SENTENZA N. 176
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente:
Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano
SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 23, commi 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito, in legge con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, promossi dalle
Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana, Basilicata,
Piemonte, Marche, Puglia e Lazio con ricorsi notificati il 20 ottobre
2008, depositati in cancelleria il 22, il 24, il 28, il 29 ed il 30
ottobre 2008, e rispettivamente iscritti ai nn. 69, 70, 72, 74, 76,
80, 82, 85 e 87 del registro ricorsi 2008.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1°
dicembre 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Luigi Manzi per le
Regioni Emilia-Romagna, Veneto e Liguria, Lucia Bora per la Regione
Toscana, Angelo Pandolfo per le Regioni Piemonte e Marche, Valerio
Speziale per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con distinti ricorsi, nove
Regioni e, precisamente, Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008),
Veneto (reg. ric. n. 70 del 2008), Liguria (reg. ric. n. 72 del 2008),
Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008), Basilicata (reg. ric. n. 76 del
2008), Piemonte (reg. ric. n. 80 del 2008), Marche (reg. ric. n. 82
del 2008), Puglia (reg. ric. n. 85 del 2008) e Lazio (reg. ric. n. 87
del 2008) hanno impugnato in via principale, fra l’altro, i commi 1,
2, 3 e 4 dell’art. 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito, in legge con modificazioni dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modificano gli
articoli 49 e 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
(Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).
Va premesso che, con atto notificato
il 9 gennaio 2009, la Regione Veneto – che era l’unica ad avere
impugnato il comma 3 del citato art. 23 – ha rinunciato al ricorso e
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha accettato tale rinuncia con
atto del 24 gennaio 2009.
2. – La Regione Toscana ha promosso
questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, del
decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui ha modificato
l’articolo 49 del d.lgs. n. 276 del 2003, stabilendo che
l’apprendistato professionalizzante non può comunque essere superiore
a sei anni, per violazione dell’art. 117 della Costituzione.
La ricorrente osserva che, con la
modifica introdotta, viene eliminata la previsione, precedentemente
contenuta nell’art. 49 citato, secondo cui l’apprendistato
professionalizzante non può essere inferiore a due anni, con
pregiudizio alla possibilità di programmazione e gestione della
formazione per contratti di durata inferiore a tale limite, con la
conseguenza che l’eliminazione operata incide sulle attribuzioni
regionali in materia di formazione professionale, perché, con
contratti di breve durata, la formazione non può essere programmata,
né assicurata. Per questo la disposizione, che irragionevolmente ha
operato la prevista eliminazione, appare costituzionalmente
illegittima per violazione dell’art. 117 Cost.
2.1. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile, non essendo indicato sotto quale profilo
verrebbe lesa la competenza regionale, e, in particolare, se la norma
censurata incida su materie di legislazione esclusiva o concorrente
della Regione.
Nel merito, secondo la difesa dello
Stato, la questione sollevata è, comunque, infondata in quanto la
norma oggetto di impugnazione consente alle parti sociali – cui
risultava già affidata la determinazione della durata del contratto –
di stabilire una durata del contratto anche inferiore a due anni se
funzionale alle esigenze del settore o alle caratteristiche del
percorso formativo, con la conseguenza che non sarebbe lesa la
competenza regionale che, se del caso, può parametrare la propria
regolamentazione per i profili di sua competenza al nuovo limite di
durata.
3. – Le Regioni Toscana, Piemonte,
Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Puglia, Basilicata hanno
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma
2, del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui inserisce il
comma 5-ter nell’art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003, stabilendo che,
in caso di formazione esclusivamente aziendale, la regolamentazione
dei profili formativi dell’apprendistato professionalizzante non è
definita dalle Regioni d’intesa con le associazioni dei datori di
lavoro e dei lavoratori, ma dai contratti collettivi di lavoro, per
violazione degli artt. 117, 120, 118 e 39 della Costituzione.
3.1. – Con riferimento all’art. 117
Cost., le Regioni Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria,
Puglia e Basilicata affermano che la norma in esame assegna alla
contrattazione collettiva la funzione di fonte esclusiva, in luogo di
quella regionale, anche nella definizione della nozione di formazione
aziendale, dei profili formativi, delle modalità di erogazione, della
durata della formazione, nel riconoscimento della qualifica
professionale e ciò pur in presenza di una compiuta disciplina
regionale.
Osservano, poi le ricorrenti che la
nuova formulazione dell’articolo 117 Cost. attribuisce la formazione
professionale alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni,
affidando alle stesse una competenza generale su tutto ciò che attiene
agli aspetti formativi, senza necessità di distinguere tra formazione
pubblica esterna e formazione privata aziendale. Quest’ultima,
infatti, è sempre connessa ad un profilo di crescita e di
qualificazione delle conoscenze del lavoratore che non può non essere
ricompresa nell’ambito della formazione propriamente detta, cui fa
riferimento il testo costituzionale.
La norma impugnata – sostengono le
ricorrenti – si riferisce alla distinzione, operata dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 50 del 2005, tra formazione «interna»
all’azienda, che attiene al rapporto contrattuale ed è rimessa alla
competenza statale, e formazione «esterna» all’azienda, da ricondurre
ai profili «pubblicistici» dell’istituto, soggetta alla competenza
concorrente delle Regioni.
Tuttavia, la norma non tiene conto
delle strette interrelazioni che vi sono tra l’aspetto della
formazione esterna e quello della formazione interna. A tale proposito
la Corte costituzionale, con la stessa sentenza n. 50 del 2005, ha
rilevato che «se è vero che la formazione all’interno delle aziende
inerisce al rapporto contrattuale, sicché la sua disciplina rientra
nell’ordinamento civile, e che spetta invece alle Regioni e alle
Province autonome disciplinare quella pubblica, non è men vero che
nella regolamentazione dell’apprendistato né l’una né l’altra appaiono
allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e da altri
aspetti dell’istituto. Occorre perciò tener conto di tali
interferenze».
3.1.1. – Secondo la difesa dello
Stato, invece, la questione non sarebbe fondata in quanto la
formazione professionale che la Costituzione riserva alle Regioni è
esclusivamente quella pubblica o esterna, «da impartire o negli
istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie
regionali, sia in organismi privati con cui siano stipulati accordi
ma, in ogni caso, al di fuori rispetto all’ambito aziendale» (sentenza
n. 50 del 2005).
