Tribunale di Roma, sezione
lavoro, sentenza 2 aprile 2007, n. 6445
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ritualmente notificato P.S. citava in giudizio la società XX,
esponendo di avere lavorato alle dipendenze della stessa con mansioni
riconducibili all’area operativa in virtù di un contratto a termine
stipulato nel periodo 03.05.04/30.09.04 e che la sua assunzione era
motivata " ai sensi del D.Lgs n° 368/01, per ragioni di carattere
sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla
sostituzione del personale addetto al servizio di smistamento e
movimentazione carichi presso…..assente con diritto alla conservazione del
posto" [1]. Sulla base di articolate considerazioni in diritto, chiedeva
al giudice, previa declaratoria della nullità o comunque
dell’illegittimità della clausola di apposizione del termine, di
dichiarare che tra le parti si era costituito un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, di ordinare la riammissione in servizio e
conseguentemente di condannare la società XX al risarcimento dei danni
nella misura di tutte le retribuzioni arretrate a far tempo dalla
cessazione dal servizio, oltre accessori e vinte le spese di lite. Si
costituiva la società XX deducendo la legittimità della clausola
appositiva del termine di cui al contratto de quo e, chiedendo il rigetto
del ricorso; nella denegata ipotesi di accoglimento eccepiva l’aliunde
perceptum [2]. Acquisita documentazione, all’udienza del 2.04.2007 la
causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo, del quale era
data lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva il giudice che il ricorso è meritevole di accoglimento perchè
fondato. La ricorrente è stata assunta con mansioni riconducibili all’area
operativa con contratto a termine motivati "ai sensi del D. Lgs n° 368/01
per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di
provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di
smistamento e movimentazione carichi presso il Polo C. L. assente con
diritto alla conservazione del posto". Il predetto contratto è stato
stipulato nella vigenza della disciplina introdotta dal D.l.vo n.
368/2001. Il citato decreto legislativo ha dato attuazione alla direttiva
1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato ed
all’art. 1, 1° comma prescrive "è consentita l’apposizione di un termine
alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo"; al II comma
prevede poi che tali ragioni debbano essere specificate nell’atto scritto
con il quale viene apposta la clausola del termine. Secondo condivisibile
orientamento della giurisprudenza e della dottrina la scelta del
legislatore di passare da un sistema di ipotesi legislativamente
tipizzate, integrate poi da quelle liberamente individuate dall’autonomia
collettiva, ad un sistema che demanda al datore di lavoro la
individuazione delle ragioni (sostitutive, organizzative o produttive) che
giustificano l’apposizione del termine non ha comportato una assoluta e
completa liberalizzazione dell’istituto, né tantomeno ha significato una
inversione di rotta rispetto al principio che il contratto a tempo
indeterminato è la regola ed i casi di apposizione del termine
costituiscono l’eccezione. Ed infatti la nuova disciplina risponde alle
vincolanti indicazioni della direttiva comunitaria 28/6/1999 n. 70,
attuativa dell’accordo quadro del 18/06/1999 n.70, che consente
l’utilizzazione del contratto a termine solo se basata su ragioni
oggettive, puntualmente specificate, e rispondente a determinate regole
finalizzate ad evitare gli abusi. La sussistenza di tali limiti già di per
sé dimostra che anche nell’ottica della nuova legge il contratto a tempo
indeterminato rappresenta tuttora la forma comune dei rapporti di lavoro,
senza contare poi che indicazioni in tal senso emergono anche dall’accordo
quadro sopra richiamato. La necessità di una specifica individuazione
nell’accordo scritto delle regioni giustificative dell’apposizione del
termine non può che tradursi sul piano processuale nella possibilità di
verifica oggettiva da parte del Giudice di tali ragioni, il quale deve
essere posto in grado di avere cognizione esatta e precisa della
motivazione dell’assunzione a termine. È’ quindi evidente che non è
sufficiente un mero richiamo a formule di stile o generiche, ma è di
contro necessario che nell’atto scritto vengano puntualmente esplicitate
le esigenze datoriali che hanno reso necessaria l’assunzione del
lavoratore nell’ambito della struttura con specifico riferimento alle
mansioni affidate. Nel caso di specie deve in primo luogo rilevarsi che la
motivazione indicata nel contratto individuale non risponde al criterio di
"specificazione" nell’accezione sopra precisata: infatti tale causale
richiama pedissequamente il dettato normativo con riferimento a ragioni di
carattere sostitutivo che non vengono, contrariamente alla dizione
utilizzata, affatto specificate ma restano genericamente indicate nella
esigenza di sostituzione del personale del servizio smistamento e
movimentazione carichi dell’intero C. d C. (per la sig.ra C.) o
dell’Ufficio di R. di S. P. (per la sig.ra C.). Appare evidente che una
clausola di tale ampiezza, fondata sul mero richiamo ad esigenze
sostitutive relative a tutto il personale addetto ad un servizio,
senz’altro essenziale nell’organizzazione aziendale, e riferite ad un polo
operativo di vaste proporzioni non consente di poter verificare
l’effettiva sussistenza di ragioni giustificative della singola assunzione
con riferimento alla specifica unità operativa alla quale le ricorrenti
erano state assegnate. L’assenza del requisito della specificità conduce a
ritenere la nullità della clausola appositiva del termine che peraltro
