SENTENZA
DELLA CORTE (Quarta Sezione)
24 giugno 2010 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE –Accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato – Clausola 8 – Indicazioni da
includere in un contratto di lavoro a tempo determinato concluso per
sostituire un lavoratore assente – Riduzione del livello generale di
tutela offerto ai lavoratori – Interpretazione conforme»
Nel procedimento C‑98/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Trani, con decisione 9
giugno 2008, pervenuta in cancelleria il 6 marzo 2009, nella causa
Francesca Sorge
contro
Poste Italiane SpA,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra C.
Toader, dai sigg. K. Schiemann, P. Kūris (relatore) e L. Bay Larsen,
giudici,
avvocato generale: sig. N. Jääskinen
cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4
marzo 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la sig.ra Sorge, dagli avv.ti V. Martire e V. De Michele;
– per la Poste Italiane SpA, dagli avv.ti R. Pessi, L. Fiorillo e A.
Maresca;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente,
assistita dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per il governo olandese, dalle sig.re C.M. Wissels e M. Noort, in
qualità di agenti;
– per la Commissione europea, dal sig. M. van Beek e dalla sig.ra C.
Cattabriga, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del
22 aprile 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che compare
in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE,
relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato (GU L 175, pag. 43).
2 Questa domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la
sig.ra Sorge e il suo datore di lavoro, la società Poste Italiane SpA (in
prosieguo: le «Poste Italiane»), riguardo alla legittimità della clausola
relativa alla durata a tempo determinato del contratto di lavoro
dell’interessata, il quale non contiene né il nome del lavoratore
sostituito né i motivi della sua assenza.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 La direttiva 1999/70 si fonda sull’art. 139, n. 2, CE e mira, ai sensi
del suo art. 1, ad «attuare l’accordo quadro».
4 Ai sensi del terzo ‘considerando’ della direttiva:
– «il punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei
lavoratori stabilisce tra l’altro che la realizzazione del mercato interno
deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei
lavoratori nella Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il
ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso,
soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a
tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo
parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale».
5 Il secondo comma del preambolo dell’accordo quadro è così formulato:
«Le parti firmatarie dell’accordo riconoscono che i contratti a tempo
indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti
di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori. Esse inoltre riconoscono
che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia
alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori».
6 Secondo il terzo comma del citato preambolo, l’accordo quadro stabilisce
i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo
determinato, configurando, in particolare, un quadro generale diretto a
garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato,
proteggendoli dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro a
tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i
lavoratori.
7 Il punto 7 delle considerazioni generali dell’accordo quadro dispone
quanto segue:
«considerando che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo
determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi».
8 La clausola 2 dell’accordo quadro prevede che:
«1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con
un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla
legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato
membro.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti
sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi
ai:
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato;
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma
specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale
pubblico o che usufruisca di contributi pubblici».
9 La clausola 3 di detto accordo quadro è così formulata:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo
determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro
definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui
termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di
una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi
di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo
indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un
rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso
stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto
conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo
indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà
fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di
quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le
prassi nazionali».
10 La clausola 5 dell’accordo quadro in discussione stabilisce che:
«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri,
previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei
contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali
stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la
prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di
settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative
a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti
contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le
parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i
contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati “successivi”;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
11 Ai sensi della clausola 8 dell’accordo quadro:
«1. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre
disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel
presente accordo.
(…)
3. L’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido
per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori
nell’ambito coperto dall’accordo stesso.
(…)
5. La prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze
scaturite dall’applicazione del presente accordo dovranno procedere in
conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
(…)».
La normativa nazionale
La normativa abrogata
12 L’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230, che stabilisce la
disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato (GURI n. 125 del 17
maggio 1962; in prosieguo: la «legge n. 230/1962»), così disponeva:
«Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le
eccezioni appresso indicate.
È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto:
(…)
b) quando l’assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per
i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempre che nel
contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore
sostituito e la causa della sua sostituzione;
(…)
L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto
scritto.
Copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al
lavoratore.
(…)».
La normativa applicabile alla causa principale
13 L’art. 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, di
attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI
n. 235 del 9 ottobre 2001, pag. 4; in prosieguo: il «decreto legislativo
n. 368/2001»), adottato in esecuzione della legge 29 dicembre 2000, n.
422, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria
2000) (Supplemento ordinario alla GURI n. 16 del 20 gennaio 2001), ha
abrogato la legge n. 230/1962 a partire dal 24 ottobre 2001.
14 L’art. 1 del menzionato decreto legislativo così prevede:
«1. È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di
lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo.
2. L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta,
direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate
le ragioni di cui al comma l.
(…)».
Causa principale e questioni pregiudiziali
15 Dall’ordinanza di rinvio risulta che la sig.ra Sorge è stata assunta
dalle Poste Italiane in forza di un contratto di lavoro a tempo
determinato concluso il 29 settembre 2004. Ai sensi del contratto, detta
assunzione è avvenuta «per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla
specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto
al servizio recapito presso il Polo Corrispondenza Puglia Basilicata
assente nel periodo dal 01/10/04 al 15/01/05».
16 Il 18 febbraio 2008 la sig.ra Sorge ha citato in giudizio le Poste
Italiane, chiedendo che fosse dichiarata illecita la clausola di durata
determinata inserita nel contratto, in quanto non erano stati
espressamente indicati il nome del lavoratore sostituito e la causa della
sostituzione.
17 Le Poste Italiane negano l’esistenza di un obbligo di siffatte
menzioni, in quanto l’art. 1, comma 2, lett. b), della legge n. 230/1962 è
stato abrogato dall’art. 11, comma 1, del decreto legislativo n. 368/2001.
18 Il giudice del rinvio osserva che il contratto di cui alla causa
principale è disciplinato dal decreto legislativo n. 368/2001, diretto
alla trasposizione della direttiva 1999/70. Quest’ultimo ha abrogato la
legge n. 230/1962 nonché le modifiche ad essa apportate, compreso l’art.
1, comma 2, lett. b).
19 Risulterebbe pertanto necessario, da tale momento in poi, disciplinare
il caso della sostituzione di un lavoratore a norma dell’art. 1, comma 1,
del decreto legislativo n. 368/2001, il quale si limiterebbe a consentire
«l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro
subordinato a fronte di ragioni di carattere (...) sostitutivo», senza più
pretendere che, in detto contratto, siano indicati il nome del lavoratore
sostituito e la causa della sua sostituzione. Una modifica del genere
rappresenterebbe una riduzione del livello di tutela per i lavoratori.
20 In tale contesto il Tribunale di Trani ha deciso di sospendere il
procedimento e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la clausola n. 8 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva
1999/70 (…) debba essere interpretata nel senso che osta ad una disciplina
interna (come quella dettata dagli artt. 11 e 1 del D. Lgs. [n.]
368/2001), che, in attuazione della direttiva 1999/70 (…), abbia abrogato
l’art. 1, comma 2, lett. b), della L. [n.] 230/1962 (a mente del quale,
era consentita “l’apposizione di un termine alla durata del contratto”
“quando l’assunzione” avesse avuto “luogo, per sostituire lavoratori
assenti e per i quali” fosse sussistito “il diritto alla conservazione del
posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine” fosse stato “indicato
il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”,
sostituendolo con una disposizione che non prevede più tali oneri di
specificazione.
2) Nel caso in cui la precedente questione venga risolta affermativamente,
se il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare la normativa interna
contrastante con il diritto comunitario».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
21 Le Poste Italiane chiedono in via principale di dichiarare irrilevanti
e, pertanto, irricevibili le questioni sollevate.
22 Relativamente alla prima questione, le Poste Italiane affermano che ad
essa sarebbe stata data soluzione nella sentenza 23 aprile 2009, cause
riunite da C‑378/07 a C‑380/07, Angelidaki e a. (Racc. pag. I‑3071). Dalla
citata sentenza risulterebbe che la Corte attribuisce al giudice nazionale
l’onere di verificare autonomamente la congruità del diritto interno con i
principi di cui alla clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro.
23 Quanto alla seconda questione, e richiamando i punti 208‑212 della
citata sentenza Angelidaki e a., le Poste Italiane considerano che il
decreto legislativo n. 368/2001 non ha in alcuna delle sue previsioni
determinato una reformatio in peius delle previsioni applicabili ai
lavoratori interessati. La Corte, dal canto suo, avrebbe negato che la
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sia direttamente produttiva di
effetti. Di conseguenza al giudice nazionale sarebbe preclusa la
possibilità di procedere ad una disapplicazione delle norme nazionali
eventualmente incompatibili con il diritto dell’Unione, essendo lo stesso
unicamente legittimato a porne in essere un’interpretazione conforme alle
disposizioni di tale diritto.
