SENTENZA N. 86
ANNO 2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
Signori:
-
Francesco AMIRANTE Presidente
-
Ugo DE SIERVO
Giudice
-
Paolo MADDALENA "
-
Alfio FINOCCHIARO "
-
Alfonso QUARANTA "
-
Franco GALLO "
-
Luigi MAZZELLA "
-
Gaetano SILVESTRI "
-
Sabino CASSESE "
-
Maria Rita
SAULLE "
-
Giuseppe TESAURO "
-
Paolo Maria NAPOLITANO
"
-
Giuseppe FRIGO "
-
Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 85 del
d.P.R.
30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), promosso dal
Tribunale di Milano, nel procedimento civile vertente tra M.R. in
proprio e quale esercente la patria potestà sul figlio minore J.P.Q. e
l'Inail, con ordinanza del 6 maggio 2008, iscritta al n. 268 del
registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visti
l'atto di costituzione di M.R. nonché l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 10 febbraio 2009 il Giudice relatore Alfio
Finocchiaro;
uditi
l'avvocato Maria Stefania Masini per M.R. e l'avvocato dello Stato
Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. – Con
ordinanza del 6 maggio 2008, il Tribunale di Milano – nel corso del
procedimento civile promosso dalla signora R.M., in proprio e quale
esercente la patria potestà sul figlio minore J.P.Q., per il
conseguimento della rendita Inail pari al cinquanta per cento della
retribuzione percepita dal suo convivente in conseguenza del decesso
dello stesso, avvenuto a seguito di infortunio sul lavoro, ovvero la
somma di € 17.216,46, o, in subordine, per il riconoscimento del
diritto del minore ad una rendita Inail pari al quaranta per cento
della retribuzione annua del padre – ha sollevato, su eccezione della
ricorrente, questione di legittimità costituzionale dell'art. 85 (recte:
art. 85, primo comma, numeri 1 e 2) del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124
(Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117 Costituzione e
agli artt. 12 e 13 del Trattato C.E.
1. 1 – Il
giudice a quo, con riguardo alla domanda proposta dalla signora
R.M., in proprio, rileva che il predetto art. 85, primo comma, n. 1,
del citato d.P.R. n. 1124 del 1965, prevedendo che, in caso di decesso
del lavoratore, sia disposta una rendita per il coniuge nella misura
del cinquanta per cento si porrebbe, anzitutto, in contrasto con
l'art. 2 della Costituzione in quanto, non garantendo al convivente
more uxorio la rendita del cinquanta per cento prevista invece per
il coniuge, non offrirebbe adeguata tutela alla famiglia di fatto che,
al pari di quella fondata sul matrimonio, rende possibile lo
svolgimento della personalità dell'individuo.
La norma
censurata violerebbe anche l'art. 3 della Costituzione, negando il
diritto alla rendita al convivente more uxorio anche quando la
convivenza abbia acquistato i caratteri di stabilità e certezza propri
del vincolo coniugale.
Sarebbe,
ancora, violato l'art. 31 della Costituzione, sotto il profilo del
vulnus al principio del favor familiaris, che obbliga lo
Stato ad impegnarsi per promuovere ed agevolare il nucleo familiare
qualunque sia la sua forma.
Allo
stesso favor si ispira anche la Convenzione sui diritti
dell'infanzia, siglata a New York in data 20 novembre 1989, e
ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che, all'art.
27, impone agli Stati di adottare adeguati provvedimenti, in
considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro
mezzi, per aiutare i genitori ad attuare il diritto di ogni fanciullo
a un livello di vita sufficiente a consentire il suo sviluppo fisico,
mentale, spirituale e sociale.
Si
lamenta, poi, la violazione dell'art. 38 Cost., in virtù del quale la
Repubblica è direttamente investita delle funzioni di assistenza e
previdenza sociale che garantiscano al lavoratore e ai familiari a suo
carico un'adeguata protezione verso i rischi professionali e non.
La norma
censurata non consentirebbe al genitore non coniugato di provvedere al
mantenimento dei propri figli e non preverrebbe né ridurrebbe in alcun
modo le condizioni di bisogno e disagio individuale e familiare.
La norma
censurata si porrebbe, inoltre, in contrasto con gli artt. 11 e 117
della Costituzione, non rispettando i vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario (Trattato U.E., Carta dei Diritti
fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000) e dagli obblighi internazionali (Convenzione sui diritti
sull'Infanzia). Infatti, il Trattato prevede, all'art. 13, un
meccanismo attivabile dal Consiglio, su proposta della Commissione e
previa consultazione del Parlamento Europeo, al fine di combattere le
discriminazioni comunque verificatesi all'interno dell'Unione Europea.
