondente pregiudizio
dell'onerato. Nella fattispecie, ad avviso del Tribunale,
difetterebbero proprio i criteri della ragionevolezza e della
proporzionalità, poiché nei confronti dell'azienda energetica che
corrisponde ai dipendenti malati la retribuzione continua a sussistere
l'obbligazione contributiva piena, mentre l'apporto che essa,
accollandosi il rischio malattia, offre al dovere di solidarietà
dovrebbe essere premiato quantomeno attraverso una diminuzione
dell'obbligo contributivo, se non addirittura mediante l'esonero
totale. Inoltre, i dati di bilancio dell'INPS dimostrerebbero che tale
ente è destinatario di entrate da contribuzione di malattia assai
superiori alle uscite dovute all'erogazione della corrispondente
indennità e la sperequazione tra entrate ed uscite sarebbe
ingiustificata, considerando che il sistema previdenziale si fonda,
nella sua generalità, sul criterio finanziario della ripartizione, in
base al quale il carico contributivo complessivo deve essere
costantemente rideterminato in relazione al volume della spesa. Nel
caso di specie, ad avviso del rimettente, l'onere contributivo non
risulta aggiornato, alle imprese è richiesta una solidarietà superiore
al necessario e l'onere contributivo è imposto anche a categorie di
imprese che, essendosi accollate il rischio malattia, non concorrono
alla spesa.
Né, per
giustificare l'assenza di qualsiasi sinallagmaticità tra contribuzione
e corrispondente trattamento di malattia, potrebbero essere menzionati
(come fatto dalla sentenza n. 10232 del 2003 della Corte di
cassazione), quali ipotesi esemplificative, i casi di sospensione del
lavoro, di superamento del periodo di comporto o la disoccupazione,
ipotesi in cui l'INPS eroga l'indennità al lavoratore, anche se il
datore di lavoro si assumesse, nel contratto collettivo, l'obbligo di
continuare a pagare la retribuzione durante la malattia. Infatti
questi casi, essendo marginali, non giustificherebbero la pretesa del
contributo di malattia in misura piena; inoltre alle aziende
energetiche, comprese tra le imprese industriali degli enti pubblici,
non si applicano le norme sull'integrazione dei guadagni degli operai,
onde la giustificazione utilizzata dalla sentenza dei giudici di
legittimità avrebbe ancora minor valore nella fattispecie concreta.
Infine,
nella precedente ordinanza di rimessione, il Tribunale aveva
denunziato la violazione dell'art. 38 Cost. che, preoccupandosi
unicamente di assicurare mezzi adeguati al lavoratore al sopravvenire
degli eventi malattia e vecchiaia, non impone alcun mezzo o strumento
particolare, né esprime alcuna preferenza per un determinato sistema
di assicurazione previdenziale.
In
particolare, ad avviso del rimettente, sarebbe erroneo sostenere che
il principio di solidarietà avrebbe eliminato del tutto il principio
della corrispettività che invece era presente nelle intenzioni del
legislatore quando aveva emanato l'art. 6, secondo comma, della legge
n. 138 del 1943, norma che, liberando l'ente assicurativo pubblico
dalla prestazione previdenziale, implicitamente avrebbe inteso
esonerare il datore di lavoro dall'obbligo contributivo, conformemente
al principio generale, sancito dall'art. 1886 del codice civile,
secondo il quale anche le assicurazioni sociali vanno inquadrate tra i
rapporti sinallagmatici. Pertanto, quanto meno nella fase genetica,
l'aspetto sinallagmatico sembrerebbe ineliminabile, mentre invece, nel
caso in esame, esso è escluso del tutto, perché l'azienda energetica
contribuisce ad alimentare il fondo per le prestazioni di malattia, ma
non ne usufruisce.
Il Tribunale
aveva concluso l'ordinanza affermando che «la questione è anche
rilevante ai fini della decisione della presente causa. Dalla risposta
dipende la fondatezza o meno della pretesa contributiva dell'INPS nei
confronti dell'azienda energetica».
Dopo aver
riprodotto il testo della precedente ordinanza di rimessione appena
riassunto, il giudice a quo prosegue ricordando che la Corte
costituzionale, con l'ordinanza n. 241 del 2006, ha dichiarato
manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge n. 138 del
1943.
Affermando
di essere abilitato a sollevare nuovamente la questione, il Tribunale
di Bolzano ritiene di correggere l'errore segnalato dalla Corte
nell'ordinanza menzionata, individuando le norme che prevedono e
disciplinano l'obbligo contributivo negli artt. 6 e 9 della legge n.
138 del 1943, 1 e 2 del d. lgs. lgt. n. 142 del 1946, 2 del d. lgs. C.
p. S. n. 1304 del 1947, 74 della legge n. 833 del 1978, 14 della legge
n. 155 del 1981, e 31 della legge n. 41 del 1986, dei quali riporta il
testo, ed aggiungendo che la questione di legittimità costituzionale
per contrasto con gli artt. 2, 3, 38 e 41 Cost. deve essere ad essi
riferita.
Conclude
sostenendo che, essendosi già pronunciata la Corte di cassazione a
sezioni unite, la cui opinione giuridica deve essere ritenuta «diritto
vivente», non vi sarebbe più spazio interpretativo per il giudice di
merito, al quale non rimane altra via, se non quella di rivolgersi
alla Corte costituzionale.
2.1. – Si è
costituita la Azienda energetica s.p.a. - Etschwerke AG che ha chiesto
che le norme censurate siano dichiarate illegittime.
2.2. – Si è
costituito anche l'INPS che ha formulato le stesse conclusioni e
svolto le medesime argomentazioni già illustrate sopra, sub n.