24 Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte,
nell’ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali
istituita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, al
quale è stata sottoposta la controversia, che è l’unico ad avere
conoscenza diretta dei fatti della stessa e che deve assumersi la
responsabilità della decisione giurisdizionale da emanare, valutare, alla
luce delle particolari circostanze della fattispecie, sia la necessità di
una decisione pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria
sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte.
Di conseguenza, se la questione sollevata dal giudice a quo verte
sull’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, la
Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare,
sentenze 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold, Racc. pag. I‑9981,
punti 34 e 35; 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag.
I‑6057, punto 41, nonché ordinanza 12 giugno 2008, causa C‑364/07,
Vassilakis e a., punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
25 In proposito è giocoforza constatare che accertare se la clausola 8
dell’accordo quadro osti ad una normativa nazionale come il decreto
legislativo n. 368/2001 e, in caso affermativo, quali conseguenze siano
riconducibili a siffatta incompatibilità non è privo di rilevanza rispetto
all’oggetto della controversia principale e attiene all’interpretazione
del diritto dell’Unione.
26 Alla luce delle suesposte considerazioni, la domanda di pronuncia
pregiudiziale deve essere dichiarata ricevibile.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
27 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se la clausola
8, n. 3, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa
osta ad una normativa nazionale, come il decreto legislativo n. 368/2001,
che, in occasione della trasposizione nel diritto interno della direttiva
1999/70 e dell’accordo quadro, ha eliminato l’obbligo per il datore di
lavoro di indicare nel contratto a tempo determinato, concluso per
sostituire lavoratori assenti, il nome di tali lavoratori e i motivi della
loro sostituzione.
28 Secondo tale giudice, il decreto legislativo n. 368/2001 rappresenta
«un arretramento» nel livello generale di tutela dei lavoratori a tempo
determinato ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, in
quanto il lavoratore non può più pretendere, al momento della stipulazione
del contratto, che gli siano fornite quelle informazioni che anteriormente
erano obbligatorie e lo ponevano nelle condizioni di valutare
preventivamente la serietà e l’effettiva sussistenza della causale
negoziale impiegata, di avere un’informazione completa e, infine, di
decidere in merito all’opportunità di agire in giudizio.
29 Per decidere sul rinvio pregiudiziale occorre verificare, in primo
luogo, se la conclusione di un primo contratto a tempo determinato rientri
nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro, e, in secondo luogo, se
la modifica della normativa nazionale introdotta dal decreto legislativo
n. 368/2001 volta a recepire la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro sia
tale, da un lato, da essere considerata collegata con l’«applicazione»
dell’accordo quadro e, dall’altro, da riguardare il «livello generale di
tutela» dei lavoratori ai sensi della sua clausola 8, n. 3 (v. sentenza
Angelidaki e a., cit., punto 130).
Sull’ambito di applicazione dell’accordo quadro
30 Stando alla stessa formulazione della clausola 2 dell’accordo quadro,
esso si applica a ogni lavoratore a tempo determinato con un contratto o
un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o
dalla prassi in vigore in ciascuno Stato membro (sentenza Angelidaki e a.,
cit., punto 114).
31 Ai sensi della clausola 3 dell’accordo quadro in parola, la nozione di
«lavoratore a tempo determinato» indica «una persona con un contratto o un
rapporto di lavoro [a tempo determinato] definiti direttamente fra il
datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da
condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il
completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento
specifico» (sentenza Angelidaki e a., cit., punto 115).
32 Infine, la clausola 8 dell’accordo quadro prevede che l’attuazione di
quest’ultimo da parte degli Stati membri o delle parti sociali non può
costituire «un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela
offerto ai lavoratori» nell’ambito coperto dall’accordo stesso.
