REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta
dai Signori:
-
Franco BILE Presidente
-
Giovanni
Maria FLICK Giudice
-
Francesco AMIRANTE "
-
Ugo DE SIERVO
"
-
Paolo MADDALENA
"
-
Alfio FINOCCHIARO
"
-
Alfonso QUARANTA "
-
Franco GALLO "
-
Luigi MAZZELLA
"
-
Gaetano SILVESTRI
"
-
Sabino CASSESE
"
-
Maria Rita SAULLE
"
-
Giuseppe TESAURO "
-
Paolo Maria NAPOLITANO
"
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
degli
artt. 5 e 6
della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di
enfiteusi), promosso con ordinanza del 24 aprile 2007 dal
Tribunale ordinario di Ferrara nel procedimento civile vertente
tra Mignone Francesco ed altri e Bernasciutti Nadia ed altre,
iscritta al n. 532 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie
speciale, dell'anno 2007.
Udito
nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il Giudice relatore
Alfio Finocchiaro.
Ritenuto in fatto
1 –
Con ordinanza del 24 aprile 2007, il Tribunale ordinario di
Ferrara ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42, secondo e
terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 5 e 6
della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme
in materia di enfiteusi), nella parte in cui, per i rapporti di
enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti anteriormente al 28
ottobre 1941, non prevedono che il valore di riferimento per la
determinazione del capitale ai fini dell'affrancazione delle
stesse sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di
coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con
una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la
effettiva realtà economica.
Riferisce il rimettente che, con ricorso depositato il 13 giugno
2000, Bernasciutti Nadia, Verri Roberta e Verri Anna Rita,
acquirenti con atto notarile del 30 luglio 1997 di un fabbricato
urbano di vecchia costruzione sito in Ferrara, gravato da
enfiteusi urbana costituita anteriormente al 28 ottobre 1941, e
precisamente con atto notarile del 10 ottobre 1921, per un canone
annuo perpetuo pari a lire 2.250 (lire duemiladuecentocinquanta),
hanno chiesto, ai sensi degli artt. 2 e seguenti della legge 22
luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni
fondiarie perpetue), l'affrancazione del fondo, previo deposito
della somma che il Tribunale avesse determinato come capitale
d'affranco.
Con
comparsa depositata in data 31 gennaio 2001 si sono costituiti
nella procedura i controinteressati Mignone Francesco, Mignone
Michelangelo e Mignone Giuseppe, quali eredi dei concedenti
l'immobile gravato dalla enfiteusi in questione, che, nel merito,
hanno lamentato l'inadempimento delle ricorrenti per morosità nel
versamento dei canoni enfiteutici, chiedendo, in via
riconvenzionale, la risoluzione del contratto enfiteutico (con
devoluzione del fondo in proprio favore) e, in subordine, per
l'ipotesi di accoglimento della domanda di affrancazione, la
determinazione del più equo capitale di affranco.
Con
provvedimento del 29 settembre 2001 il giudice della fase
sommaria, verificata la regolarità del contraddittorio e tenuto
conto che il canone annuo convenzionalmente fissato all'inizio del
rapporto enfiteutico in questione era pari a lire 2.250, ha
determinato il capitale di affranco, in applicazione del combinato
disposto degli artt. 5, 6 e 9 della legge n. 1138 del 1970, nella
somma complessiva di lire 664.740, pari a 15 volte l'ammontare del
canone annuo originario moltiplicato per 16 volte ai sensi
dell'art. 1 della legge 1° luglio 1952, n. 701 (Norme in materia
di revisione di canoni enfiteutici e di affrancazione), e
rivalutato in base ai parametri dell'ISTAT per il periodo 1°
gennaio 1963 - 31 dicembre 1968 (ai sensi dell'art. 6 della legge
n. 1138 del 1970). Successivamente, con ordinanza emessa in data 4
aprile 2002, il giudice, verificato il deposito della somma da
parte delle ricorrenti presso l'ufficio postale di Ferrara, ha
disposto l'affrancazione del fondo in oggetto.
