Corte Europea di Giustizia: mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese
Con sentenza n. C-108/2010 del 6 settembre 2011, la Corte di giustizia europea ha affermato che il trasferimento di un lavoratore, da una pubblica amministrazione ad un'altra, non può comportare un peggioramento nella sua retribuzione.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 6 settembre 2011 (*) «Politica sociale – Direttiva 77/187/CEE – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese – Nozioni di “impresa” e di “trasferimento” – Cedente e cessionario di diritto pubblico – Applicazione, sin dalla data del trasferimento, del contratto collettivo vigente presso il cessionario – Trattamento retributivo – Riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente» Nel procedimento C‑108/10, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Venezia, con decisione 4 gennaio 2010, pervenuta in cancelleria il 26 febbraio 2010, nella causa Ivana Scattolon contro Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, LA CORTE (Grande Sezione), composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.–C. Bonichot, J.–J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. M. Safjan, giudici, avvocato generale: sig. Y. Bot cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° febbraio 2011, considerate le osservazioni presentate: – per la sig.ra Scattolon, dagli avv.ti N. Zampieri, A. Campesan e V. De Michele; – per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato; – per la Commissione europea, dalla sig.ra C. Cattabriga e dal sig. J. Enegren, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 aprile 2011, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26), della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16), nonché di vari principi generali del diritto. 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Scattolon ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (in prosieguo: il «Ministero») in merito al mancato riconoscimento, a seguito del trasferimento della sig.ra Scattolon alle dipendenze del Ministero, dell’anzianità di servizio che la medesima aveva maturato presso il comune di Scorzè, suo originario datore di lavoro. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 L’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 disponeva, nella sua versione iniziale, quanto segue: «La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione». 4 Ai sensi dell’art. 2 di tale direttiva, si intendeva per «cedente» ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, n. 1, di detta direttiva, perde la veste di imprenditore, e per «cessionario» ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento del genere, acquisisce la veste di imprenditore. 5 L’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 77/187 disponeva che: «1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. (…) 2. Dopo il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo. Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno». 6 L’art. 4 della direttiva 77/187 così recitava: «1. Il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione. (…) 2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è rescisso in quanto il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la rescissione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro». 7 In seguito all’entrata in vigore della direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE, che modifica la direttiva 77/187 (GU L 201, pag. 88), il cui termine di recepimento scadeva, per gli Stati membri, il 17 luglio 2001, l’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 era così redatto: «(a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione. b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria. c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un’attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva». 8 Per motivi di razionalizzazione normativa, la direttiva 77/187, come modificata dalla direttiva 98/50, è stata abrogata con la direttiva 2001/23. 9 Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23 corrisponde a quello dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, come modificata dalla direttiva 98/50. Le definizioni delle nozioni di «cedente» e di «cessionario» di cui alla direttiva 2001/23 sono sostanzialmente identiche a quelle di cui all’art. 2 della direttiva 77/187. 10 Quanto all’art. 3 della direttiva 2001/23, i nn. 1 e 3 del medesimo corrispondono sostanzialmente ai nn. 1 e 2 dell’art. 3 della direttiva 77/187. Quanto all’art. 4 della direttiva 2001/23, esso corrisponde all’art. 4 della direttiva 77/187. La normativa nazionale L’art. 2112 del codice civile italiano 11 In Italia, l’attuazione della direttiva 77/187 e, di conseguenza, della direttiva 2001/23 è garantita, in particolare, dall’art. 2112 del codice civile ai sensi del quale, «in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. (…) Il cessionario è tenuto ad applicare [i] contratti collettivi (…) vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario». L’art. 8 della legge n. 124/99 e i decreti ministeriali di esecuzione 12 Sino al 1999, i servizi ausiliari presso le scuole pubbliche italiane consistenti, in particolare, nella pulizia e nella manutenzione dei locali, nonché nell’assistenza amministrativa erano garantiti, in parte, tramite il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: «ATA») dello Stato e, in parte, da enti locali, quali i comuni. Gli enti locali effettuavano tali compiti tramite il proprio personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: il «personale ATA degli enti locali»), ovvero mediante la stipula di contratti con imprese private. 13 Il personale ATA degli enti locali veniva retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Regioni Autonomie Locali (in prosieguo: il «CCNL del personale degli enti locali»). Il personale ATA dello Stato impiegato nelle scuole pubbliche era invece retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della Scuola (in prosieguo: il «CCNL della scuola»). 