SENTENZA N. 48
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE
SIERVO, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi
MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro
CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
promosso dal Tribunale di Trento nel procedimento vertente tra la
Primiero Energia s.p.a. e l’INPS con ordinanza del 14 ottobre 2008,
iscritta al n. 446 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale,
dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché gli atti di intervento
della Metro Italia Cash and Carry s.p.a. e del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2010 il Giudice relatore
Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Giorgio Albè e Tullio Tranquillo per la Metro
Italia Cash and Carry s.p.a., Luigi Caliulo per l’INPS e l’avvocato
dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso dalla Primiero Energia s.p.a.
contro l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), il
Tribunale di Trento ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 20, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n.
133.
Il rimettente espone che la predetta società ha proposto opposizione,
ai sensi dell’art. 24, comma 5, del decreto legislativo 26 febbraio
1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante
ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337),
avverso l’iscrizione a ruolo corrispondente ad una cartella di
pagamento contenente l’intimazione a pagare, tra l’altro, la somma
pretesa dall’INPS, a titolo di contributi relativi all’assicurazione
contro la malattia, in riferimento al periodo 1° agosto 2001 - 31
dicembre 2005.
Il giudice a quo deduce che è pacifico che l’opponente, nel predetto
lasso di tempo, non abbia versato il contributo di malattia e che essa
ha addotto a giustificazione il fatto di essersi sempre accollata
l’onere di erogazione del trattamento economico di malattia ai propri
dipendenti in misura corrispondente all’intera retribuzione dovuta.
Il Tribunale di Trento aggiunge che, però, secondo la giurisprudenza
di legittimità, l’art. 6, secondo comma, della legge 11 gennaio 1943,
n. 138 (Costituzione dell’Ente «Mutualità fascista - Istituto per
l’assistenza di malattia ai lavoratori»), il quale esonera l’INPS dal
pagamento dell’indennità di malattia quando il relativo trattamento
economico venga corrisposto per legge o per contratto collettivo dal
datore di lavoro, non esclude l’obbligo di quest’ultimo di versare la
contribuzione previdenziale. Tale orientamento giurisprudenziale ha
assunto dignità di «diritto vivente» che questa Corte ha ritenuto
costituzionalmente legittimo con la sentenza n. 47 del 2008, la quale
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 9 della legge n. 138 del 1943 e dell’art. 31 della legge 28
febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986), nella
parte in cui essi non escludono l’obbligo contributivo qualora il
trattamento economico di malattia venga corrisposto per contratto
collettivo dal datore di lavoro in misura pari o superiore
all’indennità di malattia.
Il rimettente continua affermando che, nelle more del giudizio
principale, è intervenuto l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112
del 2008, il quale dispone che: «Il secondo comma dell’articolo 6,
della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta nel senso che i
datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto
collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di
malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della
previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono
tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto
medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro
efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori
alla data del 1° gennaio 2009».
Ad avviso del Tribunale di Trento, nel caso oggetto del giudizio a quo
ricorrono i presupposti richiesti ai fini dell’applicazione di tale
norma e quindi l’opposizione proposta dalla società meriterebbe di
essere accolta.
Tuttavia l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008 appare
al rimettente contrastante con l’art. 3, primo comma, della
Costituzione.
Esso, infatti, sebbene formulato come una norma di interpretazione
autentica, costituirebbe in realtà una legge-provvedimento, non
riguardando né «le contribuzioni comunque versate per i periodi
anteriori alla data del 1° gennaio 2009», né le contribuzioni dovute a
decorrere dal 1° gennaio 2009 [che sarebbero oggetto dell’obbligo
previsto dal successivo comma 2, lettera b), dello stesso art. 20 del
decreto-legge n. 112 del 2008]. In concreto, quindi, il legislatore
avrebbe eliminato, esclusivamente per gli inadempienti e solamente per
i periodi precedenti la data del 1° gennaio 2009, l’obbligo
contributivo previsto, non già dalla norma oggetto di apparente
interpretazione autentica (l’art. 6, secondo comma, della legge n. 138
del 1943), ma dall’art. 9 della legge n. 138 del 1943 (secondo il
quale «Agli scopi di cui sopra sarà provveduto con il contributo dei
lavoratori e dei datori di lavoro nella misura determinata dal
contratto collettivo di lavoro o da deliberazione dei loro competenti
organi ovvero nel decreto di cui al secondo comma dell’articolo 4») e
dall’art. 31, comma 5, della legge n. 41 del 1986 (il quale dispone
che «I contributi dovuti dai datori di lavoro per i soggetti aventi
diritto alle indennità economiche di malattia sono fissati nelle
misure indicate nell’allegata tabella G»).
