Corte Europea di Giustizia: lavoratore che opera in più Stati e legislazione da applicare
Con sentenza n. C-29/2010, la Corte di giustizia europea ha affermato che nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il Paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 15 marzo 2011 «Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali – Contratto di lavoro – Scelta delle parti – Disposizioni imperative della legge applicabile in mancanza di scelta – Determinazione di tale legge – Nozione di paese in cui il lavoratore “compie abitualmente il suo lavoro” – Lavoratore che svolge il suo lavoro in più di uno Stato contraente» Nel procedimento C‑29/10, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi del Primo protocollo 19 dicembre 1988 relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, dalla Cour d’appel de Luxembourg (Lussemburgo) con decisione 13 gennaio 2010, pervenuta in cancelleria il 18 gennaio 2010, nella causa Heiko Koelzsch contro État du Grand-Duché de Luxembourg, LA CORTE (Grande Sezione), composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e J.‑C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič, J. Malenovský, U. Lõhmus, dalle sig.re P. Lindh e C. Toader (relatore), giudici, avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 26 ottobre 2010, considerate le osservazioni presentate: – per il sig. Koelzsch, dal sig. P. Goergen, avocat; – per il Granducato di Lussemburgo, dai sigg. G. Neu e A. Corre, avocats; – per il governo ellenico, dalla sig.ra T. Papadopoulou e dal sig. K. Georgiadis, in qualità di agenti; – per la Commissione europea, dalla sig.ra A.‑M. Rouchaud-Joët e dal sig. M. Wilderspin, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 dicembre 2010, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (GU 1980, L 266, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Roma»), il quale riguarda i contratti individuali di lavoro. 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un’azione di responsabilità promossa dal sig. Koelzsch contro il Granducato di Lussemburgo e fondata su una presunta violazione della predetta disposizione della Convenzione di Roma da parte dei giudici di tale Stato. Tali giudici erano stati chiamati a statuire in merito ad un’azione di risarcimento danni intentata dal ricorrente nella causa principale contro l’impresa di trasporti internazionali Ove Ostergaard Luxembourg SA, già Gasa Spedition Luxembourg (in prosieguo: la «Gasa»), con sede a Lussemburgo, con la quale aveva concluso un contratto di lavoro. Contesto normativo Le norme sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sulla competenza giudiziaria in materia civile e commerciale La Convenzione di Roma 3 L’art. 3, n. 1, della Convenzione di Roma sancisce: «Il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta dev’essere espressa, o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso». 4 L’art. 6 della Convenzione di Roma, intitolato «Contratto individuale di lavoro», prevede quanto segue: «1. In deroga all’articolo 3, nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma del paragrafo 2. 2. In deroga all’articolo 4 ed in mancanza di scelta a norma dell’articolo 3, il contratto di lavoro è regolato: a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure b) dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese, a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese. In questo caso si applica la legge di quest’altro paese». 5 Il Primo protocollo relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (GU 1998, C 27, pag. 47; in prosieguo: il «Primo protocollo relativo all’interpretazione della Convenzione di Roma»), al suo art. 2, stabilisce: «Le seguenti giurisdizioni hanno il potere di domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale su una questione sollevata in una causa pendente dinanzi ad una di esse e relativa all’interpretazione delle disposizioni contenute negli strumenti di cui all’articolo 1, quando tale giurisdizione ritiene che una decisione su questo punto sia necessaria per pronunciare la sentenza: (…) b) le giurisdizioni degli Stati contraenti quando si pronunciano in appello». Il regolamento (CE) n. 593/2008 6 Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 17 giugno 2008, n. 593, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU L 177, pag. 6), ha sostituito la Convenzione di Roma. Tale regolamento si applica ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009. 7 L’art. 8 del regolamento n. 593/2008, intitolato «Contratti individuali di lavoro», così recita: «1. Un contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti conformemente all’articolo 3. Tuttavia, tale scelta non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile a norma dei paragrafi 2, 3 e 4 del presente articolo. 2. Nella misura in cui la legge applicabile al contratto individuale di lavoro non sia stata scelta dalle parti, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Il paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo. 3. Qualora la legge applicabile non possa essere determinata a norma del paragrafo 2, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore. 4. Se dall’insieme delle circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi 2 o 3, si applica la legge di tale diverso paese». La convenzioni di Bruxelles 8 La Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalla Convenzione 29 novembre 1996, relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (GU 1997, C 15, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles»), al suo art. 5, dispone quanto segue: «Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; in materia di contratto individuale di lavoro, il luogo è quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività; qualora il lavoratore non svolga abitualmente la propria attività in un solo paese, il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale è stato assunto.
