SENTENZA N. 285
ANNO 2010
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro
CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 70 del decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a
norma dell’articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53), promossi dalla
Corte d’appello di Firenze con ordinanza del 15 maggio 2009 e dalla
Corte d’appello di Venezia con ordinanza del 28 maggio 2009, iscritte
ai nn. 240 e 283 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e 47, prima serie speciale,
dell’anno 2009.
Visti gli atti di
costituzione della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;
udito
nell’udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore Maria Rita
Saulle;
udito l’avvocato
Massimo Luciani per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense.
Ritenuto in fatto
1. – La Corte
d’appello di Firenze, nel corso di un procedimento civile promosso
dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense contro P.L.F.,
con ordinanza emessa il 15 maggio 2009 ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15
della L. 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede il
diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa
alla madre biologica, l’indennità di maternità.
La Corte
rimettente rileva che, con sentenza n. 710 del 20 giugno 2008, il
Tribunale di Firenze, in qualità di giudice del lavoro, condannava, in
applicazione della norma censurata, l’appellante al pagamento in
favore dell’avvocato P.L.F. dell’indennità di maternità conseguente
alla nascita del figlio avvenuta l’8 maggio 2006.
Avverso tale
sentenza proponeva appello la Cassa nazionale di previdenza e
assistenza forense contestando l’iter argomentativo seguito dal
Tribunale che aveva riconosciuto la suddetta indennità al padre libero
professionista, in alternativa alla madre, in base ad una
«interpretazione costituzionalmente adeguatrice» del citato art. 70,
il quale sancisce che alle libere professioniste, «iscritte ad un ente
che gestisce forme obbligatorie di previdenza di cui alla tabella D
allegata al presente testo unico, è corrisposta un’indennità di
maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi
successivi alla stessa».
In ragione del
tenore letterale della disposizione impugnata e del suo esplicito
riferimento alle «libere professioniste», e cioè alla madre, la
rimettente non ritiene possibile estendere il beneficio da essa
prevista al padre.
A tal fine non
sarebbe risolutiva neanche la sentenza n. 385 del 2005 con la quale la
Corte costituzionale, pur dichiarando la illegittimità del citato art.
70 (e del successivo art. 72) «nella parte in cui non prevedono il
principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre
l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima», si riferiva
al caso di affidamento preadottivo, fattispecie questa in cui,
diversamente da quella oggetto del giudizio principale, non si pone
l’esigenza di tutela della gravidanza e del puerperio di una madre
biologica.
La rimettente
osserva, però, che proprio dall’indicata sentenza della Corte
costituzionale si evince il principio secondo cui, per garantire il
preminente interesse del minore, i genitori devono poter godere delle
medesime tutele al fine di una compiuta attuazione di fondamentali
diritti di rango costituzionale, quali sono quelli connessi alla
formazione della famiglia e alla cura della prole.
Contro tale
principio si pone, a parere della rimettente, la norma impugnata che,
nei nuclei familiari in cui il padre esercita una libera professione,
nega ai coniugi la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per
assistere il bambino, possa meglio provvedere alle sue esigenze,
scelta che non può che essere rimessa in via esclusiva all’accordo dei
genitori. In particolare, la Corte d’appello osserva che l’art. 70
censurato si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, in
quanto l’indennità di maternità è riconosciuta al padre, sia nel caso
di adozione o affidamento (sentenza n. 385 del 2005), sia in quello in
cui egli svolga attività di lavoro dipendente (art. 28 d.lgs. n. 151
del 2001).
Tale disparità di
trattamento, a parere del giudice a quo, non appare giustificata dalle
differenze, pur sussistenti, fra le diverse figure di lavoratori, le
quali non riguardano il diritto di partecipare alla vita familiare in
egual misura rispetto alla madre, e non consente ai professionisti di
godere, alla pari degli altri lavoratori, di quella protezione che
l’ordinamento assicura in occasione della genitorialità, anche
adottiva.
La rimettente
ritiene, infine, che la norma censurata si pone in contrasto anche con
gli artt. 29 e 31 della Costituzione, in quanto l’indennità di
maternità rientra nei diritti che devono essere riconosciuti alla
famiglia e rappresenta una delle misure economiche finalizzate ad
agevolarne la formazione.