Il giudice a quo richiama i princìpi enunciati da questa Corte in tema
di leggi-provvedimento e, specificamente, quello secondo cui tali
leggi, in considerazione del pericolo di disparità di trattamento
insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio, sono
assoggettate ad uno scrutinio stretto di costituzionalità,
essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non
irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore. Precisamente,
come affermato da questa Corte nella sentenza n. 80 del 1969, se
appartiene alla discrezionalità del legislatore ordinario stabilire
l’ambito della disciplina normativa da adottare, rientra invece nel
giudizio di costituzionalità accertare che non vi sia contrasto tra la
ratio della legge e la sua limitazione a un caso concreto, non
giustificata da una obiettiva diversità di esso rispetto ad altri casi
a cui quella disciplina legislativa potrebbe estendersi.
Orbene, ad avviso del rimettente, l’art. 20, comma l, del
decreto-legge n. 112 del 2008 violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost.,
perché introduce, nell’ambito dei datori di lavoro assoggettati
all’obbligo di contribuzione di malattia che hanno corrisposto il
trattamento economico ai propri dipendenti ed in riferimento ai
contributi dovuti per i periodi anteriori all’entrata in vigore della
medesima norma, una disciplina differenziata fondata esclusivamente
sulla circostanza del mancato adempimento dell’obbligo contributivo.
Infatti, solo in tal caso tale obbligo viene eliminato; invece,
nell’ipotesi di avvenuto adempimento, esso è mantenuto, continuando a
costituire la causa del versamento dei contributi, con conseguente
esclusione di ogni diritto di ripetizione. Secondo il Tribunale di
Trento sarebbe evidente l’irragionevolezza di una disciplina che, da
un lato, premia gli inadempienti e, dall’altro, discrimina coloro che
hanno tempestivamente versato i contributi dovuti.
2. – Si è costituito l’INPS che chiede che la questione sia dichiarata
inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.
Ad avviso dell’istituto previdenziale, l’art. 20, comma 1, del
decreto-legge n. 112 del 2008 è norma di interpretazione autentica e,
dunque, con effetti retroattivi.
La definitiva acquisizione alla gestione INPS dei pagamenti
contributivi già effettuati dai datori di lavoro che pure assicuravano
ai loro dipendenti la retribuzione nel periodo di malattia sarebbe
legittima, poiché quei pagamenti attengono a rapporti ormai esauriti,
in relazione ai quali gli interessati hanno manifestato un
comportamento incompatibile con la volontà contraria di ritenersi
esonerati dall’adempimento di cui trattasi. Invece, per i datori che
hanno contestato di dover adempiere, ove i giudizi verosimilmente
instaurati risultino ancora pendenti, non vi sarebbe ragione di non
ritenere loro applicabile una norma di interpretazione autentica che
espressamente esclude l’obbligo contributivo in questione.
Pertanto, secondo la difesa dell’ente, non si sarebbe in presenza di
situazioni identiche, ma di posizioni differenziate in funzione di
rapporti giuridici sottostanti non omologhi.