Con
atto depositato in data 7 agosto 2002 Mignone Francesco, Mignone
Michelangelo e Mignone Giuseppe hanno proposto formale
opposizione, ai sensi dell'art. 5, comma quinto, della legge 22
luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni
fondiarie perpetue), avverso l'ordinanza di affrancazione.
Nel
corso del giudizio, è stata disposta consulenza tecnica d'ufficio
per la determinazione del capitale di affranco del fondo
enfiteutico in questione. Il consulente tecnico ha stimato in euro
685.000 il valore del fondo.
Dopo
la precisazione delle conclusioni il rimettente, ritenuta la
rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, ha
sollevato d'ufficio la suddetta questione di legittimità
costituzionale.
Quanto
alla rilevanza della questione, viene evidenziato che nel giudizio
a quo è stata proposta rituale domanda, ai sensi dell'art.
5, comma quinto, della legge n. 607 del 1966, di determinazione
del capitale di affranco di un fondo gravato da enfiteusi urbana
ed edificatoria costituita il 10 settembre 1921.
Quanto
al profilo della contestata legittimazione attiva dei Mignone, si
osserva che appare indubitabile l'interesse ad agire, ai sensi
dell'art. 5, comma quinto, della legge n. 607 del 1966, dei
suddetti Mignone, quali eredi degli originari titolari del dominio
diretto sul fondo in questione, e che proprio in tale veste sono
stati legittimamente convenuti dagli enfiteuti nella fase sommaria
del giudizio, introdotta con il ricorso di cui all'art. 2 della
legge n. 607 del 1966.
Ai
fini della decisione sulla domanda di determinazione del capitale
di affranco, proposta ai sensi dell'art. 5 della legge n. 607 del
1966, tenuto conto che in base all'art. 9 della legge n. 1138 del
1970 «l'affrancazione del fondo si opera in ogni caso [...]
mediante il pagamento di una somma pari a 15 volte l'ammontare del
canone», è necessario ed imprescindibile, osserva il Collegio
rimettente, fare applicazione dell'art. 5 della legge n. 1138 del
1970, il quale stabilisce che «il canone annuo delle enfiteusi
urbane ed edificatorie non può essere superiore a quello fissato
all'inizio del rapporto enfiteutico, salva, per i rapporti
costituiti anteriormente al 28 ottobre 1941, la rivalutazione di
cui alla legge 10 luglio 1952, n. 701», e dell'art. 6 della legge
n. 1138 del 1970, per effetto del quale è prevista in ogni caso la
rivalutazione dei canoni, a richiesta della parte interessata, «in
misura proporzionale al mutato potere di acquisto della lira,
quale risulta dalle statistiche dell'ISTAT, dal 1° gennaio 1963 (o
dalla data di costituzione del rapporto se successiva) al 31
dicembre 1968».
Secondo il giudice a quo, applicando il suddetto criterio
di calcolo al caso in decisione, nel quale il canone enfiteutico
annuale all'origine del rapporto è stato dalle parti «stabilito
invariabilmente in lire 2.250 annue, il capitale di affrancazione
risulterebbe ad oggi pari ad euro 337,62, somma da ritenersi
sostanzialmente del tutto irrisoria o comunque inferiore al
livello di una equa valutazione, tenuto conto del fatto che la
porzione immobiliare urbana di cui è causa ha, nel complesso, un
valore di mercato pari ad euro 685.000, secondo le stime
effettuate dal consulente tecnico d'ufficio nella relazione
peritale agli atti del giudizio».