14 La legge 3 maggio 1999, n. 124, recante disposizioni urgenti in materia di personale scolastico (GURI n. 107, del 10 maggio 1999, pag. 4; in prosieguo: la «legge n. 124/99»), ha previsto il trasferimento del personale ATA degli enti locali, impiegato nelle scuole pubbliche, nei ruoli del personale ATA dello Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2000. 15 A tal proposito l’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 124/99 così dispone: «1. Il personale ATA degli istituti e scuole statali (…) è a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province. 2. Il personale di ruolo di cui al comma l, dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto». 16 La legge n. 124/99 è stata attuata con decreto 23 luglio 1999, relativo al trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (GURI n. 16, del 21 gennaio 2000, pag. 28; in prosieguo: il «d.m. 23 luglio 1999»). L’art. 3 di tale decreto prevede quanto segue: «(…) Con successivo decreto (...) verranno definiti i criteri di inquadramento, nell’ambito del comparto scuola, finalizzati all’allineamento degli istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonché dell’incidenza sulle rispettive gestioni previdenziali, dell’anzianità maturata presso gli enti, previa contrattazione collettiva (...) fra [l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni; in prosieguo: l’“ARAN”] e le organizzazioni sindacali (...)». 17 L’art. 9 del d.m. 23 luglio 1999 dispone quanto segue: «Lo Stato subentrerà nei contratti stipulati dagli enti locali alla data del 24 maggio 1999, ed eventualmente rinnovati in data successiva, per la parte con la quale sono state assicurate le funzioni ATA per le scuole statali, in luogo dell’assunzione di personale dipendente. (…) Ferma restando la prosecuzione delle attività da parte di soggetti esterni impegnati (…) ai sensi delle leggi vigenti, lo Stato subentrerà nelle convenzioni stipulate dagli enti locali con i soggetti imprenditoriali (…) per lo svolgimento di funzioni ATA demandate per legge all’ente locale in sostituzione dello Stato. (…)». 18 L’accordo tra l’ARAN e le organizzazioni sindacali previsto dall’art. 3 del d.m. 23 luglio 1999 è stato firmato il 20 luglio 2000 ed approvato con decreto ministeriale 5 aprile 2001, recante recepimento dell’accordo ARAN – Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola (GURI n. 162, del 14 luglio 2001, pag. 27; in prosieguo: il «d.m. 5 aprile 2001»). 19 Tale accordo dispone quanto segue: «Articolo 1 – Ambito di applicazione Il presente accordo si applica dal 1° gennaio 2000 al personale dipendente dagli enti locali e transitato nel comparto scuola, ai sensi dell’art. 8 della [legge n. 124/99] e (...) del decreto ministeriale 23 luglio 1999 (…). Articolo 2 – Regime contrattuale 1. Al personale di cui al presente accordo (...) cessa di applicarsi a decorrere dal 1° gennaio 2000 il [CCNL del personale degli enti locali] e dalla stessa data si applica il [CCNL della scuola], ivi compreso tutto quanto si riferisce al trattamento accessorio, salvo quanto diversamente stabilito negli articoli successivi. (…) Articolo 3 – Inquadramento professionale e retributivo 1. I dipendenti, di cui all’art. l del presente accordo, sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola (...) con le seguenti modalità. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale (...) d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità nonché, per coloro che ne sono provvisti, [dalle indennità previste dal CCNL del personale degli enti locali]. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, è corrisposta «ad personam» e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. Al personale destinatario del presente accordo è corrisposta l’indennità integrativa speciale nell’importo in godimento al 31 dicembre 1999, se più elevata di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola. (…) (…) Articolo 9 – Retribuzione fondamentale e salario accessorio 1. A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo si applicano tutti gli istituti a contenuto economico del [CCNL della scuola], secondo le modalità da questo previste. 2. A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo, è riconosciuto, a titolo provvisorio, il compenso individuale accessorio secondo le misure lorde mensili indicate nella tabella (...) allegata al [CCNL della scuola]. (…) (…)». 20 Tale normativa ha dato luogo ad azioni giudiziarie promosse dai membri del personale ATA trasferito, i quali hanno chiesto il pieno riconoscimento della loro anzianità maturata presso gli enti locali. Costoro deducevano, a tale riguardo, che i criteri adottati nell’ambito dell’accordo approvato con d.m. 5 aprile 2001 facevano sì che essi, a partire dal loro inserimento nel personale ATA dello Stato, venissero inquadrati e retribuiti alla stessa maniera dei membri del personale ATA statale con minore anzianità. Secondo la loro tesi, l’art. 8 della legge n. 124/99 impone il mantenimento, per ogni membro del personale ATA trasferito, dell’anzianità maturata presso gli enti locali, di modo che ciascuno di detti membri deve percepire, a decorrere dal 1° gennaio 2000, la retribuzione corrisposta ad un membro del personale ATA statale con la medesima anzianità. 21 Tale contenzioso è sfociato, nel corso del 2005, in diverse sentenze pronunciate dalla Corte suprema di cassazione, nelle quali questa ha accolto, in sostanza, la suddetta argomentazione. La legge n. 266/2005 22 Il legislatore italiano, con l’approvazione di un emendamento presentato dal governo italiano, ha inserito nell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2005; in prosieguo: la «legge n. 266/2005»), un comma 218, così redatto: «Il comma 2 dell’art. 8 della legge [n. 124/99], si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del [personale ATA] statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai [CCNL del personale degli enti locali], vigenti alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 (...) viene corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge». 