33 Pertanto, risulta chiaramente sia dall’obiettivo perseguito dalla
direttiva 1999/70, sia dall’accordo quadro e dalla formulazione delle loro
pertinenti disposizioni che, contrariamente a quanto sostanzialmente
sostenuto dal governo italiano, l’ambito disciplinato da tale accordo non
è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato
successivi ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che
forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un determinato rapporto
di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di lavoro, indipendentemente
dal numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori
(sentenza Angelidaki e a., cit., punto 116 e giurisprudenza ivi citata).
34 Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge, da un lato, che, alla
luce di tali obiettivi, la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non può
essere interpretata in modo restrittivo (sentenza Angelidaki e a., cit.,
punto 113) e, dall’altro, che la verifica dell’esistenza di una «reformatio
in peius» ai sensi della stessa clausola 8, n. 3 deve effettuarsi in
rapporto all’insieme delle disposizioni di diritto interno di uno Stato
membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di
lavoro a tempo determinato (sentenza Angelidaki e a., cit., punto 120).
35 La Corte ne ha tratto la conclusione che detta clausola 8, n. 3, deve
essere interpretata nel senso che la «reformatio in peius» da essa
contemplata è da valutare in rapporto al livello generale di tutela che
era applicabile, nello Stato membro interessato, sia ai lavoratori con
contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un
primo ed unico contratto a tempo determinato (sentenza Angelidaki e a.,
cit., punto 121).
Sull’interpretazione della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro
36 Occorre innanzitutto precisare che, dal momento che l’interpretazione
del diritto nazionale spetta esclusivamente ai giudici nazionali, è
compito di questi ultimi determinare in quale misura le modifiche
summenzionate, introdotte dal decreto legislativo n. 368/2001 rispetto al
diritto nazionale preesistente quale risultava dalla legge n. 230/1962,
abbiano comportato una riduzione della tutela dei lavoratori con un
contratto di lavoro a tempo determinato, a tal fine comparando il livello
di tutela rispettivamente accordato da ciascuna di queste disposizioni
nazionali.
37 Per contro, spetta, se del caso, alla Corte in sede di decisione sul
rinvio pregiudiziale fornire al giudice del rinvio indicazioni utili a
guidarlo nella sua valutazione sul punto di appurare se detta eventuale
riduzione della tutela dei lavoratori con un contratto di lavoro a tempo
determinato costituisca una «reformatio in peius» ai sensi della clausola
8, n. 3, dell’accordo quadro. A tal fine, occorre esaminare in quale
misura le modifiche introdotte dalla normativa nazionale volta a recepire
la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro siano tali, da un lato, da essere
considerate collegate con l’«applicazione» dell’accordo quadro, e,
dall’altro, da riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori
ai sensi della sua clausola 8, n. 3 (sentenza Angelidaki e a., cit., punto
130).
38 Relativamente, in primo luogo, all’attuazione dell’accordo quadro, va
constatato che l’oggetto stesso del decreto legislativo n. 368/2001 è la
trasposizione della direttiva 1999/70 e che il decreto di cui trattasi è
stato adottato in esecuzione della legge 29 dicembre 2000, n. 422.
39 Non si può quindi escludere che le modifiche introdotte dal decreto
legislativo n. 368/2001 al diritto interno precedente siano collegate
all’attuazione dell’accordo quadro, considerato che, secondo l’ordinanza
di rinvio, i lavoratori a tempo determinato, al momento dell’adozione
della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro in parola, godevano di
misure di tutela previste dalla legge n. 230/1962, e ciò a prescindere
dalla circostanza che il contenuto dell’art. 1 del menzionato decreto
legislativo non concerna una disposizione espressa dell’accordo quadro.
40 Al fine di operare una valutazione del genere sarà onere del giudice
del rinvio verificare se l’eliminazione dell’obbligo, a carico del datore
di lavoro, d’indicare nel contratto a tempo determinato, concluso per
sostituire lavoratori assenti, il nome di tali lavoratori e i motivi della
loro sostituzione costituisca una modifica del regime legale dei contratti
di lavoro a tempo determinato, frutto della volontà del legislatore
nazionale di realizzare un nuovo equilibrio nei rapporti fra i datori di
lavoro e i lavoratori nell’ambito in discussione, tenuto conto delle nuove
garanzie istituite dall’accordo quadro, o che deriva da una finalità
chiaramente identificata e diversa. In particolare, il giudice nazionale
dovrà verificare se l’eliminazione del requisito fissato dalla legge n.