(...)».
Il regolamento (CE) n. 44/2001 9 Il regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), ha sostituito la Convenzione di Bruxelles. 10 L’art. 19 del regolamento n. 44/2001 così prevede: «Il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro può essere convenuto: 1) davanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato o 2) in un altro Stato membro: a) davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente, o b) qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, davanti al giudice del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto». Le normative nazionali 11 La legge lussemburghese 18 maggio 1979, recante riforma dei consigli aziendali (Mémorial A 1979, n. 45, pag. 948), al suo art. 34, n. 1, così dispone: «Per la durata del loro mandato, i membri titolari e supplenti dei vari consigli aziendali non possono essere licenziati; il licenziamento notificato dal datore di lavoro a un membro del consiglio aziendale si considera nullo». 12 La legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento (Kündigungsschutzgesetz), al suo art. 15, n. 1, prevede quanto segue: «1. Il licenziamento di un membro di un consiglio aziendale (...) è illegittimo, salvo che talune circostanze consentano al datore di lavoro di procedere al licenziamento per gravi motivi senza osservare un termine di preavviso e che l’autorizzazione richiesta ai sensi dell’art. 103 della legge sull’organizzazione delle imprese [Betriebsverfassungsgesetz] sia stata fornita o sostituita da una decisione giudiziaria. Dopo la scadenza del mandato, il licenziamento di un membro di un consiglio aziendale (...) è illegittimo (...), salvo che talune circostanze consentano al datore di lavoro di procedere al licenziamento per gravi motivi senza osservare un termine di preavviso; ciò non si applica qualora la cessazione dalla qualità di membro sia basata su una decisione giudiziaria. Dopo la fine del mandato, il licenziamento è vietato per il periodo di un anno». Causa principale e questione pregiudiziale 13 Con un contratto di lavoro firmato a Lussemburgo il 16 ottobre 1998, il sig. Koelzsch, conducente di automezzi pesanti, residente a Osnabrück (Germania), è stato assunto come conducente internazionale dalla Gasa. Tale contratto contiene una clausola che rinvia alla legge lussemburghese 24 maggio 1989, sul contratto di lavoro (Mémorial A 1989, n. 35, pag. 612), nonché una clausola attributiva della competenza esclusiva ai giudici del suddetto Stato. 14 La Gasa è una filiale della società di diritto danese Gasa Odense Blomster amba, il cui oggetto consiste nel trasporto di fiori e altre piante da Odense (Danimarca) verso destinazioni situate in prevalenza in Germania, ma anche in altri paesi europei, per mezzo di autocarri stazionanti in Germania, segnatamente a Kassel, a Neukirchen/Vluyn e a Osnabrück. In quest’ultimo Stato membro, la Gasa non dispone né di una sede sociale né di uffici. Gli autocarri sono immatricolati in Lussemburgo e i conducenti beneficiano della previdenza sociale lussemburghese. 15 In seguito all’annuncio della ristrutturazione della Gasa e della riduzione dell’attività dei mezzi di trasporto in partenza dalla Germania, in data 13 gennaio 2001, i dipendenti di tale impresa hanno creato in predetto Stato un consiglio aziendale («Betriebsrat»), di cui il sig. Koelzsch è stato eletto membro supplente il 5 marzo 2001. 16 Con lettera 13 marzo 2001, il direttore della Gasa ha risolto il contratto di lavoro del sig. Koelzsch con effetto dal 15 maggio 2001. L’azione di annullamento avverso il licenziamento e il ricorso per risarcimento danni contro la Gasa 17 Il ricorrente ha anzitutto impugnato la decisione di licenziamento in Germania, dinanzi all’Arbeitsgericht Osnabrück, il quale, con sentenza 4 luglio 2001, si è dichiarato incompetente ratione loci. Il sig. Koelzsch ha quindi interposto appello dinanzi al Landesarbeitsgericht Osnabrück, ma l’appello è stato respinto. 