Inoltre, la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea,
all'art. 21, vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla
nascita e, al secondo comma, prevede che «nell'ambito d'applicazione
del Trattato che istituisce la Comunità Europea e del Trattato
sull'Unione Europea, è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla
cittadinanza». Nel caso di specie, la ricorrente subirebbe una
discriminazione in ragione della sua nazionalità, dal momento che se
essa fosse stata convivente more uxorio con un cittadino non
italiano o se il sig. Q. avesse subito l'incidente mortale in uno
stato dell'Unione Europea diverso dall'Italia (in base al Regolamento
CEE 1408/71, la legge applicabile è infatti quella del Paese in cui
viene svolta l'attività lavorativa, a prescindere dalla residenza), la
ricorrente avrebbe avuto diritto a percepire l'indennità prevista in
caso di decesso sul lavoro. L'art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965
sarebbe, dunque, illegittimo per contrasto con gli artt. 11 e 117
Costituzione, in quanto non rispetterebbe il vincolo derivante dalle
norme di diritto comunitario e violerebbe l'art. 12 del Trattato C.E.
1. 2. –
Quanto alla domanda proposta da R.M. quale esercente la potestà sul
figlio minore, osserva il giudice a quo che, ai sensi dell'art.
85, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, in conseguenza di
morte per infortunio, spetta una rendita pari al «venti per cento per
ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto e/o riconoscibile e
adottivo fino al raggiungimento del diciottesimo anno d'età ed il
quaranta per cento se si tratti di orfani di entrambi i genitori».
La
normativa, però – si rileva nella ordinanza – non prende in
considerazione, tenuto anche conto dell'epoca in cui è stata adottata,
l'ipotesi del decesso di un genitore in una situazione di famiglia di
fatto consolidata, con la conseguenza che anche in questo caso viene
erogato al figlio superstite solo il venti per cento della rendita. In
tal modo, viene sottratta al figlio anche quella quota della rendita
riservata al coniuge che è naturalmente destinata a soddisfare le
esigenze del nucleo familiare e non soltanto quelle di sostentamento
del coniuge stesso. Tale dato è riconosciuto anche dalla Convenzione
sui diritti dell'infanzia siglata a New York in data 20 novembre 1989
e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che, per
garantire protezione e cure particolari al fanciullo, prevede la
tutela anche della famiglia (non strettamente e giuridicamente intesa)
come «unità fondamentale della società e ambiente naturale per la
crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed, in particolar
modo, dei fanciulli». In particolare, l'art. 27 della Convenzione
riconosce il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita
sufficiente a consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale,
morale e sociale spettando ai genitori la responsabilità fondamentale
di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del
fanciullo. Di contro, spetta agli Stati aderenti alla Convenzione
adottare «ogni adeguato provvedimento al fine di garantire il
mantenimento del fanciullo da parte dei suoi genitori». Proprio per
effetto del richiamato art. 27 della Convenzione, il diniego opposto
dall'Inail a riconoscere una rendita inferiore spettante alla madre
sol perché non riconosciuta come «coniuge», inciderebbe sulle garanzie
offerte al minore. Nella specie, infatti, la rendita spettante alla
sig.ra R. M. sarebbe ridotta ad € 382,59 sol perché quest'ultima non
era coniugata con il lavoratore deceduto.
Al
rimettente sembra incostituzionale che un adeguato sviluppo della
personalità e della vita del minore J. Q. non possa essere equamente
garantito perché i suoi genitori non erano uniti nel giuridico vincolo
del matrimonio, e la soluzione adottata dalla normativa vigente non è
condivisibile neppure là dove non riconosce la famiglia di fatto: al
convivente superstite, infatti, non è riconosciuta alcuna rendita,
laddove al minore dovrebbe essere riconosciuta quella quota di rendita
aggiuntiva che, nell'ipotesi di famiglia giuridicamente riconosciuta,
è conglobata nella rendita complessivamente destinata al coniuge nella
sua qualità di superstite amministratore del menage familiare.
Al
riguardo, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 360
del 1985, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del
predetto articolo nella parte in cui dispone che nel caso di
infortunio mortale dell'assicurato, agli orfani di entrambi i genitori
spetta il quaranta per cento della rendita, ma esclude che detta
rendita spetti anche all'orfano dell'unico genitore che l'ha
riconosciuto.