23 Numerosi giudici hanno investito la Corte costituzionale di questioni vertenti sulla conformità dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 con la Costituzione italiana, in particolare con la norma che sancisce l’autonomia del potere giudiziario, dal momento che quest’ultima implica, per il legislatore, un divieto di ingerenza nella funzione di interpretazione uniforme della legge, riservata alla Corte suprema di cassazione. 24 Con sentenza 18 giugno 2007, nonché con successive ordinanze, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non violava i principi generali del diritto di cui si lamentava la lesione. In particolare, essa ha dichiarato che questa disposizione non innovava rispetto all’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 e che consentiva di favorire il passaggio del personale ATA dagli enti locali verso lo Stato, dato che detto personale si trovava in una posizione diversa da quella del personale già inquadrato nei ruoli statali al momento del trasferimento. 25 Durante il 2008, la Corte suprema di cassazione ha sottoposto alla Corte costituzionale una nuova questione, concernente la legittimità costituzionale della legge n. 266/2005 alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, siglata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). 26 Con sentenza 16 novembre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non lede detto principio. In particolare, essa ha giudicato che questa disposizione costituisce una fra le possibili interpretazioni dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 e che, pertanto, non implica una modifica sfavorevole di un diritto quesito. 27 Durante il 2008 e il 2009, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati proposti tre ricorsi da membri del personale ATA degli enti locali sottoposti al trasferimento nei ruoli del Ministero, nei quali si accusava la Repubblica italiana di aver violato, adottando l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con sentenza 7 giugno 2011, detta Corte ha accolto questi ricorsi (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Agrati e a. c. Italia). Causa principale e questioni pregiudiziali 28 La sig.ra Scattolon, dipendente del comune di Scorzè dal 16 maggio 1980 in qualità di bidella in scuole statali, svolgeva tale attività lavorativa, fino al 31 dicembre 1999, come membro del personale ATA degli enti locali. 29 A decorrere dal 1° gennaio 2000, la medesima, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 124/99, veniva trasferita nel ruolo del personale ATA dello Stato. 30 Ai sensi del d.m. 5 aprile 2001, la sig.ra Scattolon veniva inquadrata in una fascia retributiva corrispondente, nel suddetto ruolo, a nove anni di anzianità. 31 Poiché, a causa di ciò, essa non aveva ottenuto il riconoscimento della sua anzianità di circa vent’anni, maturata alle dipendenze del comune di Scorzè, e riteneva di aver sofferto, in tal modo, una notevole riduzione della sua retribuzione, con ricorso depositato in data 27 aprile 2005 essa ha adito il Tribunale di Venezia, per ottenere il riconoscimento integrale di detta anzianità e, di conseguenza, l’inquadramento nello scatto corrispondente, per il personale ATA dello Stato, a un’anzianità compresa tra i quindici e i vent’anni. 32 In seguito all’emanazione dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, il Tribunale di Venezia ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte costituzionale la questione della compatibilità di detta disposizione con i principi, in particolare, della certezza del diritto e di una tutela giurisdizionale effettiva. Con ordinanza 9 giugno 2008, la Corte costituzionale, richiamandosi alla propria sentenza 18 giugno 2007, ha dichiarato che il citato art. 1, comma 218, non è viziato dalle asserite violazioni di principi generali del diritto. 33 Ciò premesso, il Tribunale di Venezia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se la [direttiva 77/187] e/o la [direttiva 2001/23], o la diversa normativa [dell’Unione] ritenuta applicabile deve essere interpretata nel senso che quest’ultima può applicarsi ad una fattispecie di trasferimento di personale addetto a servizi ausiliari di pulizia e manutenzione degli edifici scolastici statali da enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato laddove il trasferimento ha comportato il subentro non solo nell’attività e nei rapporti con tutto il personale (bidelli) addetto, ma anche nei contratti di appalto stipulati con imprese private per garantire i medesimi servizi. 2) Se la continuità del rapporto di lavoro ex art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187 (trasfusa, unitamente alla [direttiva 98/50, nella [direttiva 2001/23]) deve essere interpretato nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito, anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente. 3) Se l’art. 3 della direttiva 77/187 e/o le [direttive 98/50 e 2001/23], devono essere interpretate nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano essere collegati, nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico. 4) Se i principi generali del vigente diritto [dell’Unione] della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, [TUE] in combinato disposto con l’art. 6 della [CEDU] e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona, debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (5 anni), di una norma di interpretazione autentica difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con l’interpretazione costante e consolidata dell’organo titolare della funzione nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo stesso Stato italiano è coinvolto come parte». Procedimento dinanzi alla Corte 34 Con lettera datata 9 giugno 2011, la ricorrente nella causa principale, alla luce della citata sentenza Agrati e a. c. Italia, ha chiesto la riapertura della fase orale. 