1.2.
2.3. – E'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Con
riferimento alla eccepita inammissibilità, la difesa erariale deduce
che il rimettente ha riproposto la questione di costituzionalità già
dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con
l'ordinanza n. 241 del 2006, limitandosi a riprodurre le ulteriori e
diverse norme della cui legittimità egli dubita e richiamandosi alle
argomentazioni svolte nella sua precedente ordinanza di rimessione.
Circa
l'infondatezza della questione, alle argomentazioni già illustrate
sopra, sub n. 1.3, il Presidente del Consiglio dei ministri
aggiunge che nella fattispecie non è ravvisabile alcun vizio derivante
dalla lamentata omogeneità di trattamento di situazioni differenti
ovvero dalla diversità di trattamento di situazioni omogenee, essendo
condivisibili le affermazioni contenute nella sentenza n. 10232 del
2003 della Corte di cassazione circa il principio solidaristico quale
criterio informatore dell'intero sistema di sicurezza sociale.
3. – Nel
corso di due giudizi civili promossi, con ricorsi in opposizione a
cartelle esattoriali, rispettivamente dalla Metro Italia Cash and
Carry s.p.a. e dalla AEM Calore & Servizi – Utilities & Facilities
Management Services s.p.a. contro l'INPS, il Tribunale ordinario di
Milano ha sollevato con due distinte ordinanze (r.o. n. 529 e n. 743
del 2007), in riferimento agli articoli 3, 41 e 53 Cost., questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 9, «e per quanto richiamato,
dell'articolo 6», della legge 11 gennaio 1943, n. 138.
Circa la
rilevanza delle questioni, il rimettente deduce che, al fine di
decidere ognuna delle due controversie, occorre appurare se le società
ricorrenti siano tenute a corrispondere all'istituto previdenziale il
contributo per l'indennità economica di malattia nonostante che le
società stesse si siano vincolate, rispettivamente, stipulando il
contratto collettivo aziendale del 12 ottobre 1993 ed applicando il
contratto collettivo nazionale di lavoro del settore delle imprese
elettriche del 24 luglio 2001, a corrispondere direttamente ai
dipendenti, in caso di malattia comune, l'intera retribuzione di
fatto.
Richiamato
il principio affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n.
10232 del 2003 (pronunciata a sezioni unite, onde l'autorevolezza
della fonte impedirebbe al rimettente di discostarsene), il giudice
a quo sostiene, in entrambe le ordinanze di rimessione, che la
mancata distinzione, quanto all'onere contributivo, tra datori di
lavoro obbligati ad erogare la retribuzione in caso di malattia dei
dipendenti e datori di lavoro che si avvalgano integralmente
dell'indennità economica di malattia versata dall'INPS violerebbe il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., concretando
un'ipotesi di irragionevole discriminazione, poiché l'ente
previdenziale non pretende i contributi per i dirigenti, i quadri e
gli impiegati dell'industria, oltre che per i dipendenti della RAI
s.p.a., come comunicato dallo stesso INPS con il messaggio numero 909
del 6 dicembre 2002.
L'art. 9
della legge n. 138 del 1943 contrasterebbe, inoltre, con l'art. 41
Cost., prevedendo, senza alcuna distinzione, un'imposizione
contributiva in assenza di rischio tutelabile e di esigenza
previdenziale da soddisfare.
Né sarebbe
possibile ritenere che il principio di solidarietà escluda il nesso
sinallagmatico tra contribuzione e prestazione, perché altrimenti ci
si troverebbe di fronte ad un vero e proprio tributo in relazione al
quale dovrebbe operare il principio di capacità contributiva enunciato
dall'art. 53 Cost., principio estraneo al pagamento del contributo di
malattia così come preteso dall'INPS.
3.1. – Nei
relativi giudizi di costituzionalità si sono costituite la Metro
Italia Cash and Carry s.p.a. e la AEM Calore & Servizi – Utilities &
Facilities Management Services s.p.a.
La prima ha
chiesto che la Corte dichiari l'illegittimità delle norme censurate,
svolgendo argomentazioni analoghe a quelle illustrate in precedenza,
sub n. 1.1.
Anche la
seconda ha chiesto che le questioni siano dichiarate fondate.
In
particolare, con riferimento all'art. 3 Cost., la AEM Calore & Servizi
– Utilities & Facilities Management Services s.p.a. deduce che le
norme censurate determinano una duplice lesione del principio di
uguaglianza: in primo luogo, perché esse equiparano ingiustamente le
aziende che erogano il trattamento economico ai propri dipendenti alle
aziende che invece non sopportano tale onere; in secondo luogo, perché
essa società è ingiustamente differenziata rispetto ad altre aziende
che, pur erogando la retribuzione ai lavoratori durante il periodo di
malattia, sono esonerate dal versamento dei contributi all'INPS.
Ad avviso
della società le norme censurate contrastano anche con l'art. 41 Cost.,
norma che implicitamente garantisce anche la concorrenza che viene
invece alterata se ad alcune imprese vengono consentiti costi del
lavoro meno gravosi rispetto a quelli che debbono sopportare altre
imprese concorrenti.
Infine, la
medesima parte privata ritiene che l'imposizione dell'onere
contributivo in mancanza della correlativa fruizione delle prestazioni
dell'assicurazione sociale di cui si tratta viola l'art. 53 Cost.,
poiché il soggetto interessato risulta colpito dal contributo non
nella misura della sua capacità contributiva (considerato che il
contributo è imposto a talune imprese in misura piena e ad altre – ad
esempio all'ENEL – in misura ridotta), e perché la condizione di dover
pagare senza ricevere la prestazione deriva da circostanze casuali
come le previsioni dei contratti collettivi che stabiliscono il
pagamento della retribuzione ai lavoratori anche durante il periodo di
malattia.