18 Con ricorso 24 luglio 2002, il sig. Koelzsch ha poi citato la Ove Ostergaard Luxembourg SA, subentrata nei diritti della Gasa, dinanzi al Tribunal du travail de Luxembourg, al fine di ottenere la condanna di quest’ultima tanto al risarcimento dei danni per licenziamento illegittimo, quanto al pagamento di un’indennità sostitutiva del preavviso e degli arretrati stipendiali. Egli ha sostenuto che, nonostante la scelta del diritto lussemburghese quale lex contractus, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione di Roma, sarebbero applicabili alla controversia le disposizioni imperative di diritto tedesco che tutelano i membri del consiglio aziendale («Betriebsrat»), giacché il diritto tedesco sarebbe la legge del contratto in mancanza di scelta ad opera delle parti. Pertanto, il suo licenziamento sarebbe illegittimo, poiché l’art. 15 della legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento vieterebbe il licenziamento dei membri di detto «Betriebsrat» e, ai sensi della giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro tedesca), tale divieto si estenderebbe ai membri supplenti. 19 Nella sua sentenza 4 marzo 2004, il Tribunal du travail de Luxembourg ha ritenuto che la controversia fosse soggetta unicamente al diritto lussemburghese e, di conseguenza, ha applicato la legge 18 maggio 1979, recante riforma dei consigli aziendali. 20 Tale sentenza è stata confermata nel merito dalla sentenza della Cour d’appel de Luxembourg 26 maggio 2005, ove quest’ultima aveva peraltro considerato come nuova, e dunque irricevibile, la domanda del sig. Koelzsch di applicare la summenzionata legge tedesca all’insieme delle sue pretese. La Cour de cassation de Luxembourg ha altresì respinto il ricorso avverso tale decisione con sentenza 15 giugno 2006. Il ricorso di responsabilità contro lo Stato per violazione della Convenzione di Roma da parte degli organi giudiziari 21 Poiché questo primo procedimento dinanzi ai giudici lussemburghesi era chiuso definitivamente, in data 1° marzo 2007 il sig. Koelzsch ha presentato un ricorso di risarcimento contro il Granducato di Lussemburgo in base all’art. 1, primo comma, della legge 1° settembre 1988, sulla responsabilità civile dello Stato e degli enti pubblici (Mémorial A 1988, n. 51, pag. 1000), invocando il cattivo funzionamento degli organi giudiziari di quest’ultimo. 22 Il sig. Koelzsch sosteneva, in particolare, che le sopraindicate decisioni giurisdizionali avevano violato l’art. 6, nn. 1 e 2, della Convenzione di Roma, dichiarando inapplicabili al suo contratto di lavoro le disposizioni imperative della legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento e respingendo la sua richiesta di adire la Corte di giustizia con una questione pregiudiziale volta a precisare, alla luce degli elementi del caso di specie, il criterio del luogo di esecuzione abituale del lavoro. 23 Con sentenza 9 novembre 2007, il Tribunal d’arrondissement de Luxembourg (Lussemburgo) ha dichiarato il ricorso ricevibile ma infondato. Per quanto attiene segnatamente alla questione della determinazione della legge applicabile, tale Tribunale ha rilevato che i giudici investiti della controversia tra il sig. Koelzsch e il suo datore di lavoro avevano giustamente considerato che le parti del contratto di lavoro avessero designato la legge lussemburghese come diritto applicabile, sicché non doveva essere preso in considerazione l’art. 6, n. 2, della Convenzione di Roma. Inoltre, esso ha evidenziato che gli istituti di rappresentanza del personale sono disciplinati dalle disposizioni imperative del paese in cui ha sede il datore di lavoro. 24 Il 17 giugno 2008, il sig. Koelzsch ha impugnato tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio. 25 La Cour d’appel de Luxembourg ritiene che la critica dell’appellante in merito all’interpretazione dell’art. 6, n. 1, della Convenzione di Roma da parte dei giudici lussemburghesi non risulti priva di qualsiasi fondamento, in quanto questi ultimi non avrebbero determinato la legge applicabile, in mancanza di scelta ad opera delle parti, in base alla disposizione in parola. 26 Essa rileva che, qualora il diritto lussemburghese vada considerato legge applicabile al contratto in mancanza di scelta ad opera delle parti, non è necessario procedere alla comparazione tra tale legge e le disposizioni della legge tedesca invocata dal ricorrente, al fine di individuare la più favorevole al lavoratore, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione di Roma. Per contro, qualora quest’ultima legge sia da considerare la legge applicabile in mancanza di scelta ad opera delle parti, il carattere imperativo delle norme stabilite dal diritto lussemburghese in materia di licenziamento non dovrebbe impedire l’applicazione del diritto tedesco sulla tutela speciale contro il licenziamento dei membri del consiglio aziendale. 