Infine, l’INPS deduce che, con sentenza n. 25047 del 2008, la Corte di
cassazione ha riconosciuto la natura di norma di interpretazione
autentica alla disposizione censurata e si è riportata
all’insegnamento di questa Corte secondo cui il principio generale di
irretroattività della legge risulta costituzionalizzato soltanto con
riferimento alla materia penale, mentre in ogni altra materia il
legislatore ordinario può emanare sia disposizioni di interpretazione
autentica – che, tra più significati plausibilmente espressi dalla
disposizione interpretata, ne impongano uno – sia disposizioni
innovative con efficacia retroattiva. Nella stessa pronuncia i giudici
di legittimità hanno affermato che – ai fini della legittimità
costituzionale della norma in esame – non rileva la circostanza che
essa imponga un significato della disposizione interpretata diverso
rispetto a quello che era stato proposto dalla giurisprudenza.
3. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che
conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Preliminarmente la difesa erariale eccepisce però l’inammissibilità
della questione per irrilevanza, poiché oggetto del giudizio a quo non
è la ripetizione dei versamenti contributivi eseguiti dal datore di
lavoro, ma la legittimità della cartella di pagamento emessa dall’INPS
in relazione alla propria posizione creditoria – ancora aperta – nei
confronti della società datrice di lavoro, la quale, pertanto, non
potrebbe giovarsi dell’invocata declaratoria di illegittimità
costituzionale.
La questione sarebbe inammissibile anche per la genericità della sua
formulazione. Infatti, ad avviso del Presidente del Consiglio dei
ministri, l’ordinanza di rimessione non indicherebbe con esattezza i
profili in relazione ai quali la disposizione censurata dovrebbe
ritenersi in contrasto con l’art. 3 Cost. ed in particolare con il
canone di ragionevolezza che il rispetto di tale norma costituzionale
presuppone.
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato contesta anzitutto la
definizione della norma in esame quale legge-provvedimento,
espressione che designa atti formalmente legislativi che, tuttavia,
tengono luogo di provvedimenti amministrativi, in quanto provvedono
concretamente su casi e rapporti specifici. Tali caratteri sono però
assenti nel caso di specie.
Secondo l’interveniente, l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112
del 2008 si configura chiaramente quale norma di interpretazione
autentica dell’art. 6, secondo comma, della legge n. 138 del 1943,
dettando, con la discrezionalità propria del legislatore, il
significato della disciplina in subiecta materia.
Né la norma censurata sarebbe affetta da irragionevolezza. Infatti,
con l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, il
legislatore, nell’esercizio della discrezionalità di cui gode nella
modulazione della contribuzione previdenziale e lungi dall’intervenire
su singole situazioni, ha voluto incidere sulle possibili opzioni
interpretative del citato art. 6, secondo comma, della legge n. 138
del 1943, privilegiando quella volta ad eliminare l’obbligo
contributivo in esame con effetto ex tunc nella consapevolezza, da un
lato, dell’onerosità, per le imprese, di una sostanziale duplicità di
prestazioni poste a carico dei datori di lavoro (trattamento economico
di malattia ed obbligo contributivo), dall’altro, del fatto che la
funzione assistenziale verrebbe comunque ad essere garantita
dall’assunzione diretta, da parte del datore di lavoro, dell’onere
relativo alla corresponsione del trattamento economico di malattia.
Il Presidente del Consiglio dei ministri aggiunge che la norma
censurata ha eliminato l’obbligo contributivo sia per i datori che
abbiano adempiuto per il passato sia per quelli che sono rimasti
inadempienti, solo che per i primi i versamenti eseguiti restano privi
di causa proprio in ragione della disposizione interpretativa in
esame.
L’Avvocatura generale dello Stato nega che il legislatore abbia
introdotto discriminazioni tra i datori di lavoro interessati
premiando proprio i soggetti rimasti inadempienti; piuttosto, esso ha
ragionevolmente ritenuto opportuno consolidare le situazioni
contributive già definite attraverso lo spontaneo adempimento.
