SENTENZA N. 116
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi
MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Palermo nel procedimento
vertente tra C. C. e l’INPS ed altra con ordinanza del 30 marzo 2010,
iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale,
dell’anno 2010.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore
Alessandro Criscuolo;
udito l’avvocato Antonietta Coretti per l’INPS.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro, con
l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di
parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di
ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di
usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di
ingresso del bambino nella casa familiare».
2. — Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunziarsi nel
giudizio di merito, iniziato dalla signora C. C. nei confronti
dell’Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) e di Telecom
Italia Mobile (TIM) Italia Spa ai sensi dell’art. 669-octies del
codice di procedura civile ed espone che l’attrice, la cui figlia era
stata ricoverata fin dalla nascita presso il Policlinico di Palermo in
terapia intensiva, venendo dimessa soltanto l’8 agosto 2005, era stata
posta in congedo obbligatorio dall’INPS, in base all’art. 16 d.lgs. n.
151 del 2001, a far tempo dalla data del parto medesimo.
La lavoratrice aveva inoltrato all’ente previdenziale la richiesta di
usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla
data presunta del parto, oppure dall’ingresso della neonata nella casa
familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione
lavorativa fino ad una di tali date, ma l’INPS aveva respinto detta
richiesta.
Pertanto – aggiunge il rimettente – la parte privata aveva promosso un
procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., in
esito al quale il Tribunale di Palermo, in accoglimento del ricorso,
aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi dall’attività
lavorativa a far data dall’8 agosto 2005 e per i cinque mesi
successivi, fissando il termine perentorio di trenta giorni per
l’inizio del giudizio di merito, instaurato con domanda diretta ad
ottenere la declaratoria del diritto della signora C. C. ad astenersi
dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Ciò premesso, il giudicante – ritenuta rilevante la questione
sollevata, in quanto dalla dichiarazione d’illegittimità
costituzionale della norma censurata dipenderebbe l’accoglimento della
domanda nel merito – richiama il dettato di tale norma che,
disciplinando il congedo di maternità, vieta di adibire al lavoro le
donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto,
salvo quanto previsto dall’art. 20 d.lgs. n 151 del 2001; b) ove il
parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la
data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi
dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del
parto, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella
presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità
dopo il parto. Inoltre, richiama il successivo art. 17 che disciplina
l’estensione del divieto, nonché l’art. 18 il quale sanziona con
l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni de quibus.
In questo quadro, il Tribunale osserva che l’art. 16 d.lgs. n. 151 del
2001 trova un precedente nell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n.
1204 (Tutela delle lavoratrici madri), come modificato dall’art. 11
della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della
maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle città).
Il detto art. 4, poi abrogato con l’intera legge n. 1204 del 1971
dall’art. 86 d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l’altro) il
divieto di adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il
parto.
Questa Corte, con sentenza n. 270 del 1999, dichiarò l’illegittimità
costituzionale della norma, «nella parte in cui non prevede(va) per
l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo
dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela
della madre e del bambino».
Il rimettente osserva che, anche in base al tenore del citato art. 16,
la domanda della attrice, diretta ad usufruire dell’intero periodo di
congedo (tre mesi più due mesi) dalla data d’ingresso della figlia
nella casa familiare, ovvero dalla data presunta del parto, non
potrebbe essere accolta, neppure in via parziale, restando l’obbligo
del datore di lavoro, sanzionato penalmente, di non adibire la donna
al lavoro dopo il parto, per il periodo già detto.
Il Tribunale rileva che il giudice del procedimento cautelare ha dato
luogo ad una interpretazione sistematica e costituzionalmente
orientata, in guisa da consentire, nell’ipotesi in esame, la
decorrenza dell’intero periodo di congedo obbligatorio dal momento
dell’ingresso in famiglia della neonata. Ritiene, però, di non poter
condividere la detta interpretazione, in quanto essa trova un ostacolo
non aggirabile per effetto del citato art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001,
il quale punisce l’inosservanza delle disposizioni contenute negli
artt. 16 e 17 con l’arresto fino a sei mesi.