27 A tal riguardo, secondo il giudice del rinvio, i criteri di collegamento previsti dall’art. 6, n. 2, della Convenzione di Roma, segnatamente quello del paese di esecuzione abituale del lavoro, non consentono, contrariamente alla soluzione adottata dal Tribunal d’arrondissement de Luxembourg nella sua sentenza, di escludere subito la legge tedesca come lex contractus. 28 Il giudice del rinvio ritiene che esigenze di coerenza inducano ad interpretare la nozione di «legge del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro», contenuta nell’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione di Roma, alla luce di quella enunciata all’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles e tenendo conto della formulazione usata all’art. 19 del regolamento n. 44/2001, nonché all’art. 8 del regolamento n. 593/2008, che fanno riferimento non soltanto al paese di esecuzione del lavoro, ma anche a quello a partire dal quale il lavoratore svolge le sue attività. 29 Alla luce di tali considerazioni, la Cour d’appel de Luxembourg ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se la norma di diritto internazionale privato definita (...) all’art. 6, n. 2, lett. a), [della Convenzione di Roma], che enuncia che il contratto di lavoro è disciplinato dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro, debba essere interpretata nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore esegua la prestazione lavorativa in diversi paesi, ma ritorni sistematicamente in uno di essi, questo paese deve essere considerato come quello in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro». Sulla questione pregiudiziale 30 Poiché la questione è stata posta da un giudice d’appello, la Corte è competente a pronunciarsi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, in forza del Primo protocollo relativo all’interpretazione della Convenzione di Roma, entrato in vigore il 1° agosto 2004. 31 Per risolvere la questione deferita, occorre interpretare la norma di cui all’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione di Roma, e segnatamente il criterio del paese in cui il lavoratore «compie abitualmente il suo lavoro». 32 A tal riguardo va rilevato che, come sottolineato giustamente dalla Commissione europea, tale criterio deve essere interpretato in modo autonomo, nel senso che il contenuto e la portata di tale norma non possono essere determinati in base al diritto del giudice adito, ma devono essere definiti secondo criteri uniformi ed autonomi per assicurare la piena efficacia della Convenzione di Roma conformemente agli obiettivi che essa persegue (v., per analogia, sentenza 13 luglio 1993, causa C‑125/92, Mulox IBC, Racc. pag. I‑4075, punti 10 e 16). 33 Inoltre, una siffatta interpretazione non deve prescindere da quella relativa ai criteri previsti dall’art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles, quando fissano norme per la determinazione della competenza giurisdizionale per le stesse materie e stabiliscono nozioni analoghe. Infatti, dal preambolo della Convenzione di Roma risulta che essa è stata conclusa per continuare l’opera di unificazione giuridica nel settore del diritto privato internazionale, intrapresa con l’adozione della Convenzione di Bruxelles (v. sentenza 6 ottobre 2009, causa C‑133/08, ICF, Racc. pag. I‑9687, punto 22). 34 Per quanto riguarda il contenuto dell’art. 6 della Convenzione di Roma, giova ricordare che esso fissa norme di diritto internazionale privato speciali relative ai contratti individuali di lavoro. Tali norme derogano a quelle di carattere generale di cui agli artt. 3 e 4 della Convenzione in esame, riguardanti rispettivamente la libertà di scelta della legge applicabile e i criteri di determinazione di quest’ultima in mancanza di una scelta siffatta. 