ORDINANZA N. 297
ANNO 2010
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato
la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa
all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,
dal CEEP e dal CES), introdotto dall’art. 21, comma 1-bis, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133,
promosso dal Tribunale di Tempio Pausania nel procedimento vertente
tra P.P.P. e la Meridiana s.p.a. con ordinanza del 19 dicembre 2008,
iscritta al n. 117 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale,
dell’anno 2010.
Visto l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella
camera di consiglio del 22 settembre 2010 il Giudice relatore Luigi
Mazzella.
Ritenuto che, con ordinanza del 19 dicembre 2008, il Tribunale di
Tempio Pausania ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 117,
comma 1, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368
(Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES),
introdotto dall’art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008 n. 133;
che, riferisce il rimettente, con ricorso depositato il 10 giugno
2008, P.P.P. aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di
Tempio Pausania, in funzione di giudice del lavoro, la società datrice
di lavoro, ed aveva esposto di aver lavorato con la qualifica di
assistente di volo, alle dipendenze della società convenuta, a tempo
determinato, in assenza di specificazione delle ragioni che
giustificano l’apposizione del termine e, dunque, in contrasto con
l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, il quale consente la stipulazione
di contratti a termine solo «a fronte di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo» e dispone che l’apposizione
stessa è «priva di effetto se non risulta, direttamente o
indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni
di cui al comma 1»;
che, alla luce di tale disposizione, il ricorrente aveva affermato che
la motivazione addotta era generica, dal momento che non indicava le
ragioni che avevano determinato l’apposizione del termine, così da non
consentire al lavoratore ed al giudice di valutare l’effettività della
motivazione e la sussistenza del necessario nesso eziologico tra il
motivo addotto e l’assunzione a tempo determinato, chiedendo,
pertanto, che, previa declaratoria della nullità del termine apposto
ai contratti stipulati tra le parti, fosse dichiarato che fra le parti
si era instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato dal 1° luglio 2004 o che, in subordine, dalla successiva
data di decorrenza del primo contratto riconosciuto nullo, la
convenuta S.p.A. Meridiana fosse condannata a riammettere il
ricorrente in servizio con le stesse mansioni indicate nei contratti a
termine ed a risarcirlo dei danni subiti;
che la società Meridiana aveva resistito alla domanda, assumendone
l’infondatezza nel merito, stante la legittimità del termine apposto
ai contratti a norma dell’art 2 del d.lgs. n. 368 del 2001 ed aveva
eccepito, in ogni caso, la prescrizione ex art. 2948 cod. civ. delle
pretese di carattere economico nascenti dal rapporto di lavoro dedotto
in giudizio;
che, secondo il rimettente, il quadro normativo di riferimento è
costituito, per tutti i contratti a termine stipulati tra le parti,
dal d.lgs. n. 368 del 2001, il quale regola ex novo la materia del
contratto di lavoro a termine, prima regolata dalla legge 18 aprile
1962 n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato);
che, in base a tale disposizione, il contratto a tempo indeterminato
costituiva la regola e l’assunzione a termine l’eccezione, come
confermato anche dall’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56
(Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), che rimetteva alla
contrattazione collettiva il compito di individuare nuove ipotesi di
legittima apposizione di un termine al contratto individuale di
lavoro, ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 1 della legge
n. 230 del 1962 e dall’art. 8-bis del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17,
convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79;
che, osserva il rimettente, il contratto a tempo indeterminato
continua ad essere la forma ordinaria dei rapporti di lavoro anche nel
vigente sistema normativo, poiché il d.lgs. n. 368 del 2001, per nulla
modificando il rapporto di regola-eccezione sopra detto, sarebbe stato
emanato dal Governo per dare attuazione alla direttiva del Consiglio
dell’unione europea n. 70 del 28 giugno 1999, che a sua volta richiama
integralmente l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18
marzo 1999;
che, espone il rimettente, il d.lgs. n. 368 del 2001, mediante
l’abrogazione, tra le altre, della disciplina di cui all’art. 23 della
legge n. 56 del 1987, avrebbe comportato che le ipotesi di contratto a
tempo determinato sono ora esclusivamente previste dal legislatore,
seppure la nuova formulazione dell’art. 1 attui una semplificazione
delle causali rispetto alle rigide previsioni del sistema previgente,
ancorché caratterizzate da definitività;
che, tuttavia, su tale situazione inciderebbe in maniera determinante
l’art. 21, comma 1-bis, della legge 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria);
che tale ultima norma, dopo l’articolo 4 del decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368, ha inserito l’art. 4-bis (Disposizione
transitoria concernente l’indennizzo per la violazione delle norme in
materia di apposizione e di proroga del termine), in base al quale
«Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in
vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate
in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli
articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto unicamente a
indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo
compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri
indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modificazioni»;
che, secondo il rimettente, sulla base di tale norma, poiché il
giudizio a quo era in corso alla data di entrata in vigore della
medesima ed era ancora pendente, la ritenuta illegittimità dei
contratti a tempo determinato stipulati tra le parti per violazione
della disciplina di cui al d.lgs n. 368 del 2001 dovrebbe comportare
che l’apposizione del termine debba essere considerata pienamente
efficace, con il conseguente diritto del lavoratore di percepire una
mera indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo
di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in luogo del
diritto ad essere riammesso in servizio ed alla corresponsione delle
retribuzioni dall’epoca in cui ha posto le proprie energie lavorative
a disposizione del datore di lavoro (eventualmente detratto l’aliunde
perceptum);
che, in punto di non manifesta infondatezza, ad avviso del Tribunale,
tale nuova normativa violerebbe il principio di eguaglianza di cui
all’art. 3 della Costituzione, dato che, ove mai altro lavoratore
nelle stesse identiche condizioni dell’odierno ricorrente (assunto
cioè con contratto a tempo determinato di identico tenore) facesse
valere le stesse ragioni di illegittimità con un giudizio introdotto
ex novo in data odierna, e comunque dopo la data di entrata in vigore
dell’art. 4-bis, quel lavoratore avrebbe diritto alla riassunzione e
non già all’indennità sopra richiamata non essendo a lui applicabile
la norma transitoria;
che, evidenzia il rimettente, se lo stesso ricorrente del giudizio a
quo, invece di adire immediatamente il giudice del lavoro, avesse
proposto la causa dopo l’entrata in vigore della norma transitoria di
cui qui si discute, paradossalmente avrebbe avuto pieno titolo per
chiedere la riassunzione in servizio;
che, in tal modo, soggetti nella medesima situazione giuridica si
troverebbero a godere di una tutela dei propri diritti sensibilmente
diversa (sicuramente meno intensa nel caso di coloro ai quali viene
riconosciuto soltanto l’indennizzo) senza alcuna giustificazione se
non quella di aver proposto la domanda giudiziale in tempi diversi,
con evidente violazione del principio di ragionevolezza, anche
considerato che, per effetto della nuova norma, paradossalmente,
verrebbe penalizzato proprio colui che per primo ha fatto ricorso al
giudice;
che, sotto altro profilo, la norma denunciata sembra al rimettente in
contrasto anche con il generale principio dell’affidamento del
cittadino sulla certezza e sicurezza dell’ordinamento giuridico quale
elemento essenziale dello Stato di diritto, principio più volte
valorizzato dalla giurisprudenza costituzionale;
che, infine, la norma denunciata contrasterebbe altresì con l’art.
117, comma 1, Cost., secondo cui la potestà legislativa è esercitata
dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché
dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali, in relazione all’art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali del 4
novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 84, la
quale, nell’affermare che ogni persona ha diritto ad un giusto
processo dinanzi ad un Tribunale indipendente ed imparziale, impone al
potere legislativo di non intromettersi nell’amministrazione della
giustizia allo scopo di influire sulla risoluzione di una controversia
o di una determinata categoria di controversie;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del
Consiglio dei ministri, sottolineando che l’art. 4-bis, oggetto di
censura, è stato già giudicato costituzionalmente illegittimo dalla
Corte, con sentenza n. 214 del 2009, e chiedendo, conseguentemente,
che sia dichiarata la manifesta inammissibilità della questione sopra
indicata.
Considerato che il Tribunale di Tempio Pausania dubita, con
riferimento agli artt. 3 e 117, comma 1, della Costituzione, della
legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa
all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,
dal CEEP e dal CES), introdotto dall’art. 21, comma 1-bis, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133;
che la disposizione censurata è già stata dichiarata
costituzionalmente illegittima da questa Corte con sentenza n. 214 del
2009;
che, pertanto, analogamente a quanto già disposto in precedenza da
questa Corte, anche con riferimento alla medesima norma impugnata
(ordinanza n. 65 del 2010) va dichiarata la manifesta inammissibilità
della questione, divenuta priva di oggetto.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4-bis del decreto legislativo 6 settembre
2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa
all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,
dal CEEP e dal CES), introdotto dall’art. 21, comma 1-bis, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
sollevata dal Tribunale di Tempio Pausania con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 6 ottobre 2010.
F.to:
Francesco
AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA,
Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 15 ottobre 2010.
Il Direttore
della Cancelleria
F.to: DI PAOLA |