3.2. – Si è
costituito anche l'INPS che ha chiesto che sia dichiarata
l'inammissibilità delle questioni e, comunque, la loro infondatezza.
L'istituto
previdenziale ha svolto argomenti analoghi a quelli già illustrati
sopra, sub n. 1.2 e, con riferimento alla prospettata
violazione dell'art. 53 Cost., ha aggiunto che non è possibile
assimilare i contributi previdenziali ai tributi, avuto riguardo alle
diversità inerenti i criteri temporali del prelievo (rispettivamente,
cassa e competenza), la competenza giurisdizionale (giudice del lavoro
e giudici tributari), i profili funzionali (i tributi sono imposti per
il finanziamento di servizi pubblici indivisibili, i contributi
previdenziali per erogare prestazioni soprattutto pensionistiche).
3.3. – In
entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nel giudizio
relativo all'ordinanza di rimessione pronunciata dal Tribunale di
Milano nel giudizio promosso dalla Metro Italia Cash and Carry s.p.a.
(r.o. n. 529 del 2007), il Presidente del Consiglio dei ministri
afferma, rispetto al preteso contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., che
l'obbligo contributivo gravante sui datori di lavoro è conforme al
principio solidaristico che la Costituzione imprime all'intero sistema
della sicurezza sociale, principio che impone altresì che l'INPS
eroghi l'indennità di malattia anche quando il datore di lavoro, che
pure vi sia tenuto, non paghi la retribuzione al dipendente malato.
Né sarebbe
corretta la qualificazione del contributo come tributo, attesa la
funzione dei contributi previdenziali di fornire agli enti
previdenziali i mezzi necessari per la realizzazione dei compiti loro
affidati dalla legge.
Nel giudizio
relativo all'altra ordinanza di rimessione pronunciata dal Tribunale
di Milano (R.O. n. 743 del 2007), il Presidente del Consiglio dei
ministri ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o,
comunque, infondate.
Con
riferimento all'eccepita inammissibilità della questione, il
Presidente del Consiglio dei ministri deduce che, rispetto alla
dedotta violazione dell'art. 3 Cost., l'ordinanza di rimessione
contiene esclusivamente la generica affermazione secondo la quale
l'INPS non pretende il versamento del contributo di malattia per i
dirigenti, i quadri e gli impiegati del settore dell'industria,
omettendo, quindi, di individuare concretamente le situazioni rispetto
alle quali si realizzerebbe la disparità di trattamento.
Nel merito,
l'Avvocatura dello Stato, alle argomentazioni già illustrate sopra,
sub n. 2.3, aggiunge che nella fattispecie non sarebbe ravvisabile
neppure la violazione dell'art. 53 Cost., poiché i contributi di cui
si tratta non hanno natura di tributi, difettando tutti gli elementi
identificativi di tali prestazioni e non essendo diretti a concorrere
alle «spese pubbliche» di cui al citato art. 53.
4. – Nel
corso di quattro giudizi civili riuniti promossi dalle società Hera
Bologna s.r.l., Hera Comm. s.r.l., Hera s.p.a. ed Hera Trading s.r.l.
contro l'INPS, il Tribunale di Bologna (r.o. n. 724 del 2007) ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 Cost., questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 6 e 9 della legge n. 138 del
1943, nella parte in cui stabiliscono che i contributi per
l'assicurazione malattia debbono essere integralmente versati anche
dalle imprese che sono tenute per legge o per contratto collettivo a
corrispondere direttamente ai propri dipendenti il trattamento di
malattia.
Il
rimettente premette che le società ricorrenti contestano di essere
tenute al versamento dei contributi per l'assicurazione dei dipendenti
contro le malattie, essendo già obbligate a corrispondere direttamente
ai propri dipendenti il trattamento economico di malattia, secondo
quanto previsto nei contratti collettivi di lavoro applicati.
Aggiunge che
il combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 138 del 1943,
così come interpretato dalla giurisprudenza, comporta che i datori di
lavoro tenuti, per obbligo di fonte contrattuale, a pagare
direttamente ai lavoratori il trattamento di malattia, siano
egualmente obbligati a versare all'INPS i contributi dovuti per
l'assicurazione di tale rischio. Ricorda, in proposito, che, secondo
la sentenza n. 10232 del 2003 della Corte di cassazione, tale assetto
normativo si giustificherebbe, perché nella materia previdenziale non
vi è correlazione fra ammontare del contributo e quantità della
prestazione, ma solo tra obbligo contributivo e diritto alla
prestazione; inoltre, il diritto all'indennità di malattia continua a
sussistere a favore dei dipendenti e l'INPS è tenuto a soddisfarlo nel
caso in cui non vi provveda il datore di lavoro (come nel caso di sua
insolvenza o di lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro che non
usufruiscono del trattamento di Cassa integrazione guadagni).
Il giudice
a quo ritiene tuttavia che, così circoscritto, il rischio
assicurato assumerebbe una valenza diversa e statisticamente non
comparabile con quello sopportato dall'INPS in assenza di
un'obbligazione diretta di fonte negoziale del datore di lavoro; esso,
infatti, è destinato a concretizzarsi solo in ipotesi eccezionali, per
il verificarsi di situazioni che non ineriscono al normale svolgimento
del rapporto di lavoro, con la conseguenza che il rischio assicurato
non è più quello connesso alla malattia del dipendente, ma richiede
anche il verificarsi di un ulteriore evento che non consenta la
copertura di detto rischio da parte del datore di lavoro.