35 L’art. 6, n. 1, della citata Convenzione limita la libertà di scelta della legge applicabile. Esso prevede che le parti contrattuali non possano, convenzionalmente, escludere l’applicazione delle norme giuridiche imperative che disciplinerebbero il contratto in mancanza di una siffatta scelta. 36 L’art. 6, n. 2, della medesima Convenzione stabilisce criteri di collegamento specifici che sono quello del paese in cui il lavoratore «compie abitualmente il suo lavoro» [lett. a)], ovvero, in mancanza di un tale luogo, quello della sede «che ha proceduto ad assumere il lavoratore» [lett. b)]. Inoltre, questo numero prevede che i due suddetti criteri di collegamento non siano applicabili qualora dall’insieme delle circostanze emerga che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese, nel qual caso è applicabile la legge di quest’altro paese. 37 Con la sua decisione di rinvio, la Cour d’appel de Luxembourg intende sapere, sostanzialmente, quale dei primi due criteri sia applicabile al contratto di lavoro di cui trattasi nella causa principale. 38 Secondo il Granducato di Lussemburgo, dal tenore letterale dell’art. 6 della Convenzione di Roma emerge che l’ipotesi contemplata nella questione pregiudiziale, riguardante il lavoro nel settore dei trasporti, è quella cui si riferisce il criterio di cui all’art. 6, n. 2, lett. b). Ammettere l’applicazione a un siffatto contratto della norma di collegamento di cui all’art. 6, n. 2, lett. a), equivarrebbe a svuotare di significato la disposizione di cui al n. 2, lett. b), che concerne proprio il caso in cui il lavoratore non compie abitualmente il suo lavoro in un solo paese. 39 Invece, a giudizio del ricorrente nella causa principale, del governo ellenico e della Commissione, dalla giurisprudenza della Corte relativa all’art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles si evince che l’interpretazione sistematica del criterio del luogo in cui il lavoratore «compie abitualmente il suo lavoro» porta a consentire l’applicazione di tale norma alle ipotesi in cui la prestazione lavorativa venga effettuata in più Stati membri. In particolare, essi deducono che, ai fini dell’individuazione concreta di tale luogo, la Corte ha fatto riferimento al luogo a partire dal quale il lavoratore adempie principalmente le sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro (sentenza Mulox IBC, cit., punti 21‑23), oppure al luogo in cui egli ha stabilito il centro effettivo delle sue attività professionali (sentenza 9 gennaio 1997, causa C‑383/95, Rutten, Racc. pag. I‑57, punto 23), o, in mancanza di un ufficio, al luogo in cui il lavoratore compie la maggior parte del suo lavoro (sentenza 27 febbraio 2002, causa C‑37/00,Weber, Racc. pag. I‑2013, punto 42). 40 A tale proposito, dalla relazione sulla Convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, dei proff. Giuliano e Lagarde (GU 1980, C 282, pag. 1), emerge che l’art. 6 di quest’ultima è stato concepito per «applicare una normativa più adatta a materie nelle quali gli interessi di una parte contraente non si pongono sullo stesso piano degli interessi dell’altra, e di assicurare [quindi] una migliore tutela a quella parte che, sotto l’aspetto socio-economico, dev’essere considerata come la più debole nel rapporto contrattuale». 41 La Corte si è parimenti ispirata a siffatti principi nell’interpretazione delle norme di competenza relative a questi contratti, fissate nella Convenzione di Bruxelles. Infatti, essa ha statuito che, nell’ipotesi in cui, come nella causa principale, il lavoratore svolga le proprie attività professionali in più di uno Stato contraente, occorre tener in debito conto la necessità di garantire un’adeguata tutela al lavoratore in quanto parte contraente più debole (v., in tal senso, sentenze Rutten, cit., punto 22, e 10 aprile 2003, causa C‑437/00, Pugliese, Racc. pag. I‑3573, punto 18). 42 Ne consegue che, poiché l’obiettivo dell’art. 6 della Convenzione di Roma è di assicurare una tutela adeguata al lavoratore, tale disposizione deve essere intesa nel senso che essa garantisce l’applicabilità della legge dello Stato in cui egli svolge le sue attività professionali piuttosto che di quella dello Stato della sede del datore di lavoro. Infatti, in questo primo Stato il lavoratore esercita la sua funzione economica e sociale e, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 50 delle sue conclusioni, l’ambiente professionale e politico influisce sull’attività lavorativa. Di conseguenza, l’osservanza delle norme di tutela del lavoro previste dal diritto di tale paese deve essere, per quanto possibile, garantita. 