Infatti, ammettere la ripetibilità dei contributi già versati, non
solo avrebbe creato sicure difficoltà al concreto funzionamento
dell’INPS, esponendolo ad un numero indeterminato di azioni di
ripetizione (in modo tale da compromettere addirittura la concreta
erogazione ai lavoratori delle provvidenze), ma soprattutto, avrebbe
negativamente inciso sulle situazioni contributive già acquisite dai
lavoratori in virtù dell’adempimento dell’obbligo contributivo da
parte dei datori di lavori nei confronti dell’istituto previdenziale
(e ciò in violazione dello stesso principio solidaristico sotteso al
sistema assicurativo). A questo riguardo l’interveniente sottolinea
che, in base all’art. 20, comma 1, ultima parte, del decreto-legge n.
112 del 2008, le contribuzioni comunque versate per i periodi
anteriori al 1° gennaio 2009 non solo restano acquisite alla gestione,
ma «conservano la loro efficacia», con ciò intendendosi mantenere a
favore dei lavoratori gli effetti derivanti dalla già acquisita
posizione contributiva.
4. – E’ intervenuta anche la Metro Italia Cash and Carry s.p.a., che
chiede che la questione sia dichiarata non fondata.
Preliminarmente, la società sostiene di aver diritto ad intervenire
nel presente giudizio di costituzionalità alla luce delle nuove norme
integrative per i giudizi davanti a questa Corte approvate con
delibera del 7 ottobre 2008, applicabili ratione temporis, e, in
particolare, dell’art. 4 di tali norme. Infatti sarebbero pendenti sul
territorio nazionale più procedimenti avanti la magistratura del
lavoro (in diversi fasi e gradi) aventi ad oggetto la pretesa
dell’INPS di ottenere dalla Metro Cash and Carry s.p.a. i contributi
volti a finanziare l’indennità economica di malattia, nonostante la
società abbia provveduto, per contratto aziendale, ad erogare
direttamente ai propri dipendenti assenti per malattia non
professionale l’intera retribuzione netta di fatto. In tali giudizi,
pertanto, deve trovare applicazione l’art. 20, comma 1, del
decreto-legge n. 112 del 2008.
Nel merito la Metro Cash and Carry s.p.a. sostiene che quella
censurata è una norma di interpretazione autentica e, quindi, con
effetto retroattivo.
Essa, nella parte in cui esclude l’obbligo contributivo per i datori
di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo
il trattamento economico di malattia e che non avevano adempiuto al
predetto obbligo contributivo in epoca precedente all’entrata in
vigore della norma non vìola, secondo la società interveniente, l’art.
3, primo comma, della Costituzione. Infatti, come chiarito anche dalla
Corte di cassazione con la sentenza n. 25047 del 2008, con l’art. 20,
comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008 il legislatore ha
esercitato la propria discrezionalità nel delineare gli oneri della
contribuzione previdenziale, in attuazione del principio di
solidarietà enunciato in materia dalle sezioni unite della Corte di
cassazione e confermato da questa Corte con la sentenza n. 47 del 2008
e dalla relazione della Camera dei Deputati al disegno di legge di
conversione.
Ad avviso della società interveniente, la disciplina dell’esenzione
dall’obbligo contributivo dettata dalla disposizione censurata
rappresenta un meccanismo non irragionevole (anche se differente dal
precedente) di salvaguardia del principio di solidarietà che pervade
l’ordinamento. La norma costituisce solo un diverso modo per il
legislatore di esercitare la sua discrezionalità, ma resta comunque
all’interno dei valori derivanti dal principio solidaristico.
5. – In prossimità dell’udienza pubblica l’INPS, il Presidente del
Consiglio dei ministri e la Metro Italia Cash and Carry s.p.a. hanno
depositato memorie, ribadendo le conclusioni già assunte nei
rispettivi precedenti scritti defensionali.
5.1. – L’INPS, in particolare, ha contestato l’esattezza della
qualificazione dell’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del
2008 come legge-provvedimento, affermando che esso detta un precetto
generale ed astratto che si rivolge a tutti i datori di lavoro e che
costituisce un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco.
Ad avviso dell’istituto previdenziale, inoltre, la norma censurata è
rispettosa dell’art. 6 della legge n. 138 del 1943 e
dell’interpretazione che di tale norma ha fornito questa Corte
nell’ordinanza n. 241 del 2006 e nella sentenza n. 47 del 2008.