Per contro, la formazione che si
svolge all’interno dell’azienda, per la sua diretta attinenza con il
sinallagma contrattuale, rientra nella materia «ordinamento civile» ex
art. 117, lett. 1), Cost., completamente sottratta, in linea di
principio, alla regolamentazione regionale.
Nel caso di specie la disposizione
impugnata incide sulla disciplina dell’apprendistato
professionalizzante ovvero volto ad una qualificazione di tipo
contrattuale, disciplinata dai contratti collettivi e, in quanto tale,
rientrante nella materia dell’ordinamento civile ex art. 117 Cost.,
del tutto estranea, pertanto, all’ordinamento delle professioni –
oggetto di potestà concorrente – di cui all’art. 117, terzo comma,
Cost.
3.2. – Quanto all’art. 120 della
Costituzione e al principio di leale collaborazione, le Regioni
Marche, Piemonte, Veneto, Basilicata e Puglia osservano che la
sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2007 ribadisce che
quando sussiste «un’interferenza di materie, riguardo alle quali
esistono competenze legislative diverse» è necessario procedere alla
loro composizione con «gli strumenti della leale collaborazione o,
qualora risulti la prevalenza di una materia sull’altra, (con)
l’applicazione del criterio appunto di prevalenza».
Rileva, in particolare, la Regione
Puglia che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 50 del 2005, ha
affermato che in tema di crediti formativi e di qualifiche
professionali deve essere assicurato il coinvolgimento delle Regioni,
con strumenti opportuni che garantiscano l’esercizio della «leale
collaborazione».
La disposizione impugnata, al
contrario, non prevede alcuna forma di partecipazione delle Regioni
per quanto riguarda le modalità di riconoscimento della qualifica
professionale (rimessa esclusivamente alle parti sociali tramite enti
bilaterali o atti di autonomia collettiva) e questa omissione si
riflette anche sulla disciplina del riconoscimento dei crediti
formativi. Infatti, «la qualifica professionale conseguita attraverso
il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il
proseguimento nei percorsi di istruzione e di formazione professionale
(art. 51, d.lgs. n. 276 del 2003). Se, dunque, le Regioni non possono
incidere sui criteri di definizione delle qualifiche professionali,
questa esclusione si riflette indirettamente sulle modalità di
riconoscimento dei crediti stessi, rispetto ai quali la Regione ha un
diritto/dovere di «intesa» (ai sensi dell’art. 52, comma 2, del d.lgs.
n. 276 del 2003). In sostanza, l’art. 23, comma 2, della legge n. 133
del 2008 inibirebbe alle Regioni la partecipazione alla definizione di
aspetti essenziali della formazione che, al contrario, la Corte
costituzionale ritiene debbano vedere l’attiva partecipazione delle
stesse.
3.2.1. – Secondo l’Avvocatura dello
Stato, invece, se è vero che nell’attuale assetto del mercato del
lavoro la disciplina dell’apprendistato si colloca all’incrocio di una
pluralità di competenze, esclusive dello Stato (ordinamento civile, ma
anche determinazione dei livelli essenziali dell’istruzione e delle
norme generali in materia, ove l’apprendistato sia indirizzato
all’assolvimento dell’obbligo scolastico), residuali delle Regioni
(istruzione e formazione professionale), concorrenti di Stato e
Regioni (tutela del lavoro, istruzione), è anche vero che, in
alternativa al principio di leale collaborazione, la Corte ha altresì
indicato, quale possibile criterio dirimente, quello della prevalenza
della materia al fine di fondarne la rispettiva competenza. In tal
senso è la sentenza n. 24 del 2007, secondo cui «È pur vero che in
materia di apprendistato professionalizzante si è rilevata (anche) una
interferenza di materie riguardo alle quali esistono competenze
legislative diverse, alla cui composizione provvedono, quando
possibile, gli strumenti di leale collaborazione o, qualora risulti la
prevalenza di una materia sull’altra, l’applicazione del criterio
appunto di prevalenza». In ogni caso, se è vero che, come afferma la
Corte costituzionale, le molteplici interferenze di materie diverse
non consentono la soluzione delle questioni sulla base di criteri
rigidi, tuttavia è vero altresì che «la riserva alla competenza
legislativa regionale della materia formazione professionale non può
escludere la competenza dello Stato a disciplinare l’apprendistato per
i profili inerenti a materie di sua competenza» (sentenza n. 50 del
2005).
In perfetta coerenza con tali
principi, la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 23 del
decreto-legge 112 del 2008 sarebbe volta a disciplinare, nell’ambito
del contratto di apprendistato professionalizzante, solo la
«formazione esclusivamente aziendale», rimettendo per tale limitata
ipotesi i profili formativi alla regolamentazione che le è propria,
ovvero a quella collettiva. Nella specie, pertanto, la disposizione
censurata inciderebbe su profili strettamente attinenti all’ambito
riservato in via esclusiva alla competenza statale – ovvero alla
disciplina che i privati datori di lavoro possono impartire
all’interno dell’azienda ai propri dipendenti – senza che sia dato
ravvisare quelle interferenze con ambiti regionali, con la conseguente
insussistenza della violazione delle disposizioni costituzionali
richiamate ex adverso ma anche della prospettata violazione del
principio di leale collaborazione, considerato che, venendo in rilievo
la formazione esclusivamente endo-aziendale, non viene attribuita alle
parti sociali e agli enti bilaterali alcuna competenza propria delle
Regioni.
Del resto, quanto affermato dalla
Corte costituzionale, con la già ricordata sentenza n. 50 del 2005 –
secondo cui nella regolamentazione dell’apprendistato la formazione
interna e la formazione esterna non appaiono allo stato puro, ossia
separate nettamente tra di loro – varrebbe ovviamente solo per il
canale formativo delineato nell’articolo 49, comma 5, là dove
l’operatività del canale sussidiario aperto dal comma 5-ter vale
espressamente e tassativamente per la formazione «esclusivamente
aziendale» e, dunque, soltanto quando i due profili formativi (interno
ed esterno) sono nettamente separati, con la conseguente esclusione di
qualsivoglia sconfinamento nell’ambito di competenze regionali. Da un
lato, infatti, con il censurato art. 23, comma 2, non si procede ad
alcuna modifica della normativa preesistente, restando immutato il
comma 5 dell’art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003; dall’altro, con
l’introduzione del successivo comma 5-ter, si tende a creare un canale
parallelo, sommando all’offerta pubblica un’offerta formativa privata
in regime di piena sussidiarietà, al solo fine di rendere maggiormente
effettiva la formazione nel contratto di apprendistato
professionalizzante.