43 Pertanto, tenuto conto dell’obiettivo perseguito dall’art. 6 della Convenzione di Roma, occorre constatare che il criterio del paese in cui il lavoratore «compie abitualmente il suo lavoro», sancito dal n. 2, lett. a), del medesimo, deve essere interpretato in senso ampio, mentre il criterio della sede che «ha proceduto ad assumere il lavoratore», di cui al n. 2, lett. b), dello stesso articolo, dovrebbe trovare applicazione qualora il giudice adito non sia in condizione di individuare il paese di esecuzione abituale del lavoro. 44 Da quanto precede discende che il criterio contenuto nell’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione di Roma, può applicarsi anche in un’ipotesi, come quella in esame nella causa principale, in cui il lavoratore svolge le sue attività in più di uno Stato contraente, allorquando per il giudice adito è possibile individuare lo Stato che presenta un collegamento significativo con il lavoro. 45 Secondo la giurisprudenza della Corte, citata al punto 39 della presente sentenza, che rimane pertinente nell’analisi dell’art. 6, n. 2, della Convenzione di Roma, qualora le prestazioni lavorative siano eseguite in più di uno Stato membro, il criterio del paese dell’esecuzione abituale del lavoro deve formare oggetto di un’interpretazione ampia ed essere inteso nel senso che si riferisce al luogo in cui o a partire dal quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie attività professionali e, in mancanza di un tale centro di affari, al luogo in cui il medesimo svolge la maggior parte delle sue attività. 46 Peraltro, tale interpretazione si concilia anche con la formulazione della nuova disposizione sulle norme di diritto internazionale privato relative ai contratti individuali di lavoro, introdotta dal regolamento n. 593/2008, non applicabile nella specie ratione temporis. Infatti, in forza dell’art. 8 di tale regolamento, in mancanza di una scelta operata dalle parti, il contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Tale legge rimane applicabile anche quando il lavoratore esegue temporaneamente le sue prestazioni in un altro Stato. Inoltre, come indicato dal ventitreesimo ‘considerando’ del regolamento in parola, l’interpretazione di tale disposizione deve ispirarsi ai principi del favor laboratoris, in quanto le parti più deboli del contratto devono essere protette «tramite regole di conflitto di leggi più favorevoli». 47 Da quanto precede emerge che il giudice del rinvio deve interpretare in senso ampio il criterio di collegamento sancito dall’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione di Roma per stabilire se il ricorrente nella causa principale abbia compiuto abitualmente il suo lavoro in uno degli Stati contraenti e per individuare quale di essi. 48 A tal fine, in considerazione della natura del lavoro nel settore dei trasporti internazionali, come quello di cui trattasi nella causa principale, il giudice del rinvio, come suggerito dall’avvocato generale ai paragrafi 93‑96 delle sue conclusioni, deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano l’attività del lavoratore. 49 In particolare, esso deve stabilire in quale Stato si trovi il luogo a partire dal quale il lavoratore effettua le sue missioni di trasporto, riceve le istruzioni sulle sue missioni e organizza il suo lavoro, nonché il luogo in cui si trovano gli strumenti lavorativi. Egli deve anche verificare quali sono i luoghi in cui il trasporto è principalmente effettuato, i luoghi di scarico della merce nonché il luogo in cui il lavoratore ritorna dopo le sue missioni. 50 Ciò premesso, occorre risolvere la questione posta dichiarando che l’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione di Roma deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro. Sulle spese 51 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: L’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980, deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro.
Firme |
Direzione Provinciale del Lavoro di Modena - www.dplmodena.it