Il
Collegio a quo si fa carico della sentenza n. 53 del 1974,
con la quale la Corte costituzionale, nel dichiarare la
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 9 della legge n. 1138 del 1970 – con cui era stato
introdotto anche per le enfiteusi urbane o edificatorie il
criterio di calcolo del capitale in misura pari a quindici volte
l'ammontare del canone, già stabilito per le enfiteusi rustiche
con l'art. 1, quarto comma, della legge n. 607 del 1966 –, aveva,
tuttavia, affermato che gli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del
1970 erano disposizioni che potevano ritenersi «ineccepibili sotto
il profilo della legittimità costituzionale, se riferite alle
enfiteusi costituite anteriormente all'entrata in vigore del libro
della "proprietà" del codice civile». Nella citata sentenza n. 53
del 1974, la Corte, facendo proprie le considerazioni che nella
pronuncia n. 37 del 1969 erano state già ritenute determinanti in
materia di enfiteusi su fondi rustici ai fini della declaratoria
di incostituzionalità dell'art. 1 della legge n. 607 del 1966,
nella parte in cui tale norma si riferiva anche ai rapporti
costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941, ha
sostenuto che «il diritto a chiedere la revisione periodica del
canone riconosciuto ad entrambe le parti dall'art. 962 del codice
civile, ha conferito al contratto un nuovo elemento di rilievo,
rispetto al tipo tradizionale, talché la data del 28 ottobre 1941
segna una importante demarcazione tra i rapporti di antica o meno
recente costituzione e quelli costituiti e svoltisi
successivamente, sotto la garanzia della possibile operatività di
quel diritto, e di un sistema normativo in cui la posizione
giuridica del concedente era stata oggetto di più equilibrata
considerazione, nel fine di promuovere la costituzione di nuovi
rapporti».
Sulla
base di tali motivazioni, pertanto, la Corte costituzionale, con
la citata sentenza n. 53 del 1974, aveva adottato una decisione
analoga a quella già presa nel 1969 per le enfiteusi rustiche in
relazione all'art. 1 della legge n. 607 del 1966, dichiarando
l'illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 della legge n.
1138 del 1970 di disciplina delle enfiteusi urbane ed
edificatorie, nella parte in cui comprendevano nella normativa
anche i rapporti costituiti successivamente alla data del 28
ottobre 1941, «per i quali la possibilità di rivalutazione dei
canoni prevista dall'art. 6 con esclusivo riferimento al periodo
1° gennaio 1963 - 31 dicembre 1968 risulta manifestamente
inadeguata a sostituire il criterio di revisione stabilito
dall'art. 962 del codice civile».
Secondo il rimettente, alla declaratoria di parziale
incostituzionalità delle norme di cui agli artt. 5 e 6 della legge
n. 1138 del 1970 è conseguito, quindi, che per le enfiteusi urbane
costituite in epoca anteriore al 28 ottobre 1941, come quella
oggetto del presente giudizio, costituita il 10 settembre 1921,
l'affrancazione si opera ancora mediante pagamento di una somma
corrispondente a 15 volte il canone enfiteutico, il quale «non può
essere superiore a quello fissato all'inizio del rapporto
enfiteutico, salva [...] la rivalutazione di cui alla legge 1°
luglio 1952, n. 701» (art. 5 della legge n. 1138 del 1970), oltre
alla rivalutazione ISTAT, a richiesta della parte interessata, per
il periodo 1° gennaio 1963 - 31 dicembre 1968 (art. 6 della legge
n. 1138 della 1970).
Alla
luce, tuttavia, dell'esiguità della somma che si otterrebbe nella
fattispecie applicando le norme attualmente vigenti per l'affranco
delle enfiteusi urbane ed edificatorie anteriori al 1941 (pari,
come detto, ad euro 337,62, secondo la stima effettuata dal
consulente tecnico), il rimettente ritiene sussistenti profili di
non manifesta infondatezza della sollevata questione, potendosi
supporre violato il principio costituzionale di tutela della
proprietà privata (art. 42, secondo e terzo comma, Cost.), oltre
che il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.).
Pur
tenendo conto, infatti, che l'affrancazione determina la sola
acquisizione del dominio diretto e che i concedenti hanno goduto
dei canoni, ritiene il giudice a quo che vi sia un limite
al di sotto del quale le regole che determinano il capitale per
l'affrancazione contrastino con l'art. 42, secondo e terzo comma,
della Costituzione, poiché vi sarebbe una distanza incolmabile tra
il momento al quale va riferito il calcolo del valore del diritto
di affranco, ancorato ad un canone pattuito in un tempo remoto, ed
il momento in cui il diritto da indennizzare viene effettivamente
colpito, caratterizzato da una realtà economica incomparabilmente
diversa.