L’INPS nega, infine, che la disposizione impugnata leda l’art. 3
Cost., considerata l’evidente diversità della situazione in cui
versano i soggetti che hanno spontaneamente corrisposto il contributo
di malattia rispetto a quelli che hanno contestato il relativo
obbligo.
5.2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce
preliminarmente la propria eccezione di inammissibilità per
irrilevanza della questione, poiché il suo accoglimento potrebbe
condurre esclusivamente ad una declaratoria di illegittimità dell’art.
20 del decreto-legge n. 112 del 2008 nella parte in cui esso impedisce
al datore di lavoro adempiente di ripetere dall’INPS quanto già
versato a titolo di contribuzione di malattia.
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che non viola
l’art. 3 Cost. il venir meno dell’obbligo di contribuzione a carico
del datore di lavoro che si sia accollato il pagamento dell’indennità
di malattia, poiché in questa maniera, da un lato, si evita una
duplicazione di pagamento e, dall’altro, si salvaguarda la posizione
del lavoratore.
Né potrebbe ritenersi irragionevole l’esclusione della ripetizione da
parte di chi abbia già versato il contributo di malattia, trattandosi
di previsione che tiene fermo il comportamento di spontaneo
adempimento da parte dei datori di lavoro e consente ai lavoratori di
consolidare gli effetti favorevoli derivanti dalla già acquisita
posizione contributiva.
5.3. – La Metro Italia Cash and Carry s.p.a. deduce che la questione
di costituzionalità sarebbe manifestamente infondata perché il
rimettente ha motivato l’illegittimità del precetto che fa venir meno,
con effetto retroattivo, l’obbligo contributivo, con la constatazione
che è esclusa la ripetizione dei contributi già versati da parte dei
datori di lavoro che abbiano a suo tempo adempiuto all’obbligo
contributivo, argomentazione che non ha alcuna correlazione con la
disposizione censurata.
La società contesta, poi, la qualificazione dell’art. 20, comma 1, del
decreto-legge n. 112 del 2008 come legge-provvedimento, posto che esso
si applica a tutti i datori di lavoro.
La Metro Italia Cash and Carry s.p.a. ribadisce, infine, che la norma
censurata rappresenta un ragionevole esercizio della discrezionalità
di cui gode il legislatore nella definizione degli oneri della
contribuzione previdenziale.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Trento dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 20, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, nella parte in cui – prevedendo che «Il secondo comma,
dell’articolo 6, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta
nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per
contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento
economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale
della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non
sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto
medesimo» – ha eliminato, per i datori di lavoro inadempienti in epoca
antecedente la data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge,
l’obbligo contributivo di malattia previsto dall’art. 9 della legge 11
gennaio 1943, n. 138 (Costituzione dell’Ente «Mutualità fascista -
Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori») e dall’art. 31,
comma 5, della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 1986).
Ad avviso del rimettente, tale disposizione violerebbe l’art. 3, primo
comma, della Costituzione, perché, stabilendo altresì che «Restano
acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le
contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del
1° gennaio 2009», irragionevolmente premierebbe i datori di lavoro
inadempienti, qual è la società opponente nel giudizio a quo, e
discriminerebbe quelli che hanno tempestivamente versato i contributi
dovuti.
2. – Deve essere, preliminarmente, confermata l’ordinanza adottata nel
corso dell’udienza pubblica, ed allegata alla presente sentenza, con
la quale è stato dichiarato inammissibile l’intervento della Metro
Italia Cash and Carry s.p.a. Ciò in applicazione del consolidato
orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non
sono ammissibili gli interventi, nel giudizio di legittimità
costituzionale in via incidentale, di soggetti che non siano parti nel
giudizio a quo, né siano titolari di un interesse qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito
l’inammissibilità della questione sotto due profili.
3.1. – In primo luogo, per irrilevanza, poiché oggetto del giudizio a
quo non è la ripetizione dei versamenti contributivi eseguiti dal
datore di lavoro, ma la legittimità della pretesa avanzata dall’INPS
nei confronti della società datrice di lavoro, la quale, pertanto, non
potrebbe giovarsi della invocata declaratoria di illegittimità
costituzionale.