Secondo il
rimettente la norma in questione violerebbe, dunque, il combinato
disposto degli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione determinando una
irragionevole disparità di trattamento tra i figli nati fuori dal
matrimonio e quelli legittimi. Ogni minore ha infatti il diritto
assoluto e inviolabile (art. 2) al pieno sviluppo della sua
personalità (art. 3) e ad una vera famiglia (art. 30) che gli
garantisca tale sviluppo. L'art. 30 della Costituzione risulterebbe
violato sia sotto il profilo del diritto-dovere dei genitori di
mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal
matrimonio, sia sotto il profilo dell'obbligo per il legislatore di
assicurare a questi ultimi ogni tutela giuridica e sociale. Sarebbe
violato anche l'art. 31 Costituzione, che, al secondo comma, sancisce
il principio del favor sia nei confronti della famiglia sia del
minore ed individua a livello costituzionale i cardini di un ampio
programma di intervento a sostegno della famiglia e di protezione di
infanzia e gioventù. Insieme a detta norma, anche l'art. 30 della
Costituzione si impegna a considerare le singole disposizioni relative
a gioventù e infanzia non quali forme episodiche di tutela e di
soggetti istituzionalmente deboli, ma come elementi costitutivi di una
strategia d'intervento legislativo fortemente innovativa. La predetta
tutela, poi, trova esplicito riferimento nell'art. 24 della Carta dei
Diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000, il quale
sancisce il diritto dei bambini al benessere e afferma il principio
dell'interesse superiore del bambino in tutti gli atti compiuti da
autorità pubbliche o da istituzioni private, e pari tutela viene
garantita dai citati artt. 26 e 27 della citata Convenzione sui
diritti dell'Infanzia.
Ciò posto,
il citato art. 85, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965
violerebbe l'art. 31 della Costituzione poiché non garantirebbe al
minore idonea protezione economica, nonché l'art. 10 della
Costituzione in quanto non conforme alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute, dal momento che l'art. 24
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea così dispone:
«In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da
autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del
bambino deve essere considerato preminente». La già citata Convenzione
sui diritti dell'infanzia, all'art. 27, prevede espressamente che «gli
Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di
vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale,
spirituale, morale e sociale (...) gli Stati parte adottano ogni
adeguato provvedimento al fine di garantire il mantenimento del
fanciullo da parte dei suoi genitori o altre persone aventi una
responsabilità finanziaria nei suoi confronti». Invece, il minore J.
Q. percepisce una rendita Inail pari al venti per cento della
retribuzione annua relativa al padre, per un importo mensile pari ad €
382,59, di certo non sufficiente a garantirgli un livello sufficiente
al suo sviluppo.
Peraltro,
l'art. 85, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965 sarebbe
illegittimo anche perché in palese contrasto con gli artt. 11 e 117
della Costituzione, per violazione degli obblighi internazionali e di
disposizioni contenute nelle citate convenzioni internazionali.
2. – Nel
giudizio innanzi alla Corte si è costituita la parte privata del
giudizio a quo, che ha concluso per la declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma impugnata sulla base di
argomentazioni adesive a quelle contenute nella ordinanza di
rimessione.
3. – Nel
giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
ha concluso per la manifesta inammissibilità o infondatezza della
questione, rilevando che essa tende alla equiparazione della famiglia
di fatto a quella fondata sul matrimonio, laddove la diversità delle
due situazioni costituisce un punto fermo della giurisprudenza
costituzionale, e, in mancanza di una espressa previsione legislativa,
le tutele previdenziali previste per i componenti della famiglia
basata sul matrimonio non sono estensibili a persone che difettano di
tale status.
Con
riguardo, in particolare, alla seconda questione sollevata,
l'ordinanza presenta, secondo l'Autorità intervenuta, un profilo di
perplessità o di carenza di autosufficienza, non apparendo lo
status del minore ben definito, e non essendo chiaro, in
particolare, se lo stesso sia orfano anche della madre naturale né se
sia stato riconosciuto da un solo genitore.
Considerato
in diritto
1. – Il
Tribunale di Milano dubita della legittimità costituzionale dell'art.
85, primo comma, n. 1, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico
delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui
prevede che, in caso di decesso del lavoratore per infortunio, sia
disposta una rendita per il coniuge nella misura del cinquanta per
cento della retribuzione percepita dal lavoratore stesso, senza
garantire alcunché al convivente more uxorio, per violazione
dell'art. 2 della Costituzione, in quanto non garantirebbe adeguata
tutela alla famiglia di fatto; dell'art. 3 Cost., poiché negherebbe il
diritto alla rendita al convivente anche quando la convivenza abbia
acquistato i caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo
coniugale; dell'art. 31 Cost., ponendosi in contrasto con il principio
del favor familiaris, che obbliga lo Stato ad impegnarsi per
promuovere ed agevolare il nucleo familiare qualunque ne sia la forma;
dell'art. 38 Cost., non consentendo al genitore non coniugato di
provvedere al mantenimento dei propri figli, e non prevenendo né
riducendo in alcun modo le condizioni di bisogno e disagio individuale
e familiare; degli artt. 11 e 117 Cost., per il contrasto con i
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (Trattato C.E., Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000) e dagli obblighi internazionali (Convenzione sui
diritti dell'Infanzia, siglata a New York in data 20 novembre 1989 e
ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176).