In punto di
rilevanza, la Corte d’appello di Firenze osserva che l’avvocato P.L.F.
ha provato la circostanza che la moglie non svolge attività di lavoro
dipendente e, pur operando nel campo della ricerca in posizione
autonoma, non ha i requisiti per la iscrizione alla cassa di
previdenza e non ha percepito alcuna indennità di maternità.
1.1. – Si è
costituta in giudizio la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata
manifestamente inammissibile o infondata.
In via
preliminare, la parte privata osserva che la rimettente chiede alla
Corte un intervento che rientra nella discrezionalità del legislatore,
in quanto la invocata pronuncia additiva non sarebbe a “rime
obbligate”, non risultando, peraltro, chiaro nell’ordinanza di
rimessione in che termini la suddetta pronuncia possa risolvere il
sollevato dubbio di costituzionalità.
Nel merito, la
parte privata rileva la differente posizione che rivestono il padre e
la madre ai fini del riconoscimento dell’indennità di maternità nel
caso di filiazione naturale. In tali casi, infatti, il beneficio in
esame è volto non solo a compensare la potenziale diminuzione del
reddito nel periodo successivo al parto, nel quale il padre potrebbe
sostituire la madre nelle cure del figlio, ma anche la diminuzione di
reddito nel periodo della gravidanza, durante il quale la posizione
del padre non può essere considerata equivalente a quella della madre.
In simili ipotesi
non assumerebbe, dunque, rilevanza la sola necessità di assistere il
figlio nel suo ingresso in famiglia, come nel caso di affido
preadottivo, ma anche la tutela della salute della donna in occasione
della gravidanza, del parto e dei momenti immediatamente successivi ad
esso.
La peculiare
posizione che riveste la madre in occasione degli indicati periodi
giustificherebbe la disciplina impugnata dalla rimettente che
riconosce solo alle libere professioniste il beneficio della indennità
di maternità.
1.2. – In
prossimità dell’udienza, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense ha depositato una memoria con la quale ha insistito nella
richiesta di una pronuncia di inammissibilità o infondatezza della
questione.
In particolare,
la parte privata osserva che l’intervento richiesto alla Corte non
tiene conto dell’ampia autonomia normativa riconosciuta alla Cassa dal
legislatore nazionale, il quale, in ottemperanza al principio
dell’autofinanziamento che sorregge il sistema di previdenza dei
liberi professionisti, consente alle relative Casse di previdenza di
derogare alle stesse fonti legislative al fine di garantire,
nell’equilibrio dei rispettivi bilanci, la regolare erogazione delle
prestazioni previdenziali ai loro iscritti.
Tali prestazioni
potrebbero essere pregiudicate in caso di accoglimento della questione
sollevata, poiché la Cassa sarebbe obbligata ad indennizzare, nella
medesima misura prevista per le sole professioniste, anche i padri e
ciò indipendentemente dalla scelta dei genitori riguardo alle esigenze
concrete del minore, ma per meri interessi economici; problema
quest’ultimo che potrebbe essere risolto esclusivamente mediante un
apposito intervento legislativo.
La Cassa
nazionale di previdenza e assistenza forense, infine, nel ribadire, da
un lato, che la situazione dei genitori naturali non è assimilabile a
quella dei genitori in caso di affidamento preadottivo, fattispecie
quest’ultima oggetto della sentenza n. 385 del 2005 e, dall’altro, che
la posizione del padre naturale non è uguale a quella della madre
naturale, osserva che l’accoglimento della questione darebbe luogo ad
una disparità di trattamento tra il padre libero professionista e il
padre che svolge un lavoro dipendente. Infatti, mentre a quest’ultimo
è riconosciuto il congedo per paternità e la conseguente indennità,
solo nei casi tassativamente previsti dall’art. 28 del d.lgs. n. 151
del 2001 (morte o grave infermità della madre; abbandono da parte
della stessa), l’attribuzione di analogo diritto al padre libero
professionista avverrebbe sulla base di una semplice richiesta.
2. – La Corte
d’appello di Venezia, con ordinanza emessa il 28 maggio 2009, ha
sollevato, in termini sostanzialmente analoghi a quelli espressi dalla
Corte d’appello di Firenze, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, in riferimento agli artt. 3,
29, secondo comma, 30, primo comma, e 31 della Costituzione.