35 A questo proposito, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, o anche su domanda delle parti, può ordinare la riapertura della fase orale, ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento di procedura, se ritiene necessari ulteriori chiarimenti o se la causa dev’essere esaminata sulla base di un argomento che non è stato dibattuto tra le parti (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 2004, causa C‑210/03, Swedish Match, Racc. pag. I‑11893, punto 25; 26 giugno 2008, causa C‑284/06, Burda, Racc. pag. I‑4571, punto 37, e 17 marzo 2011, causa C‑221/09, AJD Tuna, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36). 36 Nel caso di specie, la Corte ritiene di essere in possesso di tutti gli elementi necessari per trattare la domanda di pronuncia pregiudiziale e che detta domanda non dev’essere valutata in base ad un argomento non ancora dibattuto dinanzi ad essa. 37 Di conseguenza, non va accolta la domanda della ricorrente nella causa principale, mirante allo svolgimento di una nuova udienza, né quella, presentata in subordine, mirante ad ottenere un’autorizzazione al deposito di osservazioni scritte supplementari. Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 38 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura di servizi ausiliari presso le scuole, costituisca un «trasferimento di impresa» ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. 39 Poiché i benefici derivanti da detta normativa possono essere invocati solo da persone le quali, nello Stato membro interessato, siano tutelate in qualità di lavoratori a titolo della normativa nazionale in materia di diritto del lavoro (v., in particolare, sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C‑173/96 e C‑247/96, Hidalgo e a., Racc. pag. I‑8237, punto 24, nonché 14 settembre 2000, causa C‑343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I‑6659, punto 36), è importante sottolineare sin d’ora che, in base alla ricostruzione effettuata dal giudice del rinvio, non contestata dal governo italiano, il personale ATA occupato presso le scuole pubbliche in Italia gode di una siffatta tutela. Ne consegue che la ricorrente nella causa principale ha il diritto di beneficiare della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori, purché siano soddisfatti i presupposti di applicazione specificamente elencati nella normativa medesima. 40 In via preliminare occorre constatare parimenti che la riassunzione di detto personale è avvenuta il 1º gennaio 2000, cioè prima della scadenza del termine fissato agli Stati membri per recepire la direttiva 98/50 e anteriormente all’adozione della direttiva 2001/23. Da ciò deriva che la questione proposta dal giudice del rinvio va esaminata alla luce della direttiva 77/187 nella sua versione originaria (v., per analogia, sentenze 20 novembre 2003, causa C‑340/01, Abler e a., Racc. pag. I‑14023, punto 5, nonché 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punti 15 e 16). 41 Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della citata versione della direttiva 77/187, essa si applicava «ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione». Occorre pertanto verificare se, nell’ipotesi della riassunzione, da parte di un’autorità pubblica di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra autorità pubblica addetto ad attività del tipo di quelle di cui alla causa principale, si riscontri la presenza di tutti gli elementi elencati in tale disposizione. Sull’esistenza di un’«impresa» ai sensi della direttiva 77/187 42 La nozione di «impresa», ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, comprende qualsiasi entità economica organizzata stabilmente, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento della medesima. Costituisce un’entità siffatta qualsiasi complesso di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica che persegua un proprio obiettivo e che sia sufficientemente strutturata e autonoma (sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C‑127/96, causa C‑229/96 e C‑74/97, Hernández Vidal e a., Racc. pag. I‑8179, punti 26 e 27; 26 settembre 2000, causa C‑175/99, Mayeur, Racc. pag. I‑7755, punto 32, nonché Abler e a., cit., punto 30; v. altresì, relativamente all’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23, sentenze 13 settembre 2007, causa C‑458/05, Jouini e a., Racc. pag. I‑7301, punto 31, nonché 29 luglio 2010, causa C‑151/09, UGT‑FSP, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26). 43 La nozione di «attività economica», presente nella definizione ricordata nel punto precedente, comprende qualsiasi attività consistente nell’offerta di beni o servizi su un determinato mercato (sentenze 25 ottobre 2001, causa C‑475/99, Ambulanz Glöckner, Racc. pag. I‑8089, punto 19; 24 ottobre 2002, causa C‑82/01 P, Aéroports de Paris/Commissione, Racc. pag. I‑9297, punto 79, nonché 10 gennaio 2006, causa C‑222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., Racc. pag. I‑289, punto 108). 44 Sono escluse, in linea di principio, dalla qualificazione di attività economica le attività che si ricollegano all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri (v., in particolare, sentenza 1° luglio 2008, causa C‑49/07, MOTOE, Racc. pag. I‑4863, punto 24 e giurisprudenza ivi citata, nonché, per quanto riguarda la direttiva 77/187, sentenza 15 ottobre 1996, causa C‑298/94, Henke, Racc. pag. I‑4989, punto 17). Viceversa, sono stati qualificati come attività economiche servizi che, senza essere ricollegati all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri, sono garantiti nell’interesse pubblico e senza fini di lucro e si trovano in concorrenza con quelli offerti da operatori che agiscono con fini di lucro (v., in proposito, sentenze 23 aprile 1991, causa C‑41/90, Höfner e Elser, Racc. pag. I‑1979, punto 22; Aéroports de Paris/Commissione, cit., punto 82, nonché Cassa di Risparmio di Firenze e a., cit., punti 122 e 123). 45 Nel caso di specie, come si ricava dall’art. 8 della legge n. 124/99, il gruppo di lavoratori oggetto di riassunzione da parte dello Stato è costituito dal personale ATA degli enti locali occupato presso le scuole pubbliche. Dagli atti di causa si evince anche che le attività svolte da questo personale consistono nel garantire i servizi ausiliari di cui le scuole hanno bisogno per perseguire, in condizioni ottimali, i loro compiti di insegnamento. Questi servizi riguardano, segnatamente, la pulizia e la manutenzione dei locali, nonché compiti di assistenza amministrativa. 