Conseguentemente, il combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge
n. 138 del 1943, secondo l'interpretazione che di esso ha dato la
Corte di cassazione e quindi secondo quello che può essere considerato
il diritto vivente, violerebbe l'art. 3 Cost., perché le suddette
disposizioni prevedono la medesima disciplina per situazioni diverse,
al di fuori di ogni ragionevolezza, e l'art. 41 Cost., perché esse
pongono a carico delle imprese obblighi contributivi sproporzionati
rispetto al fine di assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro
esigenze in caso di infortunio e malattia (ai sensi dell'art. 38 Cost.),
rendendo più gravoso per tali imprese il costo del lavoro, rispetto ad
imprese che non abbiano assunto l'impegno contrattuale di far fronte
alle medesime situazioni di rischio. Ad avviso del Tribunale, questo
secondo sospetto di illegittimità costituzionale è avvalorato
dall'evoluzione delle forme di gestione dei servizi pubblici verso un
sistema di concorrenza tra imprese diverse, con diversa compagine
sociale, e con possibile applicazione di differenti contratti
collettivi.
Quanto,
infine, alla rilevanza della questione, il rimettente afferma che i
ricorsi proposti dalle società investono cartelle di pagamento
relative, tra l'altro, a contributi di malattia.
4.1. – Si
è costituita in giudizio la Hera s.p.a. che ha chiesto che sia
dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme censurate.
Queste
ultime, ad avviso della società, contrastano sia con l'art. 3 Cost.
(per il motivo esposto nell'ordinanza di rimessione), sia con l'art.
41 Cost. (poiché penalizzano irragionevolmente le imprese costrette a
pagare sia i contributi all'INPS, sia l'indennità di malattia ai
dipendenti, con violazione anche del principio della libera
concorrenza).
La Hera
s.p.a. aggiunge che gli artt. 6 e 9 della legge n. 143 del 1938
violano anche il principio solidaristico di cui agli artt. 2 e 38,
secondo comma, Cost., perché impongono ai datori di lavoro l'onere
contributivo senza che l'INPS assuma alcun rischio, essendo esonerato
dal rendere la prestazione in forza di previsioni sia di contratti
collettivi di diritto comune, sia di contratti collettivi resi
applicabili erga omnes dalla legge n. 741 del 1959.
4.2. –
L'INPS si è costituito ed ha chiesto che la Corte dichiari
l'infondatezza delle questioni.
Con
riferimento al prospettato contrasto con l'art. 3 Cost., l'ente
previdenziale svolge argomentazioni analoghe a quelle illustrate in
precedenza, sub n. 1.2.
L'INPS
nega, poi, che le norme censurate confliggano con il principio della
libertà economica privata e della concorrenza e sostiene che la
contraria opinione comporta l'irrazionale conseguenza secondo la quale
pattuizioni contrattuali di diritto comune potrebbero alterare il
regime pubblicistico proprio della contribuzione previdenziale.
4.3. – E'
intervenuto Il Presidente del Consiglio dei ministri che ha chiesto
che le questioni siano dichiarate infondate ed ha svolto le stesse
argomentazioni illustrate sopra, sub n. 2.3.
5. – In
prossimità dell'udienza di discussione alcune parti hanno depositato
memorie.
5.1. – La
Metro Italia Cash and Carry s.p.a. ha insistito per l'accoglimento
delle questioni.
In
particolare, secondo la società, le norme censurate violerebbero
l'art. 2 Cost., perché escludono la corrispettività tra contributo e
prestazione. Contrasterebbero, inoltre, con l'art. 3 Cost., poiché
situazioni identiche vengono trattate in maniera ingiustificatamente
diversa, né consentirebbe di pervenire a diversa conclusione la
constatazione della natura privatistica dei contratti collettivi
stipulati dai datori di lavoro contenenti l'obbligo per costoro di
corrispondere la retribuzione anche durante il periodo di assenza per
malattia. Risulterebbe poi violato l'art. 38 Cost., perché sarebbe
incoerente che l'ordinamento consentisse ai datori di lavoro di
accollarsi l'obbligo di versare il trattamento di malattia e,
contestualmente, imponesse agli stessi l'obbligo di finanziare
l'indennità di malattia.
5.2. –
L'Azienda energetica s.p.a. - Etschwerke AG ha depositato memoria
nella quale ha sostenuto l'ammissibilità, la rilevanza e la fondatezza
delle questioni.
Con
riferimento a quest'ultimo aspetto, la società deduce che gli artt. 6,
secondo comma, e 9, primo comma, della legge n. 138 del 1943 e l'art.
31, comma 5, della legge n. 41 del 1986, violerebbero gli artt. 2 e 3
Cost., per irragionevole superamento dei limiti del dovere di
solidarietà. Infatti, pur riconoscendo che l'ordinamento previdenziale
è informato a princípi di solidarietà, la società afferma che il
dovere di solidarietà non è illimitato, ma condizionato dalla sua
finalità (che è quella di garantire la tutela dei diritti dell'uomo e
della sua personalità), e comunque deve essere improntato ad un
razionale bilanciamento tra il vantaggio destinato al beneficiario e
il corrispondente pregiudizio dell'onerato. Nella fattispecie tali
limiti sarebbero violati, perché le imprese assicurano la tutela
sociale di malattia dei propri dipendenti corrispondendo loro la
retribuzione (e quindi un trattamento più vantaggioso rispetto a
quello erogato dall'assicurazione di malattia) e inoltre sono soggette
a contribuzione previdenziale anche sugli importi corrisposti ai
dipendenti a questo titolo.