3.3. – Secondo le Regioni Toscana e
Basilicata, il comma 2 impugnato non è conforme neppure all’art. 118
Cost., perché i profili in esame non vengono attratti allo Stato per
esigenze di carattere unitario, ma sono sottratti alla potestà
regionale per essere affidati alla regolamentazione dei contratti
collettivi.
Secondo la Regione Lazio, la norma
impugnata viola l’art. 118 Cost. in quanto si pone in contrasto con il
regolamento regionale 21 giugno 2007 n. 7 (attuativo della citata
legge regionale n. 9 del 2006), le cui previsioni risultano
incompatibili con la nuova disciplina statale, perpetrandosi per
questo aspetto una ulteriore violazione della competenza normativa
regionale, sia sotto il profilo legislativo che regolamentare.
3.3.1. – Per l’Avvocatura dello
Stato, una volta riconosciuta la competenza esclusiva dello Stato a
disciplinare la materia dell’apprendistato all’interno dell’azienda, o
perché si rientra pienamente nella materia dell’ordinamento civile o
perché quest’ultima è comunque prevalente, ne discende, quale diretta
conseguenza, l’insussistenza di qualsivoglia sconfinamento nell’ambito
di competenze regionali quanto al principio di sussidiarietà.
3.4. – Secondo le Regioni
Emilia-Romagna e Liguria, la norma di cui all’art. 23, comma 2, si
pone altresì in contrasto con l’art. 39 della Costituzione, in quanto
il contratto collettivo di lavoro ha efficacia generale solo se il
sindacato è registrato e, quindi, data la non attuazione dell’art. 39
Cost., il contratto collettivo non può avere efficacia generale.
Osservano le due Regioni che la
questione si è già posta (non essendo una novità che il legislatore
rinvii ai contratti collettivi di lavoro per l’integrazione della
propria disciplina) e che, in passato, la Corte costituzionale ha
sottolineato l’illegittimità di leggi del genere, e le ha giustificate
solo «quando si tratta di materie del rapporto di lavoro che esigono
uniformità di disciplina in funzione di interessi generali connessi al
mercato del lavoro, come il lavoro a tempo parziale (...), i contratti
di solidarietà, la definizione di nuove ipotesi di assunzione a
termine» (sent. n. 344 del 1996).
Dal momento che i profili formativi
dell’apprendistato professionalizzante di certo non rappresentano una
materia che esige una disciplina uniforme per gli interessi del
mercato del lavoro, la «delega di funzioni paralegislative» (per usare
un’espressione della sentenza n. 344 del 1996) ai contratti collettivi
– operata dall’art. 23, comma 2 – costituisce una palese violazione
dell’art. 39 Cost. e trasforma i contratti stessi (o gli accordi
conclusi in sede di ente bilaterale) in una fonte extra-ordinem.
Poiché attraverso questa violazione
si produce una menomazione delle competenze regionali (dato che la
Regione viene privata di una potestà normativa che prima aveva, anche
in relazione alla formazione aziendale, come risulta dall’art. 49,
comma 5, del d.lgs. n. 276 del 2003) e poiché si verte in materia di
competenza regionale, esisterebbero tutti gli elementi della lesione
di competenza indiretta, nel senso che la violazione dell’art. 117,
quarto comma, Cost. si determina attraverso la violazione dell’art. 39
Cost. (vengono richiamate le sentenze n. 206 del 2001, punti 15, 16 e
34, n. 110 del 2001, n. 303 del 2003, punto 35, n. 280 del 2004, n.
355 del 1993). Di qui la legittimazione regionale a far valere la
violazione dell’art. 39 e, tramite questa, della propria potestà
legislativa in materia di formazione professionale. Del resto, già in
un’occasione la Corte ha mostrato di non escludere a priori il
riferimento all’art. 39 Cost. in un ricorso regionale (sentenza n. 219
del 1984).
3.4.1. – Secondo l’Avvocatura dello
Stato la censura è inammissibile, in quanto dalla stessa
prospettazione di cui al ricorso regionale non emerge alcuna attinenza
tra il parametro costituzionale invocato (art. 39 Cost.) e la
lamentata lesione della competenza regionale prefigurata dall’art.
117, quarto comma, Cost. lesione che «costituisce l’oggetto e il
limite dell’impugnazione diretta della Regione» (sentenza n. 219 del
1984). In ogni caso, regolando la norma impugnata la sola formazione
di carattere strettamente aziendale, non viene attribuita alle parti
sociali e agli enti bilaterali alcuna competenza propria delle
Regioni.
3.4.2. – Con memoria depositata il 9
novembre 2009, la Regione Toscana lamenta che la norma impugnata
vanifica la già esistente normativa della Regione Toscana, che ha
disciplinato i profili formativi, la nozione di formazione aziendale,
le modalità di erogazione, la durata, il riconoscimento della
qualifica professionale.
Con distinte memorie depositate
entrambe il 18 novembre 2009, la Regione Liguria e la Regione
Emilia-Romagna contestano quanto affermato dall’Avvocatura dello
Stato, ossia che non sussisterebbe alcuna attinenza tra il parametro
di cui all’art. 39 Cost. e la lamentata lesione della competenza
regionale. Infatti, la lesione dell’art. 117 si determina attraverso
la lesione dell’art. 39 Cost. Inoltre vi sono profili, quali «le
modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini
contrattuali» e «la registrazione nel libretto formativo» in relazione
ai quali la norma impugnata non riguarda propriamente la formazione
aziendale.
4. – Le Regioni Piemonte, Marche e
Basilicata hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del
comma 4 dell’art. 23, che, dopo le parole «e le altre istituzioni
formative», aggiunge i seguenti periodi al comma 3 dell’art. 50 del
d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276: «In assenza di regolamentazioni
regionali l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione e
rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le
Università e le altre istituzioni formative. Trovano applicazione per
quanto compatibili, i principi stabiliti all’articolo 49, comma 4,
nonché le disposizioni di cui all’articolo 53», per violazione del
principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, di cui all’art.