Proprio sulla scia di tali considerazioni, del resto, la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 143 del 23 maggio 1997,
dichiarando in parte qua l'illegittimità costituzionale
dell'art. 1 della legge n. 607 del 1966, ha ritenuto di estendere
alle enfiteusi rustiche costituite in epoca anteriore al 28
ottobre 1941 il principio già enunciato nella precedente pronuncia
n. 406 del 1988 per i rapporti enfiteutici della stessa natura
successivi alla suddetta data, principio secondo cui il valore di
riferimento prescelto per tutte le enfiteusi di natura rustica ai
fini della determinazione del canone in base al quale è calcolato
il capitale per l'affrancazione deve essere «periodicamente
aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di
maggiorazione idonei a mantenere adeguata, con una ragionevole
approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà
economica».
Considerata la linea evolutiva che la Corte costituzionale ha
tracciato nel tempo per la disciplina delle enfiteusi rustiche,
oggettivamente distinta ma in un certo senso simmetrica rispetto a
quella delle enfiteusi urbane, gli artt. 5 e 6 della legge n. 1138
del 1970 sembrano al Collegio rimettente violare anche il
parametro costituito dall'art. 3 della Costituzione, e ciò sotto
un duplice profilo.
Da un
lato, infatti, non si rinviene una ragionevole giustificazione
alla base della disparità di trattamento attualmente esistente per
la determinazione del capitale di affranco delle enfiteusi urbane
ed edificatorie anteriori al 28 ottobre 1941, per le quali il
valore di riferimento è un canone pattizio inalterabile, rispetto
alle enfiteusi urbane posteriori alla stessa data, in relazione
alle quali il congegno legislativo in esame è stato espressamente
dichiarato incostituzionale (sentenza n. 53 del 1974), e ciò
tenuto conto del fatto che la regola della revisione periodica del
canone introdotta dall'art. 962 del codice civile, che aveva così
innovato la tradizione preesistente recepita dal codice civile del
1865, è stata soppressa anche per le nuove enfiteusi in ragione
dell'art. 4 della legge n. 1138 del 1970, e che «comune a tutti i
rapporti enfiteutici, anzi più accentuato per quelli costituiti in
epoca remota, è il divario tra il capitale di affrancazione e la
realtà economica» (così testualmente la citata sentenza n. 143 del
1997, nella quale la Corte ha espressamente escluso una
ragionevole giustificazione nella «diversità di trattamento che
risulta nelle regole di determinazione del capitale di affranco
per le enfiteusi rustiche anteriori al 28 ottobre 1941, per le
quali non è previsto alcun meccanismo di adeguamento del calcolo
in base ai valori catastali del 1939, rivalutati nel 1947,
rispetto alle enfiteusi rustiche costituite successivamente alla
data che segna il discrimine, e per le quali opera a seguito della
sentenza n. 406 del 1988 il principio dell'applicazione di un
coefficiente di maggiorazione»).
Dall'altro lato, proprio a séguito della sentenza n. 143 del 1997,
appare plausibile, secondo il giudice a quo, dubitare della
legittimità costituzionale di un sistema che, mentre per i
rapporti enfiteutici fondiari anteriori alla data del 28 ottobre
1941, prevede un meccanismo che consente di mantenere adeguata,
con ragionevole approssimazione, la corrispondenza tra capitale di
affranco ed effettiva realtà economica (sentenza n. 143 del 1997),
ciò non consente, allo stato della legislazione attuale, per i
rapporti enfiteutici urbani ed edificatori anteriori alla stessa
data del 28 ottobre 1941, rimasti tuttora ancorati ai rigidi
parametri di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del 1970, in
relazione ai quali non sussistono margini interpretativi proprio
in ragione del chiaro principio fissato nella sentenza della Corte
costituzionale n. 53 del 1974, che ha espressamente limitato la
declaratoria di incostituzionalità delle norme in esame alle sole
enfiteusi urbane successive alla data individuata come discrimine.