L’eccezione non è fondata, poiché il Presidente del Consiglio dei
ministri muove dall’erroneo presupposto secondo cui il rimettente
avrebbe censurato la seconda parte del comma 1 dell’art. 20 del
decreto-legge n. 112 del 2008 (quella che esclude la ripetibilità dei
versamenti eseguiti prima del 2009). Invece il giudice a quo ha
eccepito l’illegittimità della prima parte del predetto comma 1
(quella che contiene la norma di interpretazione autentica per effetto
della quale non sono dovuti i contributi da parte delle imprese che
erogano la retribuzione ai dipendenti in malattia) e tale precetto è
sicuramente rilevante nel giudizio principale.
3.2. – Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la
questione sarebbe inammissibile anche per la genericità della sua
formulazione, perché l’ordinanza di rimessione non specificherebbe con
esattezza in relazione a quali profili la disposizione censurata
dovrebbe ritenersi in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Neppure sotto questo profilo l’eccezione è fondata, poiché il
rimettente enuncia con sufficiente precisione il motivo dell’asserita
illegittimità costituzionale (l’irragionevolezza starebbe nel fatto
che, nonostante che la norma mantenga fermi i versamenti contributivi
già eseguiti, sarebbero sanati gli inadempimenti commessi dai datori
di lavoro che in passato non avevano proceduto a quei versamenti).
4. – Nel merito, la questione non è fondata.
Contrariamente a quanto assume il rimettente, l’art. 20, comma 1, del
decreto-legge n. 112 del 2008 non può essere qualificato come
legge-provvedimento, riferendosi ad un numero indeterminato di
destinatari e non concernendo un oggetto rientrante tra quelli propri
dei provvedimenti amministrativi. Esso, inoltre, neppure realizza una
sanatoria di comportamenti illeciti che – come pretenderebbe il
giudice a quo – continuerebbero ad essere qualificati come tali.
La norma impugnata, invece, introduce una nuova disciplina del
contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le
malattie. Essa, pertanto, costituisce espressione della
discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione
dell’obbligazione contributiva.
In tale discrezionalità rientra anche la contestuale estensione
retroattiva della nuova disciplina, la cui legittimità costituzionale
non è inficiata dalla previsione dell’irripetibilità delle
contribuzioni versate per i periodi anteriori al 1° gennaio 2009.
Infatti, come già rilevato da questa Corte in altra analoga
fattispecie (sentenza n. 292 del 1997), l’irripetibilità di quanto
versato prima dell’entrata in vigore del nuovo regime
dell’obbligazione contributiva, più favorevole per i datori di lavoro,
non determina, di per sé, l’illegittimità dell’efficacia retroattiva
di tale nuovo regime.
Resta impregiudicata, ovviamente, qualsiasi valutazione sulla
legittimità dell’esclusione della restituzione delle somme già versate
a titolo di contributi di malattia, prevista nella parte della norma
non censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 20, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale di Trento con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, l'8 febbraio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2010.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 26 gennaio 2010
ORDINANZA
Rilevato che nel presente giudizio di legittimità costituzionale è
intervenuta la Metro Italia Cash and Carry s.p.a.;
che tale soggetto non è parte del giudizio a quo;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, possono partecipare
al giudizio incidentale di legittimità costituzionale le sole parti
del giudizio principale e i terzi portatori di un interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto
in giudizio (da ultimo, sentenza n. 47 del 2008);
che la Metro Italia Cash and Carry s.p.a. motiva il proprio intervento
con la pendenza avanti la magistratura del lavoro di numerose cause
nelle quali essa è parte e nelle quali deve trovare applicazione
l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008;
che, quindi, l’interesse dell’interveniente è privo di correlazione
con le specifiche e peculiari posizioni soggettive dedotte nel
giudizio principale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l’intervento della Metro Italia Cash and Carry
s.p.a.
F.to: Francesco Amirante, Presidente |