Consulta: part-time verticale e indennità di disoccupazione
Con sentenza n. 121 del 24 marzo 2006, la Corte Costituzionale ha affermato la costituzionalità della interpretazione secondo la quale non spetta l'indennità di disoccupazione per i periodi di non lavoro al dipendente con rapporto a tempo parziale di tipo verticale. Tale interpretazione è conferme ad un precedente orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione e ad un indirizzo già seguito in materia dall'INPS.
ANNO 2006 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai Signori: - Annibale MARINI Presidente - Franco BILE Giudice - Giovanni Maria FLICK " - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Romano VACCARELLA " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso Quaranta " - Franco GALLO " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 45, terzo comma, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, promosso con ordinanza dell'11 agosto 2003 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Antonella Corsi e l'Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), iscritta al n. 1186 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2004. Visti gli atti di costituzione di Antonella Corsi, dell'INPS, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Franco Bile; uditi gli avvocati Giuseppe Sante Assennato e Vittorio Angiolini per Antonella Corsi, Giuseppe Fabiani per l'INPS e l'avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto 1. – Il Tribunale di Roma, con ordinanza 11 agosto 2003, ha proposto la questione di costituzionalità dell'art. 45, terzo comma, del regio decreto legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, secondo cui «l'assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l'assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro». La norma è impugnata nella parte in cui, nell'interpretazione della Corte di cassazione, «non contempla tra i lavoratori disoccupati involontari aventi diritto, alle altre condizioni di legge, all'indennità di disoccupazione ordinaria, i lavoratori occupati con contratto a tempo parziale verticale su base annua ultrasemestrale che abbiano chiesto di essere tenuti iscritti nelle liste di collocamento per i periodi di inattività». L'ordinanza è stata resa nel giudizio proposto da una lavoratrice a tempo parziale verticale (che nel 1999 aveva lavorato in una mensa scolastica nei mesi di apertura della scuola, ossia da gennaio a giugno e da settembre a dicembre) per ottenere dall'INPS l'indennità di disoccupazione per il periodo di inattività, che l'INPS contestava ritenendo la disoccupazione non “involontaria”. Il Tribunale richiama anzitutto il “diritto vivente”, sorto sulla base della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 1732 del 2003) secondo la quale la libera accettazione, da parte del lavoratore, del tempo parziale verticale su base annua esclude che per i periodi di sospensione dell'attività lavorativa possa ravvisarsi disoccupazione involontaria. E ne ricava l'impossibilità di dare della norma impugnata una lettura diversa. Ma – a suo avviso – la norma, così interpretata, viola l'art. 3 della Costituzione per irragionevole disparità fra il trattamento da essa riservato ai lavoratori a tempo parziale annuo e quello dei lavoratori stagionali e degli altri assicurati contro la disoccupazione involontaria; e l'art. 38, secondo comma, Cost., che garantisce la tutela del disoccupato anche se la sospensione del lavoro sia prevista, voluta e programmata in relazione al tipo di rapporto instaurato. A sostegno della non manifesta infondatezza della questione il Tribunale ricorda che la Corte costituzionale (sentenza n. 160 del 1974) ha dichiarato non fondata, «nei sensi di cui in motivazione», la questione di costituzionalità dell'art. 76 del r.d.l. n. 1827 del 1935, affermando che i soggetti rimasti privi di lavoro nei periodi di sosta del lavoro stagionale hanno diritto all'indennità di disoccupazione, purché chiedano l'iscrizione nelle liste di collocamento per altre occupazioni; ed ha, poi (sentenza n. 132 del 1991), esteso per analogia tali conclusioni al lavoro a tempo parziale annuo, dichiarando incostituzionale l'art. 17, comma secondo, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui escludeva, in alcune ipotesi, per le lavoratrici assunte con tale tipo di contratto, il diritto all'indennità giornaliera di maternità, che avrebbe dovuto sostituire quella di disoccupazione. 2. – La parte privata si è costituita, riservandosi di depositare memoria. Anche l'INPS si è costituito, rilevando che il Tribunale avrebbe dovuto censurare le norme del Capo VI, Sezione III, del r.d.l. n. 1827 del 1935, e non l'art. 45, che non individua direttamente i tipi di lavoro subordinato cui possa conseguire uno stato di disoccupazione involontaria; e, nel merito, ricordando che la giurisprudenza di legittimità ha già dichiarato la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata. Prima dell'udienza dell'8 febbraio 2005 la parte privata ha depositato una memoria. 3. – A seguito di tale udienza la Corte, con ordinanza istruttoria del 3 marzo 2005, ha richiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri la documentazione e i dati relativi: al numero delle controversie promosse nei confronti dell'INPS da lavoratori occupati con contratti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua (previsti dall'art. 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 recante «Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali», convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863), per richiedere il pagamento dell'indennità di disoccupazione per i periodi di mancato espletamento della prestazione lavorativa; al numero di lavoratori che potrebbero richiedere tale indennità; al presumibile importo dell'onere aggiuntivo per l'INPS per l'eventuale pagamento dell'indennità di disoccupazione nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, per i periodi di mancato espletamento della prestazione lavorativa. Acquisita tale documentazione – comunicata dall'INPS alla Presidenza del Consiglio dei ministri e da questa trasmesso alla Corte con nota del 24 giugno 2005 – la questione è stata chiamata all