120 della Costituzione e la menomazione delle potestà legislative
esclusive e concorrenti delle Regioni ex art. 117 della Costituzione,
come pure della conseguente potestà amministrativa ex art. 118 della
Costituzione.
4.1. – L’art. 23, comma 4, del
decreto-legge n. 112 del 2008 elimina dunque l’obbligo – inizialmente
previsto dal comma 3 – di sottoscrivere un’intesa con le Regioni per
poter utilizzare il contratto di apprendistato di alta formazione.
L’eliminazione dell’obbligo della
preventiva intesa determina l’illegittimità costituzionale della norma
risultante, in quanto proprio tale obbligo era stato identificato
dalla sentenza n. 50 del 2005 come strumento di attuazione del
principio di leale collaborazione.
Con riferimento a questa forma di
apprendistato si stabilisce addirittura il principio che l’intero
percorso formativo – tanto quello svolto in azienda, quanto quello
svolto all’esterno dell’azienda – può essere regolato da fonti diverse
dalla norma regionale.
4.2. – Secondo l’Avvocatura dello
Stato la censura è infondata, in quanto pur con la disposizione
censurata resta fermo il potere della Regione di intervenire in
qualsiasi momento a regolamentare l’istituto sulla base delle potestà
ad essa riconosciuta dall’art. 50, comma 3, prima parte, del d.lgs. n.
276 del 2003.
Considerato in diritto
1. – Con distinti ricorsi, nove
Regioni e, precisamente, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana,
Basilicata, Piemonte, Marche, Puglia e Lazio hanno impugnato in via
principale, fra l’altro, i commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 23 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, nella parte in cui modificano gli articoli 49 e 50 del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in
materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14
febbraio 2003, n. 30), per violazione degli articoli 39, 117, 118 e
120 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
2. – Riservata a separate pronunce
ogni decisione in ordine alle altre censure sollevate dalle stesse
Regioni nei confronti della normativa citata, tutti i giudizi vanno
riuniti in quanto, avendo ad oggetto questioni analoghe o connesse, ne
risulta opportuna la trattazione unitaria.
3. – La Regione Veneto – che è
l’unica ad aver proposto questione di legittimità costituzionale del
comma 3 dell’art. 23 del decreto-legge n. 112 del 2008 – con atto
notificato il 9 gennaio 2009 ha rinunciato al ricorso e il Presidente
del Consiglio dei Ministri ha accettato la rinuncia con atto del 24
gennaio 2009.
Il relativo processo va, pertanto,
dichiarato estinto per rinuncia.
4. – L’art. 23 del decreto-legge n.
112 del 2008, introduce una serie di modifiche alla disciplina del
contratto di apprendistato.
Il comma 1 di tale articolo ha
modificato il testo originario dell’art. 49, comma 3, del d.lgs. n.
276 del 2003, per il quale la durata del contratto di apprendistato
professionalizzante non poteva essere «inferiore a due anni e
superiore a sei», stabilendo che il predetto contratto non può avere
una durata «superiore a sei anni», e così eliminando la previsione
della durata minima.
La Regione Toscana dubita della
legittimità costituzionale della modifica, per violazione dell’art.
117 della Costituzione, in quanto l’eliminazione di un termine minimo
di durata inciderebbe sulle attribuzioni regionali in materia di
formazione professionale, impedendo la programmazione della formazione
stessa.
Il Presidente del Consiglio dei
ministri, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità
della questione proposta, per non avere la ricorrente precisato se la
norma censurata incida su materia di competenza esclusiva o
concorrente della Regione, nonché la sua infondatezza nel merito, dal
momento che la norma impugnata consente alle parti di stabilire una
durata del contratto anche inferiore a due anni se funzionale alle
esigenze del settore o alle caratteristiche del percorso formativo.
4.1. – La questione è ammissibile –
dovendo ritenersi che la Regione abbia implicitamente invocato la
propria competenza esclusiva in tema di formazione professionale – ma
non è fondata.
La norma oggi impugnata consente alle
associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro la conclusione di
contratti di apprendistato di durata fino a sei anni, laddove la
precedente consentiva tali contratti solo se fossero stati di durata
compresa fra i due e i sei anni. La legge non riduce automaticamente i
tempi della formazione professionale, ma attribuisce la facoltà, prima
non consentita, di concludere contratti fino a due anni, senza
eliminare la possibilità di concluderne anche di durata superiore.
Saranno dunque le parti sociali – cui risultava già affidata la
determinazione della durata del contratto – a stabilirne una anche
inferiore a due anni se funzionale alle esigenze del settore o alle
caratteristiche del percorso formativo. Vi sono, infatti, figure
professionali per le quali un contratto di apprendistato di durata
inferiore ai due anni può considerarsi sufficiente.
Non è tuttavia lesa la competenza
delle Regioni, le quali possono, come prima, contribuire alla
disciplina della formazione professionale, dettando norme che
prevedano, per il conseguimento di determinate qualifiche
professionali, una durata del rapporto non inferiore a due anni.
Non va, infatti, dimenticato che da
quando, con decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 (Conferimento
alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di
mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15 marzo 1997, n.
59), sono stati istituiti i servizi regionali per l’impiego, tra loro
coordinati nell’ambito del “sistema informativo lavoro” (SIL), le
Regioni esercitano importanti funzioni di programmazione, monitoraggio
e verifica nell’ambito del mercato del lavoro di rispettiva competenza
e, quindi, anche sui contratti di apprendistato. Questa situazione è
stata presa in considerazione nell’ambito del d.lgs. n. 276 del 2003
che, da un lato, ha previsto un incisivo coinvolgimento delle Regioni
per quel che riguarda la stessa definizione di «libretto formativo del
cittadino» (art. 2, comma 1, lettera i, d.lgs. n. 276 del 2003, sulla
base del quale è stato emanato il decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali 10 ottobre 2005, recante «Approvazione del
modello di libretto formativo del cittadino, ai sensi del d.lgs. 10
settembre 2003, n. 276, art. 2, comma 1, lettera i») e, dall’altro
lato, all’art. 51, dopo aver stabilito che «la qualifica professionale
conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce
credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di
istruzione e formazione professionale» (comma 1), ha precisato che le
Regioni devono partecipare alla definizione delle modalità di
riconoscimento dei suddetti crediti formativi (comma 2).