46 Inoltre, dagli elementi in fatto forniti dal giudice del rinvio, così come dall’art. 9 del d.m. 23 luglio 1999, si evince che tali servizi sono affidati, in determinati casi, ad operatori economici privati mediante subappalto. Del resto, è pacifico che detti servizi non sono ricollegati all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri. 47 Appare evidente, pertanto, che le attività svolte dai lavoratori sottoposti al trasferimento di cui trattasi nella causa principale hanno carattere economico ai sensi della citata giurisprudenza e perseguono un proprio obiettivo, che consiste nell’inquadramento tecnico e amministrativo delle scuole. Del resto, è pacifico che il personale ATA è stato concepito come un complesso strutturato di lavoratori dipendenti. 48 Va ancora verificato, alla luce della giurisprudenza ricordata nel punto 42 della presente sentenza e delle osservazioni scritte del governo italiano, in primo luogo, se la qualifica del personale interessato come «impresa» sia rimessa in discussione dalla mancanza di elementi patrimoniali, in secondo luogo, se questo gruppo di lavoratori sia sufficientemente autonomo per essere qualificato come «entità economica» e, di conseguenza, impresa e, in terzo luogo, se abbia una qualche rilevanza la circostanza che detti lavoratori facciano parte della pubblica amministrazione. 49 Per quanto concerne, in primo luogo, la mancanza di elementi patrimoniali, la Corte ha giudicato ripetutamente che, in determinati settori, l’attività si basa essenzialmente sulla manodopera. Alla luce di ciò, un complesso strutturato di lavoratori, malgrado la mancanza di significativi elementi patrimoniali, materiali o immateriali, può corrispondere a un’entità economica ai sensi della direttiva 77/187 (v. in particolare, per quanto concerne i servizi di pulizia, le citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 27, nonché Hidalgo e a., punto 26; v. altresì, in merito alla direttiva 2001/23, sentenza 20 gennaio 2011, causa C‑463/09, CLECE, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39). 50 Questa giurisprudenza è applicabile alla fattispecie di cui alla controversia principale, dal momento che sembra che nessuna delle attività svolte dal gruppo di lavoratori in questione necessiti della disponibilità di significativi elementi patrimoniali. La qualificazione del gruppo di lavoratori quale entità economica non può essere esclusa pertanto per il fatto che detta entità non comprende, a parte il citato personale, elementi patrimoniali materiali o immateriali. 51 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione relativa alla sufficiente autonomia di un gruppo di lavoratori come quello su cui verte la causa principale, si deve ricordare che, nel contesto della normativa dell’Unione in tema di mantenimento dei diritti dei lavoratori, la nozione di autonomia si riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori di cui trattasi, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno al citato gruppo e, in particolare, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti a tale gruppo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro (v., a questo proposito, la citata sentenza UGT‑FSP, punti 42 e 43). Benché, effettivamente, il ricorrere di un’entità sufficientemente autonoma non venga meno per via della circostanza che il datore di lavoro impone a tale gruppo di lavoratori obblighi precisi ed esercita pertanto un’ampia influenza sulle attività del medesimo, occorre nondimeno che il gruppo in parola disponga di una certa libertà nell’organizzare ed eseguire i compiti affidatigli (v., in tal senso, sentenza Hidalgo e a., cit., punto 27). 52 Nel caso di specie, ferma restando l’esigenza di una verifica da parte del giudice del rinvio, emerge che il personale ATA degli enti locali impiegato nelle scuole costituiva, in seno all’amministrazione degli enti locali, un’entità che poteva organizzare e svolgere i suoi compiti in modo relativamente libero e indipendente mediante, in particolare, istruzioni impartite da membri di detto personale ATA investiti di compiti di coordinamento e direzione. 53 Per quanto concerne, in terzo e ultimo luogo, la circostanza che il personale trasferito e le sue attività siano integrate nella pubblica amministrazione, occorre ricordare che quest’unica circostanza non può sottrarre detta entità all’applicazione della direttiva 77/187 (v., in tal senso, sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 33 e 35). La conclusione opposta non sarebbe coerente con la giurisprudenza citata nel punto 42 della presente sentenza, in base alla quale qualunque complesso sufficientemente strutturato e autonomo di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica finalizzata a un proprio obiettivo costituisce un’«impresa», ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento di quest’ultimo. 54 Benché sia vero che, come sottolineato dal governo italiano, la Corte ha escluso dalla sfera d’applicazione della direttiva 77/187 la «riorganizzazione amministrativa di enti pubblici» e il «trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni», eccezione sancita, successivamente, dall’art. 1, n. 1, di detta direttiva nella versione modificata con la direttiva 98/50, nonché dall’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23, ciò nonostante, come già rilevato dalla Corte e come ricordato dall’avvocato generale nei paragrafi 46–51 delle sue conclusioni, la portata di queste espressioni resta limitata alle ipotesi in cui il trasferimento riguarda attività rientranti nell’esercizio di pubblici poteri (sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata). 