230/1962 possa essere considerata il frutto della volontà di bilanciare,
al fine di alleggerire gli oneri gravanti sui datori di lavoro, le norme
di tutela dei lavoratori introdotte dal decreto legislativo n. 368/2001
riguardo all’attuazione dell’accordo quadro.
41 Si può tuttavia già rilevare come dalla decisione di rinvio non emerge
che, introducendo le modifiche di cui alla causa principale, il
legislatore nazionale abbia inteso perseguire un obiettivo diverso da
quello dell’applicazione dell’accordo quadro, circostanza che, comunque,
spetta al giudice del rinvio verificare.
42 Per quanto concerne, in secondo luogo, la condizione secondo cui la
reformatio in peius deve riguardare il «livello generale di tutela» dei
lavoratori a tempo determinato, essa implica che soltanto una reformatio
in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa
nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato può
rientrare nell’ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell’accordo
quadro (sentenza Angelidaki e a., cit., punto 140, nonché ordinanza 24
aprile 2009, causa C‑519/08, Koukou, punto 119).
43 Nella fattispecie occorre constatare che le modifiche introdotte dal
decreto legislativo n. 368/2001 al diritto nazionale precedente non
interessano tutti i lavoratori che abbiano concluso un contratto di lavoro
a tempo determinato, bensì unicamente coloro che ne abbiano concluso uno
al fine di sostituire un altro lavoratore, tenuto conto della circostanza
che la possibilità di ricorrere a contratti del genere rientra fra quelle
previste dall’art. 1, primo comma, del citato decreto legislativo.
44 Fintanto che detti lavoratori non rappresentano una porzione
significativa dei lavoratori impiegati a tempo determinato nello Stato
membro in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio
verificare, la riduzione della tutela di cui gode una ristretta categoria
di lavoratori non è di per sé tale da influenzare complessivamente il
livello di tutela applicabile nell’ordinamento giuridico interno ai
lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato.
45 Si deve inoltre osservare che, ai sensi dell’art. 1, n. 2, del decreto
legislativo n. 368/2001, il contratto a tempo determinato deve avere forma
scritta e deve specificare le ragioni del ricorso a tale contratto.
Qualora così non fosse, l’indicazione della data di scadenza del contratto
sarà priva di effetto. La legge n. 230/1962 si limitava a stabilire che la
durata del contratto dovesse risultare da atto scritto, senza indicazione
della ragione oggettiva della conclusione di tale contratto, salvo in caso
di sostituzione di un lavoratore assente e per il quale sussistesse il
diritto alla conservazione del posto.
46 Infine, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue
conclusioni, la modifica della normativa nazionale di cui alla causa
principale deve essere valutata tenendo presenti le altre garanzie
previste al fine di assicurare la tutela dei lavoratori assunti con
contratto a tempo determinato, come le misure preventive contro l’utilizzo
abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi e quelle
volte a vietare le discriminazioni esercitate contro lavoratori che
abbiano concluso tale tipo di contratto.
47 In tale contesto si deve constatare che modifiche di una normativa
nazionale come quelle di cui alla causa principale non costituiscono una
«riforma in peius» del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo
determinato ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, purché
esse riguardino una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto
di lavoro a tempo determinato oppure siano compensate dall’adozione di
altre garanzie o misure di tutela, circostanza che spetta al giudice del
rinvio verificare.
48 Occorre pertanto risolvere la prima questione dichiarando che la
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso
che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla
causa principale, che ha eliminato l’obbligo, per il datore di lavoro, di
indicare nei contratti a tempo determinato conclusi per sostituire
lavoratori assenti il nome di tali lavoratori e i motivi della loro
sostituzione, e che si limita a prevedere che siffatti contratti a tempo
determinato debbano risultare da atto scritto e debbano specificare le
ragioni del ricorso a tali contratti, purché dette nuove condizioni siano
compensate dall’adozione di altre garanzie o misure di tutela oppure
riguardino unicamente una categoria circoscritta di lavoratori con un
contratto di lavoro a tempo determinato, circostanza che spetta al giudice
del rinvio verificare.
Sulla seconda questione
49 Con la seconda questione il giudice del rinvio, in sostanza, chiede se,
in forza del diritto dell’Unione, egli sia tenuto ad escludere
l’applicazione di una normativa nazionale quale il decreto legislativo n.