In punto di
fatto, la Corte rimettente riferisce di essere investita dell’appello
proposto da M.B. avverso la sentenza del Tribunale di Rovigo, con la
quale era stato negato al ricorrente, padre libero professionista, il
diritto di beneficiare, in alternativa alla madre, dell’indennità di
maternità prevista dal citato art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001.
La rimettente,
pur affermando di non poter fare applicazione della sentenza n. 385
del 2005, in quanto avente ad oggetto il caso dell’affidamento
preadottivo e, quindi, una fattispecie diversa da quella oggetto del
giudizio principale, ritiene, tuttavia, che alcuni principi da essa
contemplati – tutela dell’interesse del minore ed equiparazione delle
situazioni dei genitori – inducano a dubitare della legittimità
costituzionale della norma impugnata.
In proposito, la
Corte d’appello di Venezia riporta la giurisprudenza costituzionale
che ha esteso al padre lavoratore, in ragione del superiore interesse
del bambino, i diritti riconosciuti alla madre lavoratrice e che, con
riguardo all’indennità di maternità, ne ha individuato il duplice
obiettivo di assicurare, da un lato, la tutela della salute della
madre e del nascituro e, dall’altro, un reddito idoneo al fine di
evitare che alla maternità si colleghino stati di bisogno.
Alla luce di tali
premesse l’art. 70 censurato, nel riconoscere il diritto di percepire
l’indennità di maternità alla sola madre libera professionista, pone
una limitazione alla tutela del superiore interesse del bambino, in
quanto non consente ai genitori di effettuare quelle scelte familiari
– tra le quali rientra quella di stabilire chi tra il padre e la madre
debba assentarsi dal lavoro in occasione della nascita – tese a
garantire la migliore cura e assistenza della prole.
In particolare,
la norma censurata violerebbe, secondo la rimettente, «l’art. 29,
comma 2, che afferma il principio di uguaglianza tra coniugi anche in
relazione ai compiti di cui all’art. 30, comma 1, 31, che pone la
tutela della famiglia e del minore come compito fondamentale
dell’ordinamento, e 3 della Costituzione, che afferma il principio di
parità di trattamento, nella parte in cui viene affermata
l’ingiustificata disparità di trattamento tra madre e padre liberi
professionisti».
Sotto il profilo
della rilevanza, la Corte d’appello si richiama «alle conclusioni
svolte in via principale dal ricorrente appellante» e precisa che
l’impossibilità di una interpretazione costituzionalmente adeguatrice
della norma impugnata, impone una pronuncia della Corte
costituzionale.
2.1. – Si è
costituita in giudizio la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
inammissibile o, comunque, infondata.
Quanto
all’inammissibilità, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense rileva che la Corte d’appello rimettente chiede una pronuncia
additiva che esula dalle competenze della Corte in una materia
riservata alla discrezionalità del legislatore e, altresì, eccepisce
il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questione di
legittimità costituzionale, in quanto il rimettente, limitandosi «a
dar conto delle ragioni per le quali non è possibile concedere
l’indennità richiesta sulla base di una mera “interpretazione
adeguatrice”», non ha esplicitato in quale misura la pronuncia della
Corte «potrebbe indirizzarsi nella direzione desiderata dal Collegio
rimettente».
Nel merito, la
parte privata osserva che le posizioni rispettive del padre naturale
professionista e della madre naturale professionista non sono
coincidenti, posto che l’indennità di maternità è finalizzata a
colmare la diminuzione del reddito sia nel periodo successivo al parto
sia nel corso della gravidanza. Periodo quest’ultimo in cui, precisa
ancora la parte interveniente, «la posizione del padre non può
certamente essere considerata equivalente a quella della madre».
2.2. – In
prossimità dell’udienza, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense ha depositato una memoria con la quale, nell’insistere nella
richiesta di una pronuncia di inammissibilità o infondatezza della
questione sollevata dalla Corte d’appello di Venezia, ha proposto
motivazioni sostanzialmente identiche a quelle contenute nella memoria
relativa al giudizio iscritto al n. R.O. n. 240 del 2009.
Considerato in
diritto
1. – La Corte
d’appello di Firenze e la Corte d’appello di Venezia dubitano, in
riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31
della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 70 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della L. 8 marzo
2000, n. 53).