Su tali funzioni regionali il
decreto-legge n. 112 del 2008 non ha influito ed esso, anzi, si può
dire le abbia date per acquisite, come si desume sia dal fatto che,
con riferimento al nuovo “canale” di accesso al contratto di
apprendistato professionalizzante introdotto dal comma 5-ter dell’art.
49, si è richiamata tout court la registrazione nel libretto formativo
(che, a sua volta, per la mansione svolta, rinvia alla qualifica SIL),
sia dalla circostanza che l’art. 40, comma 4, del decreto-legge n. 112
del 2008 ha modificato l’art. 9, comma 6, della legge 12 marzo 1999,
n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), in materia di
avviamento al lavoro dei disabili, proprio nel senso di valorizzare la
necessità di «assicurare l’unitarietà e l’omogeneità del sistema
informativo lavoro» e di potenziare il coinvolgimento delle Regioni in
materia, attraverso lo strumento dell’intesa (potenziamento che è
divenuto ancora più incisivo dopo l’ulteriore modifica del suddetto
comma 6 ad opera dell’art. 6, comma 5, della legge 23 luglio 2009, n.
99).
5. – L’art. 23, comma 2, del
decreto-legge n. 112 del 2008 ha aggiunto all’art. 49 del d.lgs. n.
276 del 2003 il seguente comma: «5-ter. In caso di formazione
esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In
questa ipotesi i profili formativi dell’apprendistato
professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi
di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I
contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di
formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la
durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di
riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la
registrazione nel libretto formativo».
Questa disposizione – che dichiara
inoperante la previsione del precedente comma 5 dello stesso articolo
per il quale «la regolamentazione dei profili formativi
dell’apprendistato professionalizzante è rimessa alle Regioni e alle
Province autonome di Trento e Bolzano, d’intesa con le associazioni
dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano regionale» – è stata impugnata dalle Regioni
Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Puglia,
Basilicata per violazione: a) dell’art. 117 Cost. in quanto non
prenderebbe in considerazione le strette interrelazioni che vi sono
tra l’aspetto della formazione pubblica e quello della formazione
interna, delle quali occorre tenere conto, come rilevato dalla
sentenza n. 50 del 2005 di questa Corte; b) dell’art. 120 Cost. e del
principio di leale collaborazione, in quanto, quando sussiste – come
nella specie – un’interferenza di materie, riguardo alle quali
esistono competenze legislative diverse, è necessario procedere alla
loro composizione con gli strumenti della leale collaborazione; c)
dell’art. 118 Cost., non sussistendo alcuna esigenza di carattere
unitario che imponga una disciplina statale dell’apprendistato
professionalizzante all’interno dell’azienda, che lo sottragga alla
potestà regionale per affidarlo alla regolamentazione dei contratti
collettivi; d) nonché dell’art. 39 Cost. in quanto il contratto
collettivo di lavoro ha efficacia generale solo se il sindacato è
registrato e, quindi, data la non attuazione dell’art. 39 Cost., il
contratto collettivo non può avere efficacia generale.
6. – Con riferimento alla violazione
dell’art. 117 Cost., le Regioni Toscana, Piemonte, Marche,
Emilia-Romagna, Liguria, Puglia e Basilicata affermano che la norma in
esame assegna alla contrattazione collettiva la funzione di fonte
esclusiva, in luogo di quella regionale, anche nella definizione della
nozione di formazione aziendale, senza tenere presente che la norma
costituzionale attribuisce la formazione professionale alla potestà
legislativa esclusiva delle Regioni, affidando alle stesse una
competenza generale su tutto ciò che attiene agli aspetti formativi,
non operando alcuna distinzione tra formazione pubblica esterna e
formazione privata aziendale. La nuova normativa accredita invece la
possibilità che la formazione sia «esclusivamente aziendale» e, con
riferimento all’atteggiarsi in questo modo della formazione relativa
all’apprendistato, rimette «integralmente» ai contratti collettivi –
siano essi nazionali, territoriali o solo aziendali – o agli enti
bilaterali – organismi privati istituiti dalla contrattazione
collettiva – la definizione dei «profili formativi»; assegnando alla
contrattazione collettiva il compito di definire la nozione di
formazione aziendale e, per ciascun profilo formativo, la durata e le
modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento
della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione
nel libretto formativo.
Tuttavia la norma non tiene conto
delle strette interrelazioni che vi sono tra l’aspetto della
formazione esterna, da ricondurre ai profili «pubblicistici»
dell’istituto e soggetta alla competenza delle Regioni, e quello della
formazione interna, che attiene al rapporto contrattuale ed è rimessa
alla competenza statale, come rilevato dalla sentenza n. 50 del 2005
di questa Corte, la quale ha affermato la conformità a Costituzione di
alcune disposizioni normative del d.lgs. n. 276 del 2003 sopra
richiamato, con riguardo all’apprendistato professionalizzante,
proprio per la previsione del coinvolgimento delle Regioni (chiamate a
stipulare un’intesa con le associazioni di datori e prestatori di
lavoro) nella regolamentazione dei profili formativi, con la
conseguenza che la soluzione dovrebbe essere di segno contrario, in
mancanza di tale coinvolgimento.
Rileva, in particolare, la Regione
Lazio che la norma impugnata incide direttamente sul contenuto della
disciplina già dettata con la legge regionale 10 agosto 2006, n. 9
(Disposizioni in materia di riforma dell’apprendistato), la quale: a)
prevede che i profili formativi attinenti all’apprendistato sono
definiti con deliberazione della giunta regionale previo accordo con
le associazioni di categoria (art. 2); b) fornisce la definizione
della nozione di formazione formale, stabilendo contestualmente le
modalità di svolgimento della formazione formale interna (art. 5).
Secondo la difesa dello Stato,
invece, la disposizione in esame è pienamente coerente con il disegno
costituzionale in materia, in quanto la formazione professionale che
la Costituzione riserva alle Regioni è esclusivamente quella pubblica
o esterna (sentenza n. 50 del 2005), mentre quella che si svolge
all’interno dell’azienda rientra nella materia «ordinamento civile» ex
art. 117, lett. 1), Cost., sottratta alla regolamentazione regionale.