La società
sostiene, inoltre, che le norme denunciate contrasterebbero con i
princípi generali dell'ordinamento e, in particolare, con quello di
corrispettività, connaturato anche al rapporto previdenziale.
Ulteriore
vizio è ravvisato dalla società nell'irragionevole disparità di
regolamentazione, ratione temporis, dell'obbligazione
contributiva che sarebbe stata esclusa per i datori di lavoro che
erogano la prestazione di malattia in forza di contratto collettivo
corporativo e non invece per i datori di lavoro che corrispondono la
medesima prestazione in virtù di un contratto collettivo di diritto
comune.
Sarebbe
poi riscontrabile una disparità di trattamento per situazioni
omogenee, posto che l'ordinamento esclude dall'àmbito
dell'assicurazione di malattia impiegati, quadri e dirigenti,
consapevole che la protezione attuata tramite la contrattazione
collettiva è altrettanto efficace di quella predisposta dalla legge
per gli operai, onde non si comprenderebbe la permanenza dell'obbligo
contributivo in capo alle imprese che quella tutela attuano in forza
di previsioni pattizie collettive.
La società
afferma, infine, la sussistenza della violazione dell'art. 38, secondo
comma, Cost. (perché l'assunzione da parte del datore di lavoro del
carico del trattamento economico di malattia soddisfa in modo adeguato
l'esigenza di tutela garantita da tale precetto costituzionale) e
dell'art. 41 Cost. (perché le imprese che sopportano il maggior carico
economico a causa della conservazione ai dipendenti malati
dell'integrale trattamento retributivo sono svantaggiate rispetto a
quelle che non si accollano tale onere e, in particolare, rispetto
all'ENEL che, in virtù dell'art. 2 del d. P. R. n. 145 del 1965,
usufruisce di una riduzione dell'aliquota contributiva).
5.3. – La
AEM Calore & Servizi – Utilities & Facilities Management Services
s.p.a. ha depositato memoria nella quale, richiamando i limiti di
operatività del principio di solidarietà nell'ordinamento
previdenziale, ha svolto deduzioni analoghe a quelle contenute
nell'atto di costituzione.
5.4. – Anche
l'INPS ha depositato memoria illustrativa nella quale ha ribadito le
argomentazioni già svolte in sede di costituzione.
Considerato
in diritto
1. – Con
cinque diverse ordinanze, i Tribunali di Bolzano, Milano e Bologna
hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6
e 9 della legge 11 gennaio 1943, n. 138 (Costituzione dell'Ente
«Mutualità fascista - Istituto per l'assistenza di malattia ai
lavoratori»), 1 e 2 del decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile
1946, n. 142 (Disciplina provvisoria del carico contributivo per le
varie forme di previdenza e di assistenza sociale), 2 del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 31 ottobre 1947, n. 1304
(Trattamento di malattia dei lavoratori del commercio, del credito,
dell'assicurazione e dei servizi tributari appaltati), 74 della legge
23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario
nazionale), 14 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle
strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni
e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia
previdenziale e pensionistica) e 31 della legge 28 febbraio 1986, n.
41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 1986).
Ad avviso
dei rimettenti, le predette norme, disponendo che il datore di lavoro
è tenuto a versare la contribuzione previdenziale per l'indennità di
malattia anche se sia obbligato, in base al contratto collettivo di
lavoro, a continuare a corrispondere ai propri dipendenti la
retribuzione durante i periodi di assenza per malattia, violerebbero:
l'art. 2 della Costituzione, difettando logica e razionalità nella
distribuzione degli oneri connessi al principio di solidarietà
economica e sociale che informa il sistema della sicurezza sociale;
l'art. 3 Cost., perché non differenziano, ai fini dell'obbligo
contributivo, tra le imprese che si sono obbligate, nel contratto
collettivo, a continuare a versare l'intera retribuzione al lavoratore
malato e quelle che non si siano accollate un simile obbligo e
prevedono un trattamento ingiustificatamente diverso tra le varie
categorie di imprese e di lavoratori; l'art. 38, secondo comma, Cost.,
che non sovverte i princípi fondamentali del sistema assicurativo, e,
in particolare, quello sinallagmatico; l'art. 41 Cost., poiché
impongono il pagamento del contributo solo da parte di alcune imprese,
prevedono un'imposizione contributiva in assenza di rischio tutelabile
e di esigenza previdenziale da soddisfare e pongono a carico delle
imprese obblighi contributivi sproporzionati rispetto al fine di
assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze in caso di
malattia; l'art. 53 Cost., perché, se si dovesse ritenere che il
principio di solidarietà escluda il nesso sinallagmatico tra
contribuzione e prestazione, ci si troverebbe di fronte ad un vero e
proprio tributo in relazione al quale dovrebbe operare il principio
della capacità contributiva.
2. –
L'analogia delle questioni prospettate rende opportuna la riunione dei
giudizi al fine della loro trattazione congiunta e della loro
decisione con un'unica sentenza.
3. –
Preliminarmente, deve essere dichiarato inammissibile l'intervento
spiegato dalla Hera s.p.a. nel giudizio iscritto al n. 427 del
registro ordinanze 2007, perché la società non riveste la qualità di
parte nel relativo giudizio a quo.
4. – Le
questioni sollevate rispetto all'art. 6 della legge n. 138 del 1943,
agli artt. 1 e 2 del d. lgs. lgt. n. 142 del 1946, n. 142, all'art. 2
del d. lgs. C. p. S. n. 1304 del 1947, all'art. 74 della legge n. 833
del 1978, ed all'art. 14 della legge n. 155 del 1981, sono
manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza nei giudizi
principali.