55 Vero è che dagli atti si ricava che la riassunzione da parte del Ministero del personale ATA degli enti locali è avvenuta nella cornice di una riorganizzazione della pubblica amministrazione in Italia. Tuttavia, lungi dall’aver giudicato che qualunque trasferimento collegato a, o inserito in, una riorganizzazione della pubblica amministrazione debba essere escluso dalla sfera d’applicazione della direttiva 77/187, la Corte ha soltanto precisato, nella giurisprudenza richiamata dal governo italiano, che la riorganizzazione di strutture della pubblica amministrazione e il trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni non costituiscono, di per se stesse e in quanto tali, un trasferimento di impresa ai sensi di detta direttiva (v. citate sentenze Henke, punto 14; Collino e Chiappero, punto 31, nonché Mayeur, punto 33). 56 La Corte ha giudicato, in particolare, che la creazione di un consorzio intercomunale e l’attribuzione a quest’ultimo di talune competenze dei comuni che ne fanno parte costituiscono una riorganizzazione dell’esercizio dei pubblici poteri e pertanto non possono essere soggette alla direttiva 77/187 (v. sentenza Henke, cit., punti 16 e 17), pur dichiarando, in altre ipotesi, che il trasferimento di personale addetto ad attività di natura economica in un’amministrazione pubblica rientra nella sfera di tale direttiva (v., in particolare, citate sentenze Hidalgo e a., punto 24, nonché Collino e Chiappero, punto 32). 57 Non c’è nulla che possa giustificare un’interpretazione di questa giurisprudenza nel senso che determinati pubblici impiegati, tutelati in quanto lavoratori in forza dell’ordinamento nazionale e soggetti a un trasferimento verso un nuovo datore di lavoro in seno alla pubblica amministrazione, non possano godere della tutela offerta dalla direttiva 77/187 sol perché questo trasferimento avviene nell’ambito di una riorganizzazione di detta amministrazione. 58 È importante rilevare, a tale proposito, che se un’interpretazione siffatta fosse accolta, qualunque trasferimento imposto a tali categorie di lavoratori potrebbe essere sottratto, dall’autorità pubblica interessata, alla sfera d’applicazione della direttiva 77/187 invocando la mera circostanza che il trasferimento rientra in una ristrutturazione del personale. In tal modo, importanti categorie di lavoratori addetti ad attività economiche ai sensi della giurisprudenza della Corte rischierebbero di venire private della tutela prevista da tale direttiva. Questo risultato sarebbe difficilmente conciliabile sia con il disposto dell’art. 2 di quest’ultima, ai sensi del quale possono essere cedente e cessionario tutte le persone fisiche o giuridiche aventi la veste di imprenditore, sia con la necessità, tenuto conto dello scopo di tutela sociale perseguito da detta direttiva, di interpretare in senso restrittivo le eccezioni all’applicazione della medesima (v., per quanto attiene alla direttiva 2001/23, sentenza 11 giugno 2009, causa C‑561/07, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4959, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). 59 Infine, va sottolineato che l’applicazione delle norme enunciate dalla direttiva 77/187 a situazioni quali quelle di cui alla controversia principale non lede il potere degli Stati membri di razionalizzare le rispettive pubbliche amministrazioni. L’applicabilità di questa direttiva ha come unico effetto quello di impedire che determinati lavoratori trasferiti siano collocati, in conseguenza del mero fatto del trasferimento, in una posizione meno favorevole di quella che essi occupavano prima del trasferimento. Come la Corte ha già dichiarato più volte e come si ricava, del resto, dall’art. 4 della direttiva 77/187, quest’ultima non priva gli Stati membri della facoltà di consentire ai datori di lavoro di modificare taluni rapporti di lavoro in senso sfavorevole, segnatamente per quanto concerne la tutela contro il licenziamento e le condizioni retributive. Detta direttiva vieta soltanto che siffatte modificazioni avvengano in occasione e a causa del trasferimento (v. in tal senso, in particolare, sentenze 10 febbraio 1988, causa 324/86, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark, detta «Daddy’s Dance Hall», Racc. pag. 739, punto 17; 12 novembre 1992, causa C‑209/91, Watson Rask e Christensen, Racc. pag. I‑5755, punto 28, nonché Collino e Chiappero, punto 52). Sull’esistenza di un «trasferimento» «in seguito a cessione contrattuale o a fusione» ai sensi della direttiva 77/187 60 Per determinare se sussista un «trasferimento» di impresa ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, il criterio decisivo è quello di accertare se l’entità in questione conservi la propria identità dopo essere stata ceduta al nuovo datore di lavoro (v., in particolare, sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punti 11 e 12, nonché UGT‑FSP, cit., punto 22). 61 Se quest’entità opera senza significativi elementi patrimoniali, il mantenimento della sua identità dopo l’operazione di cui essa è oggetto non può dipendere dalla cessione di elementi siffatti (citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 31; Hidalgo e a., punto 31, nonché UGT‑FSP, punto 28). 62 In quest’ipotesi, la quale, come accertato nel punto 50 della presente sentenza, è quella rilevante nella cornice della controversia principale, il gruppo di lavoratori in questione mantiene la propria identità quando il nuovo datore di lavoro prosegue le attività e riassume una parte sostanziale, in termini di numero e di competenze, di detti lavoratori (v. citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 32, nonché UGT‑FSP, punto 29). 