Pertanto, ad avviso del rimettente, la nuova disciplina della materia
presenta gli stessi vizi di legittimità costituzionale riscontrati da
questa Corte con riferimento all’art. 4 della legge n. 1204 del 1971,
perché il circoscritto intervento del legislatore non sarebbe
sufficiente.
La norma censurata, infatti, determinerebbe una ingiustificata
disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., tra il caso
di parto a termine e quello di parto prematuro, consentendo soltanto
nel primo caso un’adeguata tutela della maternità e la salvaguardia
dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo
familiare (artt. 29, 30, 31, 37 Cost.).
Invero, come già sottolineato da questa Corte nella sentenza citata,
finalità dell’istituto dell’astensione obbligatoria (oggi congedo) dal
lavoro sarebbe sia la tutela della puerpera, sia la tutela del
nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio, che si
instaura fin dai primi attimi di vita in comune ed è decisiva per il
corretto sviluppo del bambino e per lo svolgimento del ruolo di madre.
La norma censurata, non prevedendo la possibilità di differire il
congedo obbligatorio fino al momento in cui il bambino può fare
ingresso in famiglia dopo il ricovero successivo alla nascita, non
garantirebbe la suddetta esigenza di tutela, specialmente quando, come
nel caso in esame, la dimissione del bambino coincide con il termine
del congedo.
Inoltre, la detta norma non consentirebbe alla puerpera di tornare al
lavoro se non con il decorso di cinque mesi dal parto, anche quando,
pur non potendo svolgere il suo ruolo di madre e di assistenza del
minore affidato alle cure dei sanitari, le sue condizioni di salute lo
permetterebbero.
Sarebbe innegabile, dunque, che anche la norma in esame sia in
contrasto con il principio di parità di trattamento e con i valori
costituzionali di protezione della famiglia e del minore, con
conseguente violazione dei predetti parametri costituzionali.
In definitiva, ad avviso del rimettente, la norma censurata non ha
colmato il vuoto normativo già posto in evidenza con la citata
sentenza della Corte costituzionale; e, a sostegno della necessità di
un ulteriore intervento del giudice delle leggi, andrebbe richiamato
l’art. 14, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno
2002, n. 163 (Recepimento dello schema di concertazione per le Forze
armate relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio
economico 2002-2003), alla stregua del quale «In caso di parto
prematuro, al personale militare femminile spetta comunque il periodo
di licenza di maternità non goduto prima della data presunta del
parto. Qualora il figlio nato prematuro abbia necessità di un periodo
di degenza presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, la
madre ha facoltà di riprendere servizio richiedendo, previa
presentazione di un certificato medico attestante la sua idoneità al
servizio, la fruizione del restante periodo di licenza di maternità
post-parto e del periodo ante-parto, qualora non fruito, a decorrere
dalla data di effettivo rientro a casa del bambino».
3. — Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito
l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), depositando il 3
settembre 2010 una memoria, con la quale ha chiesto che la questione
sollevata dal rimettente sia dichiarata inammissibile o, comunque, non
fondata.
Dopo aver riassunto i fatti esposti nell’ordinanza di rimessione,
l’INPS osserva che, ad avviso del rimettente, la disparità di
trattamento sussisterebbe tra «la fattispecie di parto e termine e
quella di parto prematuro», in quanto l’art. 16, comma 1, lettera d),
d.lgs. n. 151 del 2001 (nonché le connesse disposizioni di cui agli
artt. 17 e 18 dello stesso decreto), nel disporre che, in caso di
parto prematuro, il congedo obbligatorio dal lavoro (cinque mesi) si
colloca soltanto nel periodo immediatamente successivo al parto,
consentirebbe che solo in caso di parto a termine si realizzi
«un’adeguata tutela della maternità e una salvaguardia dei diritti,
costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo familiare (artt.