Tali
giudizi hanno ad oggetto la pretesa dell'INPS di ottenere il pagamento
dei contributi di malattia da parte di datori di lavoro che hanno
omesso il relativo versamento in quanto obbligati per contratto
collettivo a corrispondere ai loro dipendenti la retribuzione anche
durante il periodo di malattia.
Ora,
l'art. 6 della legge n. 138 del 1943 dispone, al secondo comma, che
l'indennità di malattia non è dovuta dall'ente previdenziale nel caso
in cui il datore di lavoro corrisponda al dipendente malato la
retribuzione. Questa Corte ha già dichiarato manifestamente
inammissibile l'identica questione sollevata su tale norma, poiché
questa nulla dispone in merito all'obbligo contributivo del datore di
lavoro, con la conseguenza che la sollecitata dichiarazione di
illegittimità non risolverebbe il dubbio di costituzionalità sollevato
dal rimettente (ordinanza n. 241 del 2006). La medesima considerazione
vale nel presente caso.
Gli artt. 1
e 2 del d. lgs. lgt. n. 142 del 1946 prevedono che la quota di
contributi dovuta dai lavoratori per alcune forme di previdenza e
assistenza (tra le quali è compresa l'assicurazione contro le
malattie) è corrisposta, senza alcun diritto di rivalsa, dai datori di
lavoro in luogo dei lavoratori. Si tratta, quindi, di disposizioni le
quali stabiliscono che è il datore di lavoro il soggetto tenuto a
versare i contributi di malattia e che nulla è dovuto a questo titolo
dai lavoratori; le medesime disposizioni non prevedono alcunché circa
il regime di quella contribuzione e, in particolare, in tema di misura
del contributo o di eventuali cause di esonero dal pagamento dello
stesso. Non sono esse, dunque, le norme applicabili per la decisione
dei giudizi principali, nei quali non si fa questione della
distribuzione dell'onere contributivo tra datori di lavoro e
lavoratori.
L'art. 2,
primo comma, del d. lgs. C. p. S. n. 1304 del 1947 stabilisce che «Le
indennità giornaliere di malattia e gli altri assegni in denaro per
gli iscritti all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le
malattie, appartenenti al settore del commercio […] ed i contributi
dovuti per l'assicurazione malattia sono stabiliti nelle misure
indicate nelle tabelle A) e B) allegate al presente
decreto». Occorre però considerare che la misura della contribuzione
di malattia dovuta dalle imprese commerciali (attualmente ed anche nei
periodi – dall'aprile 1996 al dicembre 1998 e dal 1999 al 2004 – cui
si riferiscono le due cause sottoposte al Tribunale di Bolzano, unico
tra i rimettenti che ha censurato anche tale norma) non è quella
stabilita nella tabella B allegata al d. lgs. C. p. S. n. 1304 del
1947, bensì quella indicata nella tabella G allegata alla legge n. 41
del 1986. Pertanto, anche la questione relativa all'art. 2, primo
comma, del d. lgs. C. p. S. n. 1304 del 1947 è manifestamente
inammissibile, trattandosi di norma della quale il rimettente non deve
fare applicazione.
L'art. 74,
primo comma, della legge n. 833 del 1978 prevede che, a decorrere dal
1° gennaio 1980, l'erogazione delle prestazioni economiche per
malattia è attribuita all'INPS, al quale deve essere devoluta una
quota parte del contributo di malattia previsto dalla legge (all'epoca
destinato a finanziare anche le prestazioni sanitarie, ormai di
competenza delle strutture del servizio sanitario nazionale). Anche
tale norma nulla dispone in ordine alla disciplina del contributo di
malattia per i profili che qui interessano (misura ed eventuali cause
di esonero), limitandosi a prevedere che una quota del contributo di
malattia (originariamente unitario) dovrà essere attribuita all'INPS,
perché destinata a finanziare le prestazioni economiche di malattia.
Da tale norma non discende, quindi, la conseguenza secondo la quale le
imprese sono tenute al versamento del contributo di malattia anche
quando corrispondono la retribuzione ai dipendenti malati e, pertanto,
anche la questione di costituzionalità sollevata rispetto ad essa è
manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.
Infine,
l'art. 14 della legge n. 155 del 1981 stabilisce, al primo comma, che
la quota parte dei contributi da devolvere all'INPS per l'erogazione
delle prestazioni economiche di malattia è determinata nella misura
del 2,50 per cento della retribuzione imponibile. In proposito, vale
quanto già osservato rispetto all'art. 1 del d. lgs. C. p. S. n. 1304
del 1947: ormai la misura del contributo di malattia non è più quella
prevista nel citato art. 14, bensì quella indicata nella tabella G
allegata alla legge n. 41 del 1986. Ne consegue la manifesta
inammissibilità della questione per irrilevanza.
5. – Le
uniche norme rilevanti per la decisione dei giudizi a quibus
sono, dunque, l'art. 9 della legge n. 138 del 1943 (secondo il quale
«Agli scopi di cui sopra sarà provveduto con il contributo dei
lavoratori e dei datori di lavoro nella misura determinata dal
contratto collettivo di lavoro o da deliberazione dei loro competenti
organi ovvero nel decreto di cui al secondo comma dell'articolo 4») e
l'art. 31, comma 5, della legge n. 41 del 1986 (secondo cui «I
contributi dovuti dai datori di lavoro per i soggetti aventi diritto
alle indennità economiche di malattia sono fissati nelle misure
indicate nell'allegata tabella G»).
5.1. –
Rispetto a tali norme le questioni di legittimità costituzionale non
sono fondate.