368/2001, qualora essa contrasti con le disposizioni dell’accordo quadro
e, in caso affermativo, se debba applicare l’art. 1 della legge n.
230/1962.
50 A tale riguardo va ricordato che la Corte ha già dichiarato che la
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non soddisfa i requisiti per essere
direttamente produttiva di effetti. Da un lato, infatti, detta clausola
verte sulla sola «attuazione» di tale accordo da parte degli Stati membri
e/o delle parti sociali, obbligati a recepirlo nell’ordinamento giuridico
interno, vietando loro di giustificare all’atto di tale recepimento una
reformatio in peius del livello generale di tutela dei lavoratori con la
necessità di applicare l’accordo quadro in parola. Dall’altro, poiché
suddetta clausola si limita a vietare, stando alla sua formulazione
stessa, di «ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori
nell’ambito coperto dal[l’accordo quadro]», essa comporta che soltanto una
reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la
normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato
è idonea a ricadere nel suo ambito applicativo. Orbene, i soggetti
dell’ordinamento non potrebbero fondare sul descritto divieto un diritto
dal contenuto sufficientemente chiaro, preciso e categorico (sentenza
Angelidaki e a., cit., punti 209‑211, e ordinanza Koukou, cit., punto
128).
51 Ciò nondimeno, i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare il
diritto interno, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo
dell’accordo quadro in parola al fine di raggiungere il risultato
perseguito da quest’ultimo e conformarsi, pertanto, all’art. 228, terzo
comma, TFUE. Tale obbligo di interpretazione conforme riguarda l’insieme
delle disposizioni del diritto nazionale, sia anteriori sia posteriori
all’accordo quadro di cui trattasi (v., per analogia, sentenze Adeneler e
a., cit., punto 108, e 19 gennaio 2010, causa C‑555/07, Kücükdeveci, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 48).
52 Certamente, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al
contenuto di un accordo quadro nell’interpretazione e nell’applicazione
delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei
principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del
diritto e di irretroattività, e non può servire da fondamento ad
un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (v., per analogia,
sentenza Adeneler e a., cit., punto 110).
53 Il principio di interpretazione conforme richiede nondimeno che i
giudici nazionali facciano tutto quanto compete loro, prendendo in
considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i
metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di
garantire la piena efficacia dell’accordo quadro di cui trattasi e
pervenire ad una soluzione conforme alla finalità perseguita da
quest’ultimo (v., per analogia, sentenza Adeneler e a., cit., punto 111).
54 Inoltre, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle
sue conclusioni, detto principio d’interpretazione conforme non può
affatto portare a rendere applicabili norme nazionali che non siano
formalmente valide e pertinenti tanto ratione materiae quanto ratione
temporis.
55 Occorre, pertanto, risolvere la seconda questione dichiarando che,
posto che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro è priva di efficacia
diretta, spetta al giudice del rinvio, qualora ritenesse di concludere per
l’incompatibilità con il diritto dell’Unione della normativa nazionale di
cui alla causa principale, non escluderne l’applicazione, bensì operarne,
per quanto possibile, un’interpretazione conforme sia alla direttiva
1999/70, sia allo scopo perseguito dall’accordo quadro.
Sulle spese
56 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) La clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla
direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere
interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come
quella di cui alla causa principale, che ha eliminato l’obbligo, per il
datore di lavoro, di indicare nei contratti a tempo determinato conclusi
per sostituire lavoratori assenti il nome di tali lavoratori e i motivi
della loro sostituzione, e che si limita a prevedere che siffatti
contratti a tempo determinato debbano risultare da atto scritto e debbano
specificare le ragioni del ricorso a tali contratti, purché dette nuove
condizioni siano compensate dall’adozione di altre garanzie o misure di
tutela oppure riguardino unicamente una categoria circoscritta di
lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, circostanza che
spetta al giudice del rinvio verificare.
2) Posto che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro in parola è priva di
efficacia diretta, spetta al giudice del rinvio, qualora ritenesse di
concludere per l’incompatibilità con il diritto dell’Unione della
normativa nazionale di cui alla causa principale, non escluderne
l’applicazione, bensì operarne, per quanto possibile, un’interpretazione
conforme sia alla direttiva 1999/70, sia allo scopo perseguito dal citato
accordo quadro.
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