Le Corti
rimettenti denunciano l’art. 70 nella parte in cui esso, nel fare
esclusivo riferimento alle «libere professioniste», non prevede il
diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa
alla madre biologica, l’indennità di maternità.
In particolare,
ad avviso della Corte d’appello di Firenze la mancata possibilità per
il padre libero professionista di usufruire dell’indennità di cui
all’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, in alternativa alla madre,
porrebbe in essere una disparità di trattamento fra i genitori, con
conseguente limitazione della tutela del preminente interesse del
minore. La norma impugnata, infatti, nell’impedire ai coniugi di
valutare chi, assentandosi dal lavoro, meglio soddisfi le esigenze di
tutela della prole, sia pure sotto un profilo economico, produrrebbe
l’effetto di comprimere quei diritti che gli artt. 29 e 31 della
Costituzione riconoscono alla famiglia anche al fine di agevolarne la
formazione.
La rimettente
osserva, poi, che la disciplina impugnata violerebbe, altresì, il
principio di uguaglianza, in quanto la indicata indennità è
riconosciuta al padre, in ragione del suo diritto di partecipare alla
vita familiare in egual misura rispetto alla madre, sia nel caso di
adozione o affidamento (sentenza n. 385 del 2005), sia in quello in
cui egli svolga un’attività di lavoro dipendente (art. 28 d.lgs. n.
151 del 2001).
Quanto alla Corte
d’appello di Venezia, essa ritiene che l’art. 70 del d.lgs. n. 151 del
2001, nel limitare il diritto di percepire l’indennità di maternità
alla sola madre, si porrebbe in contrasto proprio con la sopra
indicata possibilità di scelta e, dunque, con l’art. 29, secondo
comma, della Costituzione, che afferma il principio di uguaglianza tra
coniugi anche in relazione ai compiti di cui all’art. 30, primo comma,
della Costituzione.
Inoltre, sarebbe
anche violato l’art. 31 della Costituzione, che pone la tutela della
famiglia e del minore come compito fondamentale dell’ordinamento,
nonché l’art. 3 della Costituzione, che afferma il principio di parità
di trattamento, in quanto la norma impugnata porrebbe in essere una
ingiustificata disparità di trattamento tra madre e padre liberi
professionisti.
2. – Le due
ordinanze di rimessione propongono analoghe questioni, onde i relativi
giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.
2.1. – La
questione sollevata dalla Corte d’appello di Venezia è inammissibile.
La rimettente,
infatti, in punto di rilevanza si è limitata ad affermare che «la
questione di costituzionalità risulta pure rilevante, con riferimento
alle conclusioni svolte in via principale dal ricorrente appellante».
Il mero richiamo
alle argomentazioni prospettate dalle parti nel processo principale
rende l’ordinanza di rimessione priva del requisito
dell’autosufficienza, dovendo il giudice esplicitare le ragioni che lo
portano a dubitare della costituzionalità della norma censurata in
modo tale da permettere alla Corte di verificare la sussistenza del
requisito della rilevanza, non potendosi supplire a tale carenza per
mezzo del riferimento sopra indicato.
2.2. – La
questione sollevata dalla Corte d’appello di Firenze non è fondata.
La rimettente
basa il proprio dubbio di costituzionalità sul presupposto che l’art.
70 del d.lgs. n. 151 del 2001, non consentendo al padre libero
professionista di usufruire, al posto della madre, della indennità di
maternità, non tiene conto del principio secondo cui, in ragione del
preminente interesse del bambino, i genitori devono godere di analoghe
tutele in ambito lavorativo e, in particolare, del fatto che il
suddetto beneficio è riconosciuto al padre adottivo, libero
professionista, per effetto della sentenza n. 385 del 2005 di questa
Corte, e al padre lavoratore subordinato, in applicazione dell’art. 28
del d.lgs. n. 151 del 2001.
Tale questione
non tiene conto che le situazioni poste a raffronto sono tra loro
differenti, pur essendo esse accomunate dalla finalità di protezione
del minore.
Occorre a tal
fine rilevare che la tutela della maternità e della paternità è frutto
di un’evoluzione normativa – legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni
per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla
cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città);
legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e
donne in materia di lavoro); legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela
delle lavoratrici madri) – che trova oggi la sua sintesi nel d.lgs. n.