5.2. – Con
riferimento all'art. 2 Cost., il Tribunale di Bolzano (unico ad
evocare tale parametro costituzionale) deduce che, seppure si deve
ammettere che il sistema previdenziale è informato al principio della
solidarietà sociale, tuttavia l'attuazione pratica di un simile
principio deve essere ragionevole e non può risolversi in un'iniqua
distribuzione del peso solidaristico.
La censura
non tiene conto del fatto che la predisposizione legislativa della
tutela previdenziale evita proprio che scatti, a carico dei datori di
lavoro, l'obbligo di corrispondere ai dipendenti malati la
retribuzione o una quota di essa, obbligo previsto dall'art. 2110,
primo comma, del codice civile. Quindi, a fronte del versamento del
contributo, i datori di lavoro ottengono comunque un vantaggio
(l'esonero dall'obbligo previsto dal menzionato art. 2110). Se poi
essi, pur potendo contare su un simile beneficio, decidono
liberamente, in sede di contrattazione collettiva, di addossarsi oneri
patrimoniali superiori rispetto a quelli che graverebbero su di loro
in forza delle disposizioni legislative, questa non costituisce una
circostanza dalla quale possa essere fatta discendere l'illegittimità
costituzionale di quelle disposizioni legislative per violazione
dell'art. 2 della Costituzione.
L'ampia
discrezionalità della quale gode il legislatore nel conformare, anche
in attuazione del principio di solidarietà, gli oneri della
contribuzione previdenziale, nel caso in esame è stata dunque
esercitata in modo non irragionevole.
Neppure
sono fondati i dubbi sollevati dai rimettenti sul rispetto del
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
E' vero che,
a fronte di datori di lavoro che si obbligano nel contratto collettivo
a corrispondere ai propri dipendenti malati la retribuzione, ve ne
sono altri che non si accollano lo stesso obbligo, ma è altrettanto
certo che le imprese che si sono assunte quell'obbligo lo hanno fatto
liberamente e non possono imputare all'ordinamento i maggiori costi
che da quella scelta derivano. L'obbligo per i datori di lavoro di
corrispondere la retribuzione ai dipendenti malati che avrebbero
comunque diritto alla tutela economica prevista dall'assicurazione di
malattia, non è la conseguenza di un'imposizione legale, bensì è il
frutto di una libera scelta negoziale degli stessi datori di lavoro e
delle organizzazioni che li rappresentano. L'ordinamento giuridico
detta un certo regime dell'obbligazione contributiva; sono poi i
datori di lavoro che, pur in presenza di quel regime giuridico,
decidono di negoziare clausole contrattuali che prevedono la
permanenza del loro obbligo retributivo anche durante il periodo di
malattia.
Circa il
rilievo secondo cui alcune categorie di operatori economici sarebbero
esonerate dal versamento del contributo di cui sopra, si deve
considerare, in primo luogo, che in realtà l'assicurazione di malattia
non riguarda tutti i lavoratori subordinati. Ve ne sono alcuni (come,
ad esempio, gli impiegati dell'industria o i dirigenti) che non sono
assicurati contro il rischio economico derivante dall'evento malattia;
i loro datori di lavoro non versano il contributo di malattia proprio
per questo motivo e non invece perché essi, in virtù di clausole
pattizie collettive, pagano a quei lavoratori la retribuzione anche
durante la malattia. Con riferimento a simili fattispecie, pertanto,
l'asserita disparità di trattamento tra categorie di imprese non
dipende dalla regola secondo la quale i datori di lavoro che
corrispondono la retribuzione ai dipendenti assicurati contro le
malattie debbono comunque versare il contributo di malattia all'INPS.
Quanto, poi,
al provvedimento con il quale l'INPS ha disposto che la RAI s.p.a. è
esonerata dall'obbligo contributivo in esame perché corrisponde ai
propri dipendenti la retribuzione durante il periodo di malattia, si
tratta di una decisione amministrativa inidonea a fungere da
tertium comparationis.
I
rimettenti, infine, denunciano un'illegittima disparità di trattamento
con riferimento alla disciplina prevista per il personale dell'ENEL
dal d. P. R. 17 marzo 1965, n. 145 (Disciplina dell'assicurazione
obbligatoria contro le malattie e del trattamento economico di
maternità per il personale dipendente dall'Ente Nazionale per
l'Energia Elettrica - ENEL). Questo stabilisce che l'ENEL è tenuto a
corrispondere al personale dipendente direttamente a proprio carico il
trattamento economico di malattia (art. 1, secondo comma) e che per
tale motivo il contributo di malattia dovuto dall'ente è ridotto
dell'1,25 per cento della retribuzione.
Il raffronto
con l'ENEL non è però pertinente perché, contrariamente alle imprese
parti nei giudizi a quibus, l'ENEL corrisponde al proprio
personale il trattamento di malattia, non in virtù di una propria
libera scelta negoziale, ma di un obbligo imposto dall'ordinamento. Le
due fattispecie non sono dunque comparabili. In ogni caso, dal fatto
che un solo datore di lavoro tra i tanti soggetti al versamento dei
contributi di malattia goda di un trattamento di favore non può
conseguire la caducazione della regola generale che prevede l'obbligo
di versare i contributi di malattia anche nel caso in cui si paga la
retribuzione.
Passando
all'art. 38 Cost., il Tribunale di Bolzano sostiene che tale norma
sarebbe violata perché essa si preoccupa unicamente di assicurare al
lavoratore mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita in caso di
malattia (esigenze nella fattispecie soddisfatte con l'erogazione
della retribuzione), senza nulla disporre in ordine ai mezzi con i
quali tale obiettivo deve essere perseguito e, in particolare, senza
derogare al fondamentale principio sinallagmatico in tema di
assicurazioni secondo il quale queste presuppongono necessariamente
l'esistenza di un rischio.