emerge anche sotto altro profilo: infatti sul piano probatorio non v’è
dubbio che incomba sulla società convenuta l’onere di dimostrare la
concreta sussistenza delle ragioni giustificative dell’apposizione del
termine, nonché il rapporto di causalità tra le predette ragioni e la
singola assunzione. Secondo i generali principi sull’onere della prova
spetta infatti a chi invochi la legittimità della stipulazione a termine
dimostrare la correlazione tra le ragioni della stipulazione a termine e
le ragioni sottese alla previsione astratta di ammissibilità della
stipulazione stessa. Orbene, deve in proposito ritenersi che le richieste
ed allegazioni istruttorie formulate sul punto dalla società convenuta
sono del tutto generiche e quindi inidonee all’assolvimento dell’onere
probatorio in merito alla specifica posizione di lavoro di parte
ricorrente. In sostanza le deduzioni datoriali, formanti altresì oggetto
delle conformi istanze di prova, appaiono inidonee a comprovare la
sussistenza delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine
così come indicate i contratto e quindi, anche sotto questo profilo, deve
ritenersi la nullità della clausola appositiva del termine. Ciò premesso,
mentre nella disciplina di cui alla legge 230/1962 era espressamente
prevista la conseguenza dell’illegittima apposizione del termine (il
contratto doveva in tal caso reputarsi a tempo indeterminato, ai sensi
dell’art. 1 della legge n. 230 del 1962) [3] nella disciplina vigente non
è più contenuta una disposizione del genere nel caso di mera apposizione
ingiustificata o vietata del termine. Infatti, l’art. 5 del D.l.vo
368/2001 [4] prevede la c.d. "conversione" solo nell’ipotesi di
prosecuzione di fatto del lavoro dopo la scadenza del termine oltre un
determinato periodo (20 o 30 giorni, a seconda della durata del
termine originariamente fissato) o in caso di riassunzioni a termine senza
il rispetto del prescritto intervallo. E’ altresì prevista l’inefficacia
della clausola appositiva del termine in caso di mancata indicazione
per iscritto della clausola e delle specifiche ragioni giustificatrici. Ma
nulla dispone la disciplinain esame per l’ipotesi in cui le ragioni
espressamente indicate a fondamento dell’apposizione del termine risultino
infondate ovvero non adeguatamente comprovate dal datore di lavoro in
giudizio. Nel silenzio della legge deve ritenersi che, alla stregua dei
generali principi in materia di nullità ed in particolare dell’art. 1419
II comma c.c. [5], la nullità investe solo la clausola appositiva del
termine, in quanto la necessità di giustificazione ed i divieti normativi
si riferiscono solo a tale patto, ferma restando la validità del contratto
di lavoro stipulato inter partes come contratto a tempo indeterminato. Non
può condividersi l’opinione di parte convenuta secondo la quale, non
risultando che le parti avrebbero concluso il contratto anche senza la
clausola di apposizione del termine, dovrebbe ritenersi la nullità
dell’intero contratto: ed infatti, come rilevato da condivisibili
pronunzie di questo Tribunale, tale conclusione sarebbe paradossale in
quanto priverebbe il lavoratore di ogni tutela salvo quella di cui
all’art. 2126 c.c. [6] ed i datori di lavoro potrebbero concludere sempre
e comunque contratti a termine indicando anche ragioni giustificative
fittizie poiché la conseguenza sarebbe solo quella inerente al pagamento
delle retribuzioni per il periodo di lavoro; inoltre, la tesi prospettata
da parte convenuta finirebbe con il contrastare con il principio cd. di
non regresso di cui alla direttiva 1999/70/CE, in base al quale
l’attuazione dei principi dell’accordo quadro non costituisce motivo
valido per ridurre il generale livello di tutela offerto ai lavoratori
nell’ambito coperto dall’accordo stesso. Il ricorso merita pertanto
accoglimento con la dichiarazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato dal 03.05.2004, data
di iniziale decorrenza del contratto a termine stipulato inter partes, e
con l’obbligo della società resistente di riammettere in servizio la parte
ricorrente. Quanto alle ulteriori conseguenze economiche, va osservato che
secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità
(Cass. 17.10.2001, n. 12697; cfr. anche Cass. 17.6.1998, n. 6056 e Cass.
7.2.1996, n. 976) per i periodi cc.dd. non lavorati non esiste un obbligo
retributivo da parte del datore di lavoro, ma solamente un obbligo
risarcitorio, parametrato alla retribuzione non percepita, a partire dal
momento in cui il lavoratore ha messo a disposizione le proprie energie
lavorative. Nel caso in esame la ricorrente ha messo in mora la società
convenuta con la raccomandata a.r. ricevuta l’11.7.2006, e quindi è da
tali date che deve decorrere l’obbligo risarcitorio della società,
parametrato all’ultima retribuzione globale di fatto, così come indicata
da parte ricorrente e non contestata, e fino all’effettivo ripristino del
rapporto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla
maturazione al saldo. La sussistenza di difformi orientamenti
giurisprudenziali sulla materia trattata induce, per evidenti ragioni di
equità, alla compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
Dichiara la nullità del termine apposto al contratto decorrente dal
03.05.2004; dichiara la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal 03.05.2005 ed ordina
il ripristino del rapporto; condanna la società convenuta a ripristinare
tale rapporto e al pagamento della retribuzioni maturate con decorrenza
dall’11.07.2006 sino all’effettiva ricostituzione del rapporto, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo.
Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Roma, 2 aprile 2007
Il Giudice
Dott.ssa Bracci
Depositato in cancelleria in data 02.04.2007 |