63 Per quanto concerne l’espressione «in seguito a cessione contrattuale o a fusione», parimenti contenuta nell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, occorre ricordare che la Corte, a causa sia delle differenze tra le versioni linguistiche di questa direttiva sia delle divergenze tra le normative nazionali relative alle nozioni cui queste ultime fanno riferimento, ha fornito un’interpretazione sufficientemente elastica di quest’espressione per soddisfare lo scopo di questa direttiva, che è quello di tutelare i lavoratori in caso di cambiamento del titolare dell’impresa (sentenze 19 maggio 1992, causa C‑29/91, Redmond Stichting, Racc. pag. I‑3189, punti 10 e 11; 7 marzo 1996, cause riunite C‑171/94 e C‑172/94, Merckx e Neuhuys, Racc. pag. I‑1253, punto 28, nonché Jouini e a., cit., punto 24). Essa ha pertanto dichiarato che il fatto che il trasferimento risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude l’applicazione di tale direttiva (v., in particolare, le citate sentenze Redmond Stichting, punti 15–17; Collino e Chiappero, punto 34, nonché UGT‑FSP, punto 25). 64 Senza voler rimettere in discussione né la giurisprudenza ricordata nei punti 60–63 della presente sentenza, né il fatto che l’operazione di trasferimento in questione nella causa principale è basata sulla legge n. 124/99 ed è pertanto frutto di una decisione unilaterale dei pubblici poteri, il governo italiano rileva che, nel caso di specie, la riassunzione del personale in questione da parte dello Stato italiano è stata solo facoltativa, dato che i membri di detto personale potevano scegliere di rimanere al servizio degli enti locali da cui essi dipendevano. Alla luce di ciò, non si avrebbe trasferimento ai sensi della direttiva 77/187. 65 Quest’osservazione del governo italiano si fonda tuttavia su una premessa in fatto che è contraddetta sia dalla decisione di rinvio, sia della stessa legge n. 124/99. In particolare, dall’art. 8, secondo comma, di quest’ultima si evince che gli unici membri del personale ATA che hanno avuto la facoltà di optare per il mantenimento del loro posto presso il loro datore di lavoro originario erano quelli le cui qualifiche e i cui profili non trovavano corrispondenti nei servizi del cessionario. Da questa norma, così come dal testo delle altre disposizioni di detto art. 8, discende che il personale ATA degli enti locali impiegato nelle scuole era, globalmente e in linea di principio, soggetto al trasferimento. 66 Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, occorre risolvere la prima questione dichiarando che la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva 77/187, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro. Sulla seconda e sulla terza questione 67 Con le sue questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 3 della direttiva 77/187 debba essere interpretato nel senso che, ai fini del calcolo della retribuzione di lavoratori oggetto di un trasferimento ai sensi di detta direttiva, il cessionario debba tener conto dell’anzianità lavorativa maturata dai citati lavoratori presso il cedente. 68 A questo proposito occorre esaminare preliminarmente la rilevanza, per una fattispecie quale quella oggetto della controversia principale, della citata sentenza Collino e Chiappero, con la quale la Corte si è pronunciata sulla questione relativa al riconoscimento dell’anzianità lavorativa in caso di trasferimento di impresa, sulla quale si basano sia la ricorrente nella causa principale sia il governo italiano nelle osservazioni da loro presentate alla Corte. 69 In tale sentenza si è dichiarato che, sebbene l’anzianità maturata presso il cedente non costituisca, di per sé, un diritto di cui i lavoratori trasferiti possano avvalersi nei confronti del cessionario, ciò nondimeno essa serve, se del caso, a determinare taluni diritti pecuniari dei lavoratori, che pertanto devono essere salvaguardati, in linea di principio, dal cessionario allo stesso modo del cedente (v. sentenza Collino e Chiappero, cit., punto 50). 70 Nel ricordare che il cessionario può modificare, eccetto nel caso di un trasferimento di impresa e solo nei limiti consentitigli dal diritto nazionale, le condizioni retributive in senso sfavorevole ai lavoratori, la Corte ha dichiarato che l’art. 3, n. 1, della direttiva 77/187 dev’essere interpretato nel senso che, per il calcolo di diritti di natura pecuniaria, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui quest’obbligo risultava dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto (sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 51 e 52). 71 Orbene, nella controversia che vede contrapposti la sig.ra Scattolon e il Ministero, è pacifico che i diritti e gli obblighi del personale trasferito e del cedente erano stabiliti in un contratto collettivo, vale a dire il CCNL del personale degli enti locali, la cui applicazione è stata sostituita, a partire dal 1° gennaio 2000, data del trasferimento, da quella del contratto collettivo in vigore presso il cessionario, ossia il CCNL della scuola. Alla luce di ciò, a differenza di quanto può essere avvenuto nella causa che ha portato alla citata sentenza Collino e Chiappero, l’interpretazione che viene chiesta della direttiva 77/187 non può vertere unicamente sull’art. 3, n. 1, di quest’ultima, bensì, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 75 delle sue conclusioni, deve tener conto anche del n. 2 di detto art. 3, disposizione che riguarda, segnatamente, l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario. 72 Ai sensi del citato art. 3, n. 2, primo comma, il cessionario è tenuto a mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza di tale contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo. Il secondo comma di detta disposizione aggiunge che gli Stati membri possono limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno. 73 Come già precisato dalla Corte, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 77/187 non può privare di contenuti il primo comma del medesimo numero. Pertanto, questo secondo comma non osta a che le condizioni di lavoro enunciate in un contratto collettivo che si applicava al personale interessato prima del trasferimento cessino di essere applicabili al termine di un anno successivo al trasferimento, se non addirittura immediatamente alla data del trasferimento, quando si realizzi una delle ipotesi previste dal primo comma di detto numero, ossia la risoluzione o la scadenza di detto contratto collettivo oppure l’entrata in vigore o l’applicazione di un altro contratto collettivo (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punto 30, nonché, in tema di art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, sentenza 27 novembre 2008, causa C‑396/07, Juuri, Racc. pag. I‑8883, punto 34). 