Considerato in diritto
1. –
Il Tribunale ordinario di Ferrara dubita della legittimità
costituzionale degli artt. 5 e 6
della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme
in materia di enfiteusi), nella parte in cui, per i rapporti di
enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti anteriormente al 28
ottobre 1941, non prevedono che il valore di riferimento per la
determinazione del capitale ai fini dell'affrancazione delle
stesse sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di
coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con
una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la
effettiva realtà economica. Le norme censurate si porrebbero in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata
disparità di trattamento, quanto alla determinazione del capitale
di affranco, tra le enfiteusi urbane ed edificatorie anteriori al
28 ottobre 1941, per le quali il valore di riferimento è un canone
pattizio inalterabile, e quelle urbane posteriori alla stessa
data, in relazione alle quali il congegno legislativo in esame è
stato espressamente dichiarato incostituzionale (sentenza n. 53
del 1974). Inoltre, le norme denunciate violerebbero l'art. 42,
secondo e terzo comma, della Costituzione, in quanto, pur
tenendosi conto del fatto che l'affrancazione determina la sola
acquisizione del dominio diretto e che i concedenti hanno goduto
dei canoni, vi sarebbe un limite al di sotto del quale le regole
che determinano il capitale per l'affrancazione contrastano con
l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal momento
che vi sarebbe una distanza incolmabile tra il momento cui va
riferito il calcolo del valore del diritto di affranco, ancorato
ad un canone pattuito in un tempo remoto, ed il momento in cui il
diritto viene effettivamente colpito, caratterizzato da una realtà
economica incomparabilmente diversa.
2. –
La questione è fondata.
In
materia di enfiteusi si distinguono: a) le enfiteusi
rustiche costituite anteriormente al 28 ottobre 1941; b)
quelle rustiche costituite successivamente al 28 ottobre 1941;
c) le enfiteusi urbane costituite prima del 28 ottobre 1941;
d) quelle urbane costituite dopo il 28 ottobre 1941.
Nel
codice civile del 1865, non era prevista la rivalutazione del
canone.
Dal 28
ottobre 1941 sono entrate in vigore le norme in tema di enfiteusi
dell'attuale codice civile, che consentivano una sia pur limitata
rivalutazione.
Nel
1952 è poi entrata in vigore la legge 1° luglio 1952, n. 701
(Norme in materia di revisione di canoni enfiteutici e di
affrancazione), che all'art. 1, primo comma, stabilisce che «I
canoni in danaro di enfiteusi costituite anteriormente al 28
ottobre 1941 sono aumentati a sedici volte l'ammontare dovuto a
quella data».
Successivamente, sono entrate in vigore, nel 1966, la legge 22
luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni
fondiarie perpetue), che ha abolito la possibilità di aumentare il
canone, e, nel 1970, la legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove
norme in materia di enfiteusi), il cui art. 5 (oggi censurato)
dispone che il canone delle enfiteusi urbane non può essere
rivalutato («Il canone annuo delle enfiteusi urbane ed
edificatorie non può essere superiore a quello fissato all'inizio
del rapporto enfiteutico salva, per i rapporti istituiti
anteriormente al 28 ottobre 1941, la rivalutazione di cui alla
legge 1° luglio 1952, n. 701»).
Il
successivo art. 6 della stessa legge n. 1138 del 1970, parimenti
censurato, stabilisce, poi, che «il canone di cui all'articolo
precedente può essere in ogni caso rivalutato, a richiesta della
parte interessata, in misura proporzionale al mutato potere di
acquisto della lira quale risulta dalle statistiche dell'ISTAT,
dal 1° gennaio 1963».
Gli
artt. 5 e 6 sono stati dichiarati incostituzionali con la sentenza
n. 53 del 1974 limitatamente alla parte in cui comprendono anche i
rapporti di enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti
successivamente alla data del 28 ottobre 1941.