Anche sotto
questo profilo la questione non è fondata. L'art. 38 Cost. prevede che
ai lavoratori siano garantiti mezzi adeguati di sostentamento al
verificarsi di determinati eventi fonti di bisogno; come riconosce lo
stesso rimettente, da esso non è possibile ricavare specifiche
indicazioni circa la conformazione dell'obbligazione contributiva.
Non sono
fondate neppure le censure formulate con riferimento all'art. 41 della
Costituzione.
In
particolare, il Tribunale di Bolzano denuncia che l'art. 9 della legge
n. 138 del 1943 e l'art. 31, comma 5, della legge n. 41 del 1986,
imponendo il pagamento del contributo solamente ad alcune imprese,
porrebbero un ingiustificato ostacolo al pieno dispiegamento del
principio della libertà di iniziativa economica privata. Tale censura
non è fondata per gli stessi motivi già indicati a proposito della
lamentata lesione dell'art. 3 della Costituzione.
Il Tribunale
di Milano, invece, ritiene che l'art. 41 Cost. sarebbe violato, perché
l'art. 9 della legge n. 138 del 1943 prevedrebbe, senza alcuna
distinzione, un'imposizione contributiva in assenza di rischio
tutelabile e di esigenza previdenziale da soddisfare. L'assunto non è
esatto perché, nei casi in cui i datori di lavoro sono obbligati – per
previsione di contratto collettivo – a corrispondere la retribuzione
ai dipendenti in malattia, il rischio tutelabile e l'esigenza
previdenziale non sono annullati, ma solamente ridotti. Infatti, è
previsto che il diritto all'indennità di malattia permanga anche nei
due mesi successivi alla cessazione o alla sospensione del rapporto di
lavoro (si veda, ad esempio, l'art. 30 del contratto collettivo
nazionale per la disciplina del trattamento mutualistico di malattia
degli operai dell'industria del 3 gennaio 1939, richiamato dall'art.
6, quarto comma, della legge n. 138 del 1943, e tuttora vigente
secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità). Ciò significa
che il dipendente di un datore di lavoro contrattualmente obbligato a
corrispondere la retribuzione anche durante la malattia, il quale si
ammali nei due mesi successivi al suo licenziamento, non può
pretendere la retribuzione dal suo ormai ex datore di lavoro ed ha
diritto, invece, al pagamento dell'indennità di malattia da parte
dell'INPS.
Il Tribunale
di Bologna sostiene poi, che l'art. 41 Cost. sarebbe leso dall'art. 9
della legge n. 138 del 1943, perché quest'ultimo pone a carico dei
datori di lavoro obblighi contributivi sproporzionati rispetto al fine
di assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze in caso
di infortunio e malattia, rendendo il costo del lavoro più gravoso per
tali imprese, rispetto a quelle che non abbiano assunto
contrattualmente alcun impegno di far fronte alle medesime situazioni
di rischio. La censura non è fondata perché il pregiudizio alla
libertà di iniziativa economica che è denunciato è la conseguenza di
una libera scelta assunta in sede negoziale dai datori di lavoro (e,
cioè, proprio dell'esercizio della predetta libertà di iniziativa
economica).
Quanto
all'art. 53 Cost., il Tribunale di Milano sostiene che, se si dovesse
ritenere che il principio di solidarietà valga ad escludere il nesso
sinallagmatico tra contribuzione e prestazione, ci si troverebbe di
fronte ad un vero e proprio tributo, in relazione al quale dovrebbe
operare il principio della capacità contributiva, del tutto estraneo
al pagamento del contributo di malattia così come preteso dall'INPS.
Neppure tale censura è fondata, perché il nesso sinallagmatico non è
annullato neppure nel caso in cui il datore di lavoro sia obbligato a
corrispondere la retribuzione ai dipendenti in malattia, essendo esso
semplicemente attenuato, e pertanto il contributo in oggetto non ha
alcuna attinenza con l'imposizione tributaria, della quale peraltro
difettano i requisiti (doverosità della prestazione e collegamento di
questa alla pubblica spesa, con riferimento ad un presupposto
economicamente rilevante).
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i
giudizi,
1)
dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell'art. 6 della legge 11 gennaio 1943, n. 138
(Costituzione dell'Ente «Mutualità fascista - Istituto per
l'assistenza di malattia ai lavoratori»), degli artt. 1 e 2 del
decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile 1946, n. 142 (Disciplina
provvisoria del carico contributivo per le varie forme di previdenza e
di assistenza sociale), dell'art. 2 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 31 ottobre 1947, n. 1304 (Trattamento di
malattia dei lavoratori del commercio, del credito, dell'assicurazione
e dei servizi tributari appaltati), dell'art. 74 della legge 23
dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e
dell'art. 14 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle
strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni
e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia
previdenziale e pensionistica), sollevate, in riferimento agli artt.
2, 3, 38, 41 e 53 della Costituzione, dai Tribunali di Bolzano, Milano
e Bologna con le ordinanze in epigrafe;
2)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 9 della legge n. 138 del 1943, sollevate, in riferimento
agli artt. 2, 3, 38, 41 e 53 della Costituzione, dai Tribunali di
Bolzano, Milano e Bologna con le ordinanze in epigrafe;
3)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 1986), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 38, 41 e
53 della Costituzione, dal Tribunale di Bolzano con le ordinanze n.
427 e n. 428 del 2007 in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 25 febbraio 2008.
F.to:
Franco BILE,
Presidente
Luigi MAZZELLA,
Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 4 marzo 2008.
Il Direttore
della Cancelleria
F.to: DI
PAOLA |