29, 30, 31, 37)».
Tale questione – prosegue l’Istituto – fu già affrontata da questa
Corte con la sentenza n. 270 del 1999. Con tale pronuncia (cosiddetta
additiva di principio), fu dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971 (ora
art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001), nella parte in cui non prevedeva,
per l’ipotesi di parto prematuro, una decorrenza dei termini del
periodo di astensione obbligatoria idonea ad assicurare un’adeguata
tutela della madre e del bambino.
La citata sentenza indicò «delle possibili soluzioni da adottare per
risolvere la questione oggi in esame», aggiungendo che la scelta
spettava al legislatore.
Orbene, la norma qui censurata prevede (tra l’altro) il divieto di
adibire al lavoro le donne «durante gli ulteriori giorni non goduti
prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto
a quella presunta rispetto a quella presunta. Tali giorni sono
aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto».
Pertanto, ad avviso dell’INPS, il legislatore, in caso di parto
prematuro, avrebbe stabilito che il periodo di astensione obbligatoria
sia comunque pari a cinque mesi complessivi, prescindendo dalla data
del parto, e, qualora la nascita avvenga in data anticipata rispetto a
quella presunta, avrebbe previsto che i giorni non goduti (cioè quelli
correnti tra la data presunta e quella effettiva) siano aggiunti al
periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. Tale soluzione
sarebbe in armonia con altre disposizioni del d.lgs. n. 151 del 2001
e, in particolare, con l’art. 18 dello stesso decreto, che sanziona
con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni
contenute negli artt. 16 e 17. In altri termini, si sarebbe ritenuto
inderogabile ancorare la decorrenza del congedo obbligatorio alla data
del parto.
In questo quadro l’Istituto eccepisce, in primo luogo,
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
Infatti il legislatore del 2001, proprio a seguito della menzionata
sentenza n. 270 del 1999, avrebbe adottato una delle possibili
soluzioni idonee a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere,
nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dopo il
parto effettivo, equilibrando così la situazione tra il caso di parto
a termine e quello di parto prematuro.
Al contrario di quanto sostenuto dal giudice a quo, la richiesta di
pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata. Nella
vicenda in esame, la possibilità di diverse soluzioni con le quali
risolvere il problema della decorrenza dell’astensione obbligatoria in
caso di parto prematuro sarebbe stata posta in evidenza dalla stessa
Corte costituzionale; circostanza, quest’ultima, che confermerebbe
come la questione sollevata rientri nell’ambito della discrezionalità
del legislatore.
In ogni caso, la detta questione sarebbe non fondata.
La soluzione adottata dal legislatore sarebbe idonea a porre rimedio
all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro,
l’intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo.
In realtà, proprio l’invocato intervento additivo «non solo
comporterebbe un inammissibile esercizio della discrezionalità
politica riservato al legislatore, ma darebbe anche origine ad
effettive disparità di trattamento».
Infatti, un’eventuale diversa disciplina della decorrenza del congedo
obbligatorio per il caso di parto prematuro, con degenza ospedaliera
del neonato, determinerebbe un’effettiva discriminazione rispetto al
caso di parto a termine con neonato affetto da malattia necessitante
di ricovero ospedaliero.
I principi costituzionali richiamati dal rimettente sarebbero ben
salvaguardati sia dalla norma denunciata sia dagli altri istituti
contemplati dal vigente ordinamento, come il congedo per malattia del
figlio e il congedo facoltativo.
Sarebbe vero che la ratio dell’astensione obbligatoria è volta alla
tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio,
che s’instaura fin dai primi atti della vita in comune, ma sarebbe
vero del pari che tale istituto è diretto anche a favorire il recupero
psico-fisico della partoriente. Consentire alla puerpera di rientrare
al lavoro subito dopo il parto potrebbe dar luogo ad un abbassamento
della tutela della sua salute.