74 Di conseguenza, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 77/187, ai sensi della quale «il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data (…) [di] applicazione di un altro contratto collettivo», dev’essere interpretata nel senso che il cessionario ha il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione. 75 Benché da quanto sin qui esposto discenda che la direttiva 77/187 lascia un margine di manovra, che consente al cessionario e alle altre parti contraenti di stabilire l’integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti in modo tale che questa risulti debitamente adattata alle circostanze del trasferimento in questione, ciò nondimeno le modalità scelte devono essere conformi allo scopo di detta direttiva. Come la Corte ha ripetutamente dichiarato, quest’obiettivo consiste, essenzialmente, nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (sentenza 26 maggio 2005, causa C‑478/03, Celtec, Racc. pag. I‑4389, punto 26 e giurisprudenza ivi citata, nonché, in merito alla direttiva 2001/23, ordinanza 15 settembre 2010, causa C‑386/09, Briot, punto 26). 76 Il ricorso alla facoltà consistente nel sostituire, con effetto immediato, le condizioni di cui godevano i lavoratori trasferiti in base al contratto collettivo vigente presso il cedente con quelle previste dal contratto collettivo vigente presso il cessionario non può pertanto avere lo scopo, o l’effetto, di imporre a detti lavoratori condizioni globalmente meno favorevoli di quelle applicabili prima del trasferimento. Se così non fosse, la realizzazione dello scopo perseguito dalla direttiva 77/187 potrebbe essere agevolmente rimessa in discussione in qualsiasi settore disciplinato in forza di contratti collettivi, il che pregiudicherebbe l’efficacia pratica di detta direttiva. 77 Viceversa, la direttiva 77/187 non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa. Peraltro, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 94 delle sue conclusioni, questa direttiva non osta a che sussistano talune disparità di trattamento retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del trasferimento, erano già al servizio del cessionario. Benché altri strumenti e principi giuridici possano risultare rilevanti al fine di valutare la legalità di siffatte disparità, detta direttiva, per quanto la concerne, ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui essi godevano precedentemente. 78 Nel caso di specie, è pacifico che gli atti che hanno dato esecuzione all’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 hanno stabilito le modalità del trasferimento del personale ATA degli enti locali presso i servizi del Ministero in modo tale che il contratto collettivo vigente presso quest’ultimo, ossia il CCNL della scuola, sia applicabile sin dalla data del trasferimento ai lavoratori trasferiti, senza tuttavia che questi ultimi beneficino di un trattamento retributivo corrispondente all’anzianità lavorativa da loro maturata presso il cedente. 79 Il fatto che il Ministero, piuttosto che riconoscere quest’anzianità in quanto tale e integralmente, abbia calcolato per ciascun lavoratore trasferito un’anzianità «fittizia» ha svolto un ruolo determinante nella fissazione delle condizioni retributive applicabili per il futuro al personale trasferito. Infatti, in base al CCNL della scuola, le posizioni e progressioni retributive dipendono in larga misura dall’anzianità quale calcolata e riconosciuta dal Ministero. 80 È altrettanto pacifico che i compiti svolti, prima del trasferimento, nelle scuole pubbliche dal personale ATA degli enti locali erano analoghi, se non identici, a quelli svolti dal personale ATA alle dipendenze del Ministero. Di conseguenza, sarebbe stato possibile qualificare l’anzianità maturata presso il cedente da un membro del personale trasferito come equivalente a quella maturata da un membro del personale ATA in possesso del medesimo profilo e alle dipendenze, prima del trasferimento, del Ministero. 81 In una situazione del genere, contrassegnata dalla possibilità di evitare, a causa di un riconoscimento a dir poco parziale dell’anzianità dei lavoratori trasferiti, che questi ultimi subiscano un peggioramento retributivo sostanziale rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, sarebbe contrario allo scopo della direttiva 77/187, quale ricordato e delineato nei punti 75–77 della presente sentenza, non tener conto di detta anzianità nei limiti necessari all’approssimativo mantenimento del livello retributivo goduto da detti lavoratori presso il cedente (v., per analogia, sentenza 11 novembre 2004, causa C‑425/02, Delahaye, Racc. pag. I‑10823, punto 34). 82 È compito del giudice del rinvio verificare se la ricorrente nella causa principale abbia sofferto, all’atto del suo trasferimento, un siffatto peggioramento retributivo. A tal fine, spetterà a detto giudice esaminare in particolare l’argomento del Ministero, secondo il quale il calcolo definito nel punto 79 della presente sentenza sarebbe tale da garantire che il personale ATA interessato non sia collocato, per il semplice fatto del trasferimento, in una posizione globalmente sfavorevole rispetto a quella immediatamente precedente al trasferimento. 83 Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre risolvere la seconda e la terza questione dichiarando che, quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo. Sulla quarta questione 84 Vista la risposta data alla seconda e alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi menzionati dal giudice del rinvio nella sua quarta questione. Di conseguenza, non occorre risolvere quest’ultima questione. Sulle spese 85 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro. 2) Quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo.
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