7. – Con riferimento alla violazione
dell’art. 120 Cost. e al principio di leale collaborazione, le Regioni
Marche, Piemonte, Veneto, Basilicata e Puglia osservano che, quando
sussiste «un’interferenza di materie, riguardo alle quali esistono
competenze legislative diverse», è necessario procedere alla loro
composizione con «gli strumenti della leale collaborazione o, qualora
risulti la prevalenza di una materia sull’altra, con l’applicazione
del criterio appunto di prevalenza» (sentenza n. 24 del 2007).
Afferma in particolare la Regione
Puglia che, in tema di crediti formativi e di qualifiche
professionali, deve essere assicurato il coinvolgimento delle Regioni,
con strumenti opportuni che garantiscano l’esercizio della «leale
collaborazione» (sentenza n. 50 del 2005), mentre la disposizione
impugnata, al contrario, non prevede alcuna forma di partecipazione
delle Regioni per quanto riguarda le modalità di riconoscimento dalla
qualifica professionale. In sostanza, l’art. 23, comma 2, del
decreto-legge n. 112 del 2008 inibisce alle Regioni la partecipazione
alla definizione di aspetti essenziali della formazione che, al
contrario, questa Corte riterrebbe debbano vedere l’attiva
partecipazione delle stesse.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, in
ipotesi di pluralità di competenze (esclusive e concorrenti) dello
Stato e delle Regioni, in alternativa al principio di leale
collaborazione, si può applicare, quale possibile criterio dirimente,
quello della prevalenza della materia al fine di fondarne la
rispettiva competenza (sentenza n. 24 del 2007). In perfetta coerenza
con tali principi, la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 23 del
decreto-legge n. 112 del 2008 sarebbe volta a disciplinare,
nell’ambito del contratto di apprendistato professionalizzante, solo
la formazione esclusivamente aziendale, rimettendo, per tale limitata
ipotesi, i profili formativi alla regolamentazione collettiva. La
disposizione censurata inciderebbe su profili strettamente attinenti
all’ambito riservato in via esclusiva alla competenza statale senza
interferenze con ambiti regionali, con insussistenza della violazione
della disposizione costituzionale richiamata e del principio di leale
collaborazione, giacché, venendo in considerazione la formazione
esclusivamente endo-aziendale, non viene attribuita alle parti sociali
e agli enti bilaterali alcuna competenza propria delle Regioni. Ne
discende l’esclusione di qualsivoglia sconfinamento nell’ambito di
competenze regionali. Da un lato, infatti, con il censurato art. 23,
comma 2, non si procede ad alcuna modifica della normativa
preesistente, il comma 5 dell’art. 49 d.lgs. n. 276 del 2003 restando
immutato; dall’altro, con l’introduzione del successivo comma 5-ter,
si tende a creare un canale parallelo, sommando all’offerta pubblica
un’offerta formativa privata in regime di piena sussidiarietà, al solo
fine di rendere maggiormente effettiva la formazione nel contratto di
apprendistato professionalizzante.
8. – La questione è fondata nei
limiti di seguito precisati.
La formazione aziendale, come
ritenuto dalla citata sentenza di questa Corte n. 50 del 2005,
«rientra nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello
Stato in materia di ordinamento civile». Peraltro, nella pronuncia si
afferma altresì che «se è vero che la formazione all’interno delle
aziende inerisce al rapporto contrattuale, sicché la sua disciplina
rientra nell’ordinamento civile, e che spetta invece alle Regioni e
alle Province autonome disciplinare quella pubblica, non è men vero
che nella regolamentazione dell’apprendistato né l’una né l’altra
appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e da
altri aspetti dell’istituto», con la conseguenza che «occorre perciò
tener conto di tali interferenze».
Interferenze che sono correlative
alla naturale proiezione esterna dell’apprendistato
professionalizzante e all’acquisizione da parte dell’apprendista dei
crediti formativi, utilizzabili nel sistema dell’istruzione – la cui
disciplina è di competenza concorrente – per l’eventuale conseguimento
di titoli di studio.
Nella specie, di tali interferenze
non si è tenuto conto e ciò determina l’illegittimità costituzionale
della norma – per contrasto con gli artt. 117 e 120 Cost. nonché con
il principio di leale collaborazione – in primo luogo con riguardo
alle parole «non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi»
dal momento che siffatta inapplicabilità finisce per rendere
inoperante, senza alcun ragionevole motivo, il principio enunciato nel
primo periodo del comma 5, secondo cui «la regolamentazione dei
profili formativi dell’apprendistato professionalizzante, è rimessa
alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, d’intesa
con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative sul piano regionale», nel rispetto di criteri e
principi direttivi successivamente enunciati, nonché, per l’effetto,
della legislazione regionale intervenuta, o che potrebbe intervenire,
ai sensi della disposizione citata, come rilevato dalla Regione Lazio,
che fa riferimento alla propria legge regionale 10 agosto 2006, n. 9
(Disposizioni in materia di riforma dell’apprendistato).
Inoltre, si pone in contrasto con la
suddetta scelta di lasciare inalterato il quadro complessivo della
disciplina del settore (e, in particolare, gli artt. 51 e 53 del
d.lgs. n. 276 del 2003) l’abolizione delle competenze regionali in
materia di controllo circa il quantum minimo della formazione (art.