Infine, il richiamo all’art. 14, comma 5, d.P.R. n. 163 del 2002 non
sarebbe pertinente, in quanto tale normativa non potrebbe costituire
un idoneo tertium comparationis, dato il suo carattere eccezionale,
«siccome riferita ad una categoria di lavoratrici che presta
prestazioni lavorative del tutto speciali (personale militare), non
estensibile, pertanto, fuori del sistema considerato».
Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel
presente giudizio.
Considerato in diritto
1. — Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro, con
l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita – in riferimento agli
articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della
Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 16 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo
2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di parto
prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di
ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di
usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di
ingresso del bambino nella casa familiare».
2. — Il giudice a quo premette che una lavoratrice dipendente – avendo
avuto un parto prematuro perché la figlia, la cui nascita era prevista
per il primo luglio 2005, era venuta alla luce il 25 marzo 2005, con
immediato ricovero in terapia intensiva presso il Policlinico di
Palermo, da cui era stata dimessa soltanto l’8 agosto 2005 – aveva
chiesto all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di
usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla
data presunta del parto, oppure dall’ingresso della neonata nella casa
familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione
lavorativa fino ad una di tali date, ma l’INPS aveva respinto la
richiesta. Pertanto la lavoratrice aveva promosso, nei confronti del
detto Istituto e di Telecom Italia Mobile (TIM) Italia Spa, un
procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura
civile, in esito al quale il Tribunale di Palermo, accogliendo il
ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi
dall’attività lavorativa a far data dall’8 agosto 2005 e per i cinque
mesi successivi, fissando il termine perentorio di trenta giorni per
l’inizio del giudizio di merito, che era stato instaurato con domanda
diretta ad ottenere la declaratoria del diritto dell’attrice
all’astensione dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Ciò premesso, il Tribunale osserva che la norma censurata trova un
precedente nell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela
delle lavoratrici madri), come modificato dall’articolo 11 della legge
8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e
della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento dei tempi delle città). Il detto art. 4, poi abrogato
con l’intera legge n. 1204 del 1971 dall’art. 86 del d.lgs. n. 151 del
2001, stabiliva (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro la donna
durante i tre mesi dopo il parto.
Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 270
del 1999, dichiarò l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 4,
«nella parte in cui non prevede(va) per l’ipotesi di parto prematuro
una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria
idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino».
Osserva che, anche in base al tenore del citato art. 16, la domanda
dell’attrice, diretta ad usufruire dell’intero periodo di congedo (tre
mesi più due mesi) dalla data d’ingresso della figlia nella casa
familiare, ovvero dalla data presunta del parto, non potrebbe essere
accolta, restando l’obbligo del datore di lavoro, sanzionato
penalmente (art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001), di non adibire la donna
al lavoro dopo il parto, per il periodo già detto.
Inoltre egli rileva di non poter condividere l’interpretazione
compiuta dal giudice cautelare, avuto riguardo alla sanzione penale
prevista dal citato art. 18 per l’inosservanza delle disposizioni
contenute nell’art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001, e solleva questione
di legittimità costituzionale dello stesso art. 16, in riferimento ai
parametri sopra indicati (come esposto in narrativa).
3. — In via preliminare, la difesa dell’INPS ha eccepito
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale,
sostenendo che il legislatore del 2001, a seguito della sentenza di
questa Corte n. 270 del 1999, avrebbe adottato «una delle possibili
soluzioni idonee a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere,
nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dal lavoro
dopo il parto effettivo, equilibrando così la situazione tra la
fattispecie di parto a termine e quella di parto prematuro».
Pertanto, la richiesta pronuncia additiva non sarebbe
costituzionalmente obbligata, ma rientrerebbe tra le scelte possibili
rimesse alla discrezionalità del legislatore, come, del resto, proprio
questa Corte avrebbe posto in evidenza con la statuizione sopra
indicata.
L’eccezione non è fondata.