151 del 2001.
Il legislatore
con quest’ultimo testo normativo ha voluto disciplinare i diversi
istituti posti a fondamento della sopra indicata tutela (congedi,
riposi, permessi), valorizzando l’uguaglianza tra i coniugi e tra le
varie categorie di lavoratori, nonché tra genitorialità biologica e
adottiva, al fine di apprestare la migliore tutela all’interesse
preminente del bambino.
Sul punto
assumono rilevanza le norme che riconoscono in condizione di parità,
al padre e alla madre, indipendentemente dall’essere genitori naturali
o adottivi, il congedo parentale (artt. 32 e 36 d.lgs. n. 151 del
2001) e i riposi giornalieri (artt. 39, 40 e 45 del d.lgs. n. 151 del
2001). A questa evoluzione normativa ha contribuito in modo
significativo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 371 del
2003, n. 197 del 2002, n. 405 del 2001).
Dall’esame della
legislazione e della giurisprudenza richiamate si evince che
l’uguaglianza tra i genitori è riferita a istituti in cui l’interesse
del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente, e,
quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre
risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche
discipline. Diversamente, le norme poste direttamente a protezione
della filiazione biologica, oltre ad essere finalizzate alla
protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute
della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando,
quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di
quest’ultima non è assimilabile a quella del padre.
Sul punto
appaiono significativi gli artt. 16 e 28 del d.lgs. n. 151 del 2001.
L’art. 16, nel
disciplinare il congedo di maternità, stabilisce che la donna
lavoratrice dipendente non può essere adibita al lavoro nei due mesi
antecedenti al parto e nei successivi tre. L’art. 28 prevede poi che
«Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la
durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe
spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della
madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del
bambino al padre».
Al suddetto
periodo è ricollegato il godimento dell’indennità di maternità pari
all’80 per cento della retribuzione (art. 22 del d.lgs. n. 151 del
2001).
Dalla lettura
dell’art. 28 risulta evidente che la posizione del padre naturale
dipendente non è, come invece erroneamente sostenuto dalla Corte
rimettente, assimilabile a quella della madre, potendo il primo godere
del periodo di astensione dal lavoro e della relativa indennità solo
in casi eccezionali e ciò proprio in ragione della diversa posizione
che il padre e la madre rivestono in relazione alla filiazione
biologica.
Nel caso di
specie, alla tutela del nascituro si accompagna, appunto, quella della
salute della madre, alla quale è finalizzato il riconoscimento del
congedo obbligatorio e della collegata indennità.
In proposito va
rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 1 del 1987, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n.
903 del 1977 nella parte in cui non prevedeva che il diritto
all’astensione dal lavoro, riconosciuto alla sola madre lavoratrice,
fosse attribuito anche al padre lavoratore ove l’assistenza della
madre al minore fosse divenuta impossibile per decesso o grave
infermità.
Alla suddetta
pronuncia di incostituzionalità la Corte è giunta dopo aver affermato
che il fine perseguito dal legislatore mediante l’istituto
dell’astensione obbligatoria è quello di tutelare la salute della
donna nel periodo immediatamente precedente e successivo al parto,
tenendo conto anche delle esigenze relazionali e affettive del figlio
in tale periodo. Pertanto, la Corte ha ritenuto irragionevole non
estendere al padre il diritto all’astensione obbligatoria e,
conseguentemente, all’indennità di maternità ad essa collegata, nei
casi in cui la tutela della madre non sia possibile a seguito di morte
o di grave impedimento della stessa, e ciò in quanto in simili ipotesi
gli interessi che l’istituto dell’astensione obbligatoria può tutelare
sono solo quelli del minore ed è quindi rispetto a questi che esso
deve rivolgersi in via esclusiva.
Tali condizioni
non ricorrono evidentemente nel caso di specie.
per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i
giudizi,
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della L. 8 marzo
2000, n. 53), sollevata dalla Corte d’appello di Venezia, in
riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31
della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 del
d.lgs. n. 151 del 2001, sollevata dalla Corte d’appello di Firenze, in
riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 20 luglio 2010.
F.to:
Francesco
AMIRANTE, Presidente
Maria Rita
SAULLE, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 28 luglio 2010.
Il Direttore
della Cancelleria
F.to: DI PAOLA |