50, comma 5, lett. a, del d.lgs. n. 276 del 2003), quanto
all’effettiva attuazione dell’obbligo formativo (art. 50, comma 5,
lett. e, del d.lgs. n. 276 del 2003) nonché in materia di
certificazione dell’avvenuta formazione (art. 50, comma 5, lett. c e
d, del d.lgs. n. 276 del 2003)
Infatti, come già si è detto, la
nuova disciplina non ha inciso sulle funzioni già svolte dalle Regioni
in materia di mercato del lavoro, sulla base della normativa
antecedente il d.lgs. n. 276 del 2003, né ha modificato la disciplina
contenuta in tale ultimo decreto a proposito del libretto formativo e
dei crediti formativi conseguenti allo svolgimento del contratto di
apprendistato che attribuiscono un ruolo incisivo alle Regioni,
nell’ambito del SIL. Del resto, ciò è finalizzato ad assicurare che i
profili formativi siano coerenti con l’istituendo Repertorio delle
professioni che definirà gli standard minimi nazionali (in base a
quanto previsto dall’art. 52 del d.lgs. n. 276 del 2003), onde
assicurare una migliore attuazione alla decisione 2241/2004/CE del 15
dicembre 2004 del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea,
inerente la definizione di un «Quadro comunitario unico per la
trasparenza delle qualifiche e delle competenze - Europass» e
favorire, così, una maggiore cooperazione europea in materia di
istruzione e formazione professionale, come ribadito anche dal
Consiglio dell’Unione europea e dai rappresentanti dei Governi degli
Stati nella Conclusione 24 gennaio 2009, n. 2009/C18/04.
In conseguenza, occorre parimenti
dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma de qua
limitatamente alla parola «integralmente», la quale rimette
esclusivamente ai contratti collettivi di lavoro o agli enti
bilaterali i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante,
nonché alle parole, riferite ai contratti collettivi e agli enti
bilaterali, secondo le quali essi «definiscono la nozione di
formazione aziendale e».
Le suindicate espressioni, infatti,
escludendo l’applicazione del precedente comma 5, sono anch’esse
lesive dei suddetti parametri costituzionali, perché si traducono in
una totale estromissione delle Regioni dalla disciplina de qua. Esse,
anzi, appaiono particolarmente lesive in quanto la definizione della
nozione di formazione aziendale costituisce il presupposto della
applicazione della normativa di cui si tratta e il fatto che lo Stato
abbia stabilito come tale definizione debba avvenire e, quindi,
implicitamente come vada definita la formazione esterna (di competenza
regionale), denota che esso si è attribuito una “competenza sulle
competenze” estranea al nostro ordinamento.
Infatti, così come le Regioni non
possono, nell’esercizio delle proprie competenze, svuotare
sostanzialmente di contenuto la competenza statale – come è stato
sottolineato, in materia di apprendistato, fra l’altro, nella sentenza
n. 418 del 2006 – analogamente non è ammissibile riconoscere allo
Stato la potestà di comprimere senza alcun limite il potere
legislativo regionale.
Nella specie lo Stato si è
unilateralmente attribuito il potere di disciplinare le fonti
normative per identificare il discrimine tra formazione aziendale (la
cui disciplina gli spetta) e formazione professionale extra aziendale
(di competenza delle Regioni), escludendo così qualsiasi
partecipazione di queste ultime.
In sintesi, anche nell’ipotesi di
apprendistato, con formazione rappresentata come esclusivamente
aziendale, deve essere riconosciuto alle Regioni un ruolo rilevante,
di stimolo e di controllo dell’attività formativa, sicché il testo del
comma 5-ter in oggetto, a seguito delle disposte dichiarazioni di
illegittimità costituzionale, risulta essere il seguente: «In caso di
formazione esclusivamente aziendale i profili formativi
dell’apprendistato professionalizzante sono rimessi ai contratti
collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o
aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli
enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali
determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di
erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della
qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel
libretto formativo». Esso va comunque letto nell’ambito del sistema
normativo nel quale si inserisce, così come sopra ricostruito.
9. – Secondo le Regioni Toscana e
Basilicata, il comma 2 impugnato non trova giustificazione neppure ai
sensi dell’art. 118 Cost., perché i profili in esame non vengono
attratti allo Stato per esigenze di carattere unitario, ma sono
sottratti alla potestà regionale per essere affidati alla
regolamentazione dei contratti collettivi.
Per la Regione Lazio, la norma
impugnata viola l’art. 118 Cost., in quanto si pone in contrasto con
il regolamento regionale 21 giugno 2007, n. 7 (attuativo della citata
legge regionale n. 9 del 2006) le cui previsioni risultano
incompatibili con la nuova disciplina statale, perpetrando per questo
aspetto una ulteriore violazione della competenza normativa regionale,
sia sotto il profilo legislativo che regolamentare.
Secondo l’Avvocatura dello Stato,
invece, una volta riconosciuta la competenza esclusiva dello Stato a
disciplinare la materia dell’apprendistato all’interno dell’azienda, o
perché si rientra pienamente nella materia dell’ordinamento civile o
perché quest’ultima è comunque prevalente, ne discende, quale diretta
conseguenza, l’insussistenza di qualsivoglia sconfinamento nell’ambito
di competenze regionali quanto al principio di sussidiarietà.
10. – Le Regioni Emilia-Romagna e
Liguria deducono che l’art. 23, comma 2, impugnato violerebbe anche
l’art. 39 Cost., in quanto, attesa l’inattuazione della richiamata
norma costituzionale, la delega di funzioni paralegislative (sentenza
n. 344 del 1996) – tramite la norma censurata – ai contratti
collettivi, trasforma questi ultimi in una fonte extra-ordinem,
determinando una menomazione delle competenze regionali. Secondo le
ricorrenti, vertendosi in materia di competenza regionale, esistono
tutti gli elementi della lesione di competenza indiretta, nel senso
che la violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost. si determina
attraverso la violazione dell’art. 39 Cost., con la conseguente
legittimazione regionale a far valere tale violazione e, tramite
questa, quella della propria potestà legislativa in materia di
formazione professionale.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, la
censura è inammissibile, in quanto dalla stessa prospettazione di cui
al ricorso regionale non emerge alcuna attinenza tra il parametro
costituzionale invocato (art. 39 Cost.) e la lamentata lesione della
competenza regionale prefigurata dall’art. 117, quarto comma, Cost.,
che «costituisce l’oggetto e il limite dell’impugnazione diretta della
Regione» (sentenza n. 219 del 1984). In ogni caso, regolando la norma
impugnata la sola formazione di carattere strettamente aziendale, non
viene attribuita alle parti sociali e agli enti bilaterali alcuna
competenza propria delle Regioni.