E’ vero che la sentenza n. 270 del 1999, dopo aver rilevato
«l’incongruenza della disposizione in parola nell’ipotesi di parto
prematuro», osservò che si proponevano diverse soluzioni «con
specifico riguardo alla decorrenza del periodo di astensione,
spostandone l’inizio o al momento dell’ingresso del neonato nella casa
familiare, o alla data presunta del termine fisiologico di una
gravidanza normale» (punto 5 del Considerato in diritto). La stessa
sentenza mise in luce che la prima soluzione era analoga a quella
relativa all’ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza
n. 332 del 1998), mentre la seconda era parsa meritevole di essere
seguita dal disegno di legge n. 4624, recante «Disposizioni per
sostenere la maternità e la paternità e per armonizzare i tempi di
lavoro, di cura e della famiglia», presentato dal Governo alla Camera
dei Deputati in data 3 marzo 1998. Essa aggiunse che «La scelta tra le
diverse possibili soluzioni spetta al legislatore», pervenendo
comunque alla declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 4,
primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971, nella parte in
cui non prevedeva per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei
termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare
una adeguata tutela della madre e del bambino.
Ciò posto, a parte quanto sarà detto di qui a poco, allorché si
esaminerà il merito della questione, una riflessione ulteriore va
compiuta in ordine al carattere, vincolato o discrezionale,
dell’individuazione della data dalla quale far decorrere il congedo
obbligatorio di maternità nell’ipotesi di parto prematuro.
Essa non può decorrere dalla data presunta del termine fisiologico di
una gravidanza normale. Questo criterio è giustificato per calcolare i
due mesi precedenti la data presunta del parto (art. 16, lettera a,
d.lgs. n. 151 del 2001), perché è l’unico utilizzabile in relazione ad
un evento non ancora avvenuto, il cui avveramento però è
ragionevolmente certo e riscontrabile. Non altrettanto può dirsi nel
caso di parto prematuro, perché in detta circostanza con il richiamo
alla data presunta si opera un riferimento ipotetico ad un evento che,
in realtà, è già avvenuto, onde il criterio si risolve in una mera
fictio che non consente la verifica della sua idoneità ad assicurare
una tutela piena ed adeguata della madre e del bambino per l’intero
periodo di spettanza del congedo. Del resto, lo stesso legislatore,
collegando rigidamente il decorso del congedo post partum alla data
del parto, mostra di volere per la detta decorrenza un riferimento
certo.
Pertanto, per individuare il dies a quo della decorrenza del periodo
di astensione in caso di parto prematuro, resta la soluzione di
ancorare – al termine del ricovero – la relativa data all’ingresso del
neonato nella casa familiare, vale a dire ad un momento certo,
sicuramente idoneo a stabilire tra madre e figlio quella comunione di
vita che l’immediato ricovero del neonato nella struttura ospedaliera
non aveva consentito. Tale soluzione, dunque, appare l’unica
percorribile, con conseguente infondatezza dell’eccezione sollevata
dall’ente previdenziale.
4. — Nel merito, la questione è fondata.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze
n. 270 del 1999, n. 332 del 1988, n. 1 del 1987), il congedo
obbligatorio, oggi disposto dall’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, senza
dubbio ha il fine di tutelare la salute della donna nel periodo
immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le
energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma, tuttavia,
considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura
tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni
più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di
carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della
personalità del bambino.
Il citato art. 16, che apre il capo recante la disciplina del congedo
di maternità, vieta di adibire al lavoro le donne: a) durante i due
mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto
all’art. 20 (che contempla la flessibilità del detto congedo); b) ove
il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la
data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi
dopo il parto, salvo quanto previsto all’art. 20. La lettera d),
infine, dispone che il divieto opera anche durante gli ulteriori
giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga in data
anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al
periodo di congedo di maternità dopo il parto.