Pertanto, questi due articoli rimangono in vigore solo per le
enfiteusi urbane che sono state costituite prima del 28 ottobre
1941.
Nel
corso degli anni sono state sollevate diverse questioni di
legittimità costituzionale aventi ad oggetto la modestia del
capitale di affrancazione.
Per le
enfiteusi, sia rustiche che urbane, successive al 28 ottobre 1941,
questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'art. 1 della legge 14 giugno 1974, n. 270 (Norme in materia
di enfiteusi) nella parte in cui non prevedeva che il valore di
riferimento da esso prescelto per la determinazione del canone
enfiteutico fosse periodicamente aggiornato mediante
l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a
mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con la effettiva realtà economica (sentenza n. 406
del 1988).
Analogamente, con riferimento alle enfiteusi rustiche costituite
anteriormente al 28 ottobre 1941 è stata dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, primo e quarto comma,
della legge n. 607 del 1966, nella parte in cui non prevedeva che
il valore di riferimento per la determinazione del capitale per
l'affrancazione delle stesse fosse periodicamente aggiornato
mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a
mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con la effettiva realtà economica (sentenza n. 143
del 1997).
Partendo dal precedente del 1988, la Corte, con la sentenza n. 143
del 1997, ha affermato che «la diversità di trattamento che
risulta nelle regole di determinazione del capitale di affranco
per le enfiteusi anteriori al 28 ottobre 1941, per le quali non è
previsto alcun meccanismo di adeguamento del calcolo in base ai
valori catastali del 1939, rivalutati nel 1947, rispetto alle
enfiteusi costituite successivamente alla data che segna il
discrimine, e per le quali opera a seguito della sentenza n. 406
del 1988, il principio dell'applicazione di un coefficiente di
maggiorazione, non trova ragionevole giustificazione. Difatti la
regola della revisione periodica del canone, originariamente
prevista dall'art. 962 cod. civ. solo per le nuove enfiteusi, è
stata soppressa anche per queste ultime (art. 18, secondo comma,
della legge n. 607 del 1966), mentre comune a tutti i rapporti
enfiteutici, anzi più accentuati per quelli costituiti in epoca
remota, è il divario tra il capitale di affrancazione e la realtà
economica».
A
seguito delle richiamate pronunce, per tre delle quattro ipotesi
di enfiteusi (enfiteusi rustiche costituite prima e dopo il 28
ottobre 1941; enfiteusi urbane costituite dopo il 28 ottobre
1941), è stata affermata l'incostituzionalità delle norme che non
prevedono l'aggiornamento del valore di riferimento per la
determinazione del capitale per l'affrancazione, rimanendo in
vigore, peraltro, il divieto di aggiornamento solamente per le
enfiteusi urbane costituite prima del 28 ottobre 1941.
La
diversità di trattamento che risulta nelle regole di
determinazione del capitale di affrancazione per le enfiteusi
urbane anteriori al 28 ottobre 1941 non trova dunque ragionevole
giustificazione, ed è, perciò, in contrasto con gli artt. 3 e 42,
secondo e terzo comma, della Costituzione.
Non vi
è, infatti, a parte il diverso oggetto, una differenza tra
enfiteusi urbane e rustiche che possa giustificare un distinto
criterio per la determinazione del capitale di affrancazione;
infatti per entrambe è previsto in capo all'enfiteuta un obbligo
di migliorare il fondo, e anzi i concessionari in enfiteusi di
immobili urbani o di suoli edificatori non appartengono, di
massima, a categorie sociali più deboli e meritevoli di protezione
rispetto a quelle dei concedenti enfiteusi rustiche (in questo
senso cfr. sentenza n. 53 del 1974).
per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara
l'illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 della legge 18
dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi),
nella parte in cui, per le enfiteusi urbane costituite
anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevedono che il valore di
riferimento per la determinazione del capitale per l'affrancazione
delle stesse sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione
di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con
una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la
effettiva realtà economica.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 7 maggio 2008.
F.to:
Franco
BILE, Presidente
Alfio
FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 20 maggio 2008.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to: DI
PAOLA |