Con distinte memorie depositate
entrambe il 18 novembre 2009, la Regione Liguria e la Regione
Emilia-Romagna contestano quanto affermato dall’Avvocatura dello
Stato, ossia che non sussisterebbe alcuna attinenza tra il parametro
di cui all’art. 39 Cost. e la lamentata lesione della competenza
regionale. Infatti, la lesione dell’art. 117 Cost. si determina
attraverso la lesione dell’art. 39 Cost. Inoltre vi sono profili,
quali «le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai
fini contrattuali» e «la registrazione nel libretto formativo», in
relazione ai quali la norma impugnata non riguarda propriamente la
formazione aziendale.
11. – Per quanto riguarda sia il
parametro di cui all’art. 118 Cost. che quello di cui all’art. 39
Cost., la questione relativa alla legittimità dell’art. 23, comma 2,
impugnato, deve ritenersi assorbita a seguito dell’accoglimento – sia
pure parziale – della questione relativamente ai parametri di cui agli
artt. 117 e 120 Cost. e al principio di leale collaborazione. Infatti,
tale accoglimento, determinando il riconoscimento della rilevanza del
ruolo delle Regioni nel processo di formazione aziendale, fa sì che le
stesse non possano più lamentare la lesione delle loro competenze in
suddetta materia.
12. – L’art. 23, comma 4, del
decreto-legge n. 112 del 2008 ha aggiunto all’art. 50, comma 3, del
d.lgs. n. 276 del 2003, dopo le parole «e le altre istituzioni
formative», i seguenti periodi: «In assenza di regolamentazioni
regionali l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione è
rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le
Università e le altre istituzioni formative. Trovano applicazione, per
quanto compatibili, i principi stabiliti all’articolo 49, comma 4,
nonché le disposizioni di cui all’articolo 53».
Le Regioni Piemonte, Marche, Veneto e
Basilicata hanno impugnato la norma richiamata per violazione del
principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, di cui all’art.
120 Cost., e per la menomazione delle potestà legislative esclusive e
concorrenti delle Regioni ex art. 117 Cost., e della conseguente
potestà amministrativa ex art. 118 Cost.
La norma eliminerebbe l’obbligo di
addivenire ad un accordo con le Regioni per poter utilizzare il
contratto di apprendistato di alta formazione: tale eliminazione
determinerebbe l’illegittimità costituzionale della norma risultante,
in quanto proprio tale obbligo era stato identificato dalla sentenza
n. 50 del 2005 come strumento di attuazione del principio di leale
collaborazione.
Secondo le ricorrenti,
l’illegittimità costituzionale della norma appare ancora più evidente
se si considera che qui, al contrario di quanto disposto per
l’apprendistato professionalizzante, il legislatore non distingue tra
formazione aziendale e formazione esterna, di competenza regionale, ma
stabilisce addirittura il principio che l’intero percorso formativo –
tanto quello svolto in azienda, quanto quello svolto all’esterno
dell’azienda – può essere regolato da fonti diverse dalla norma
regionale.
Secondo l’Avvocatura generale dello
Stato, la censura è infondata, in quanto la disposizione impugnata
incide sulla competenza regionale nel solo caso di assenza di
normativa regionale e nelle more di tale vacatio. La disposizione mira
ad agevolare la diffusione dell’apprendistato di alta formazione,
sopperendo al caso (peraltro frequente) di inerzia del legislatore
regionale, facendo sì che, nelle more dell’intervento regionale,
l’applicazione dell’istituto non sia impedita, introducendo una
disciplina destinata a consentire, in attesa delle auspicate
regolamentazioni regionali, il raccordo tra sistema
educativo-formativo e mercato del lavoro nei settori dell’alta
formazione. La conseguenza è – secondo l’Avvocatura – che non è
ravvisabile alcuna invasione di competenze regionali né tanto meno del
principio di leale collaborazione, ove si consideri che, con la
disposizione censurata, resta fermo il potere della Regione di
intervenire in qualsiasi momento a regolamentare l’istituto sulla base
delle potestà ad essa riconosciuta dall’art. 50, comma 3, prima parte,
del d.lgs. n. 276 del 2003.
12.1. – La questione non è fondata.
12.2. – Essa si basa sull’erroneo
presupposto interpretativo per il quale la disposizione censurata
imporrebbe, per l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione,
la messa a punto di apposite convenzioni stipulate dai datori di
lavoro con le Università e le altre istituzioni formative.
Tale lettura non è in alcun modo
confortata dalla formulazione della disposizione in oggetto. Lo Stato,
infatti, indicando uno strumento per ovviare all’eventuale assenza di
regolamentazione regionale, ha permesso di dar luogo effettivamente ai
contratti di apprendistato di alta formazione in quelle Regioni ove
ancora non sia stata posta una disciplina in tal senso, peraltro con
una regolamentazione ispirata a criteri di ragionevolezza (convenzione
tra datori di lavoro e Università). Nulla impedisce, poi, alle Regioni
di legiferare, riappropriandosi della propria competenza in tema di
formazione. L’espressione «in assenza di regolamentazioni regionali»
va infatti interpretata come se equivalesse a «fino all’emanazione di
regolamentazioni regionali».
Così facendo lo Stato ha introdotto
una norma “cedevole”, cioè una disposizione destinata a perdere
efficacia nel momento in cui la Regione eserciti il proprio potere
legislativo.
Tale potere dello Stato è legittimo,
in considerazione del contesto in cui è stato previsto.
Pertanto, non è ravvisabile alcuna
lesione delle competenze regionali, in quanto le Regioni possono far
venire meno, in qualsiasi momento, l’operatività della norma statale,
dettando una disciplina in materia di apprendistato di alta formazione
(per la parte di rispettiva competenza, cui si riferisce l’art. 23,
comma 4, del decreto-legge n. 112 del 2008, attualmente censurato).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la
decisione delle restanti questioni di legittimità costituzionali,
sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana,
Basilicata, Piemonte, Marche, Puglia e Lazio con i ricorsi indicati in
epigrafe,
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 23, comma 2, del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui
modifica l’articolo 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), limitatamente alle
parole «non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi»,
«integralmente» e «definiscono la nozione di formazione aziendale e»;
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, del citato
decreto-legge n. 112 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 117
della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del decreto-legge n.
112 del 2008, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 120
della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Marche e Basilicata, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara estinto il processo
relativo al ricorso proposto dalla Regione Veneto quanto alla
questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 3, del
decreto-legge n. 112 del 2008.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14
maggio 2010.
Il Cancelliere
F.to: MILANA |