Come si vede, il principio secondo cui il congedo obbligatorio post
partum decorre comunque dalla data di questo è rimasto immutato, anche
in relazione ai casi, come la fattispecie in esame, nei quali il parto
non è soltanto precoce rispetto alla data prevista, ma avviene con
notevole anticipo (cosiddetto parto prematuro), tanto da richiedere un
immediato ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera
pubblica o privata, dove deve restare per periodi anche molto lunghi.
In siffatte ipotesi – come questa Corte ha già avuto occasione di
rilevare (sentenza n. 270 del 1999) – la madre, una volta dimessa e
pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per
assistere il figlio ricoverato. Nel frattempo, però, il periodo di
astensione obbligatoria decorre, ed ella è obbligata a riprendere
l’attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa.
Né per porre rimedio a tale situazione può considerarsi sufficiente
aggiungere al periodo di congedo di maternità dopo il parto gli
ulteriori giorni non goduti prima di esso, trattandosi comunque di un
periodo breve (al massimo due mesi), che non garantisce la
realizzazione di entrambe le finalità (sopra richiamate) dell’istituto
dell’astensione obbligatoria dal lavoro.
Basta considerare che, nel caso di specie, rispetto alla data prevista
per il 1° luglio 2005, la bambina venne alla luce il 25 marzo 2005 e
rimase ricoverata in ospedale fino all’8 agosto 2005, vale a dire
quasi per l’intera durata dell’astensione obbligatoria della madre
ante e post partum.
In simili casi, com’è evidente, il fine di proteggere il rapporto, che
dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente
successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Tale situazione è
inevitabile quando la donna, per ragioni di salute (alla cui tutela il
congedo obbligatorio post partum è anche finalizzato), non possa
riprendere l’attività lavorativa e, quindi, debba avvalersi subito del
detto congedo. Non altrettanto può dirsi quando sia la stessa donna,
previa presentazione di documentazione medica attestante la sua
idoneità alle mansioni cui è preposta, a chiedere di riprendere
l’attività per poter poi usufruire del restante periodo di congedo a
decorrere dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
In detta situazione l’ostacolo all’accoglimento di tale richiesta,
costituito dal rigido collegamento della decorrenza del congedo dalla
data del parto, si pone in contrasto sia con l’art. 3 Cost., sotto il
profilo della disparità di trattamento – privo di ragionevole
giustificazione – tra il parto a termine e il parto prematuro, sia con
i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia (artt. 29,
primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.).
La tesi dell’ente previdenziale, secondo cui i principi dettati
sarebbero ben salvaguardati da altri istituti contemplati nel vigente
ordinamento, come il congedo per malattia del figlio e il congedo
facoltativo, non può essere condivisa. Si tratta, infatti, d’istituti
diversi, diretti a garantire una tutela diversa e ulteriore, che però
non possono essere invocati per giustificare la carenza di protezione
nella situazione ora evidenziata.
Quanto alla decorrenza del congedo obbligatorio dopo il parto, in caso
di parto prematuro con ricovero del neonato presso una struttura
ospedaliera pubblica o privata, essa va individuata nella data
d’ingresso del bambino nella casa familiare al termine della degenza
ospedaliera. Si richiamano, al riguardo, le considerazioni svolte nel
punto 3 che precede.
5. — Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 16, lettera c), d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui
non consente, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato in
una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice
possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni
di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio
che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso
del bambino nella casa familiare.
Infine, è il caso di chiarire, con riguardo all’art. 18 d.lgs. n. 151
del 2001, che punisce con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza
delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 del medesimo decreto,
che la suddetta pronuncia non estende l’area della punibilità della
fattispecie penale. Essa, infatti, non modifica i destinatari della
norma né la sanzione, limitandosi ad introdurre per la donna
lavoratrice la facoltà di ottenere una diversa decorrenza del congedo
obbligatorio, che rimane pur sempre nell’ambito applicativo della
norma censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, lettera c),
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di
parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria
pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua
richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate
da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di
parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella
casa familiare.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI |
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