Il giudice
a quo dubita, altresì, della legittimità costituzionale dello
stesso art. 85, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella
parte in cui prevede che, in conseguenza della morte per infortunio
del lavoratore, sia disposta una rendita del venti per cento della
retribuzione dallo stesso percepita per ciascun figlio ovvero del
quaranta per cento per gli orfani di entrambi i genitori, senza
prendere in considerazione la ipotesi del decesso di un genitore in
una situazione di famiglia di fatto consolidata, con la conseguenza
che anche in questo caso viene erogata al figlio superstite solo una
rendita pari al venti per cento della retribuzione del lavoratore
deceduto, per violazione del combinato disposto degli artt. 2 e 3
Cost., per la irragionevole disparità di trattamento che
determinerebbe tra i figli nati fuori dal matrimonio e quelli
legittimi; dell'art. 30 Cost., sia sotto il profilo del diritto-dovere
dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori dal matrimonio, sia sotto il profilo dell'obbligo per il
legislatore di assicurare a questi ultimi ogni tutela giuridica e
sociale; dell'art. 31 Cost., ponendosi in contrasto con il principio
del favor sia nei confronti della famiglia che del minore;
degli artt. 11 e 117 Cost., per il contrasto con i vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario (Trattato C.E., Carta dei diritti
fondamentali dell'U.E.) e dagli obblighi internazionali (Convenzione
sui diritti dell'Infanzia).
2. – La
prima questione si incentra sulla mancata equiparazione del convivente
al coniuge del lavoratore agli effetti della corresponsione della
rendita Inail in caso di infortunio sul lavoro che abbia avuto per
conseguenza il decesso dello stesso lavoratore.
Tale
questione è manifestamente infondata sulla base delle considerazioni
che seguono.
Questa
Corte ha ripetutamente posto in evidenza la diversità tra famiglia di
fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in ragione dei caratteri di
stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e
doveri che nascono soltanto da tale vincolo, individuando le ragioni
costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo
tra i due casi nella circostanza che il rapporto coniugale trova
tutela diretta nell'art. 29 Cost. (ordinanza n. 121 del 2004).
Con
riferimento, in particolare, alla materia pensionistica, deve essere
riconfermato il principio enunciato dalla sentenza n. 461 del 2000,
secondo cui la mancata inclusione del convivente more uxorio
tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di
reversibilità trova una sua non irragionevole giustificazione nella
circostanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un
preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca. E',
quindi, da escludere che nella disciplina censurata sia ravvisabile un
vulnus agli artt. 2, 3, 31 e 38 Cost. (cfr. ordinanza n. 444
del 2006).
Né si può
prendere in considerazione la censura relativa ad un presunto
vulnus degli artt. 11 e 117 Cost. sotto il profilo del contrasto
con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (Trattato C.E.,
Carta dei diritti fondamentali dell'U.E.) e dagli obblighi
internazionali (Convenzione sui diritti dell'Infanzia), dato che detti
vincoli ed obblighi non sono individuati in modo preciso.
3. – La
seconda questione è ammissibile e fondata.
3.1. –
L'eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa erariale per non
risultare dall'ordinanza ben definito lo status del minore, non
essendo chiaro se lo stesso sia orfano anche della madre naturale, né
se sia stato riconosciuto da un solo genitore, non è fondata.
Dall'ordinanza emerge, infatti, che la ricorrente ha proposto la
domanda di attribuzione della rendita infortunistica spettante al
minore nella qualità di genitore esercente la potestà su quest'ultimo:
ciò è sufficiente per concludere che il minore non è orfano della
madre ed è stato riconosciuto da entrambi i genitori.
3.2. – La
questione risulta, pur in assenza di una specificazione da parte del
rimettente, proposta in via subordinata rispetto alla prima, dal
momento che l'attrice del giudizio a quo aveva richiesto – in
mancanza del conseguimento della rendita Inail nella misura del
cinquanta per cento della retribuzione percepita dal convivente in
conseguenza del decesso di quest'ultimo, avvenuto a causa di un
infortunio sul lavoro – il riconoscimento, in qualità di esercente la
potestà sul figlio minore, di una rendita, in favore del minore
medesimo, pari al quaranta per cento della retribuzione percepita dal
padre.
Deve
premettersi che, poiché la questione attiene all'interesse del minore
figlio naturale riconosciuto, essa, pur sollevata nell'ambito di una
fattispecie concernente il figlio nato da una coppia convivente
more uxorio, deve considerarsi riferita in generale al figlio
naturale riconosciuto.
Con
riferimento a tale questione, attinente alla mancata previsione che,
in conseguenza della morte per infortunio del lavoratore, sia disposta
una rendita del quaranta per cento della retribuzione dallo stesso
percepita in favore del figlio nato fuori dal matrimonio, deve
anzitutto osservarsi che il censurato art. 85, primo comma, n. 2, del
citato D.P.R. n. 1124 del 1965, prevede che, in caso di infortunio sul
lavoro seguito da decesso, sia corrisposta una rendita pari al venti
per cento della retribuzione del lavoratore a ciascun figlio fino al
raggiungimento del diciottesimo anno di età, e al quaranta per cento
se si tratti di orfani di entrambi i genitori.
Dall'esame
della ordinanza si deduce che il rimettente auspica una pronuncia che
applichi la disciplina prevista, nella materia de qua, per
l'orfano di entrambi i genitori (rendita pari al quaranta per cento
della retribuzione del lavoratore deceduto) al figlio minore di una
coppia non coniugata, ma stabilmente convivente, in caso di morte di
uno solo dei genitori, ipotesi nella quale il minore ha diritto alla
sola rendita pari al venti per cento della retribuzione del genitore
deceduto, senza potere usufruire del sostegno economico che,
indirettamente, gli perverrebbe dall'attribuzione all'altro genitore
della rendita pari al cinquanta per cento, legittimamente negata al
convivente.
3. 3. – La
norma impugnata, nello stabilire che la rendita infortunistica spetta
nella misura del venti per cento a ciascun figlio legittimo, naturale,
riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino al raggiungimento del
diciottesimo anno di età, e del quaranta per cento se si tratta di
orfani di entrambi i genitori, introduce una discriminazione fra figli
naturali e figli legittimi che si pone in contrasto con gli artt. 3 e
30 Cost.
Infatti,
mentre la morte del coniuge per infortunio comporta, in presenza di
figli legittimi, l'attribuzione della rendita al superstite nella
misura del cinquanta per cento ed a ciascuno dei figli nella misura
del venti per cento, la morte per infortunio di colui che non è
coniugato ed ha figli naturali riconosciuti non comporta
l'attribuzione al genitore superstite di alcuna rendita per
infortunio, mentre i figli hanno diritto solo al venti per cento di
detta rendita.
E' bensì
vero che i figli, legittimi o naturali riconosciuti, godono – in caso
di infortunio mortale del loro genitore – della rendita infortunistica
nella stessa misura, ma la discriminazione deriva dal fatto che solo i
figli legittimi, e non anche quelli naturali, possono godere di quel
plus di assistenza che deriva dall'attribuzione al genitore
superstite del cinquanta per cento della rendita.
Infatti il
minore, pur trovandosi, ai fini della determinazione della misura
della rendita infortunistica, in una condizione analoga a quella di
chi ha perso entrambi i genitori – non essendo destinatario di alcun
beneficio economico, neppure indiretto, a tali fini, per la
sopravvivenza dell'altro genitore, cui non spetta, in quanto non
coniugato, alcuna rendita – ha diritto solo al venti per cento di
essa, e non anche al quaranta per cento spettante agli orfani di
entrambi i genitori.
Va,
pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.
85, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte
in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio mortale
dell'assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta
per cento della rendita, esclude che essa spetti nella stessa misura
anche all'orfano di un solo genitore naturale.
3. 4. –
L'accoglimento della questione in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.
comporta l'assorbimento degli altri profili di censura.
per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 85, primo comma, numero 2,
del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), nella parte in cui, nel disporre che, nel
caso di infortunio mortale dell'assicurato, agli orfani di entrambi i
genitori spetta il quaranta per cento della rendita, esclude che essa
spetti nella stessa misura anche all'orfano di un solo genitore
naturale;
dichiara
la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art.
85, primo comma, numero 1, del citato d.P.R. n. 1124 del 1965,
sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117
Costituzione e degli artt. 12 e 13 del Trattato CE, dal Tribunale di
Milano, con l'ordinanza in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, l'11 marzo 2009.
F.to:
Francesco
AMIRANTE, Presidente
Alfio
FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 27 marzo 2009.
Il Direttore
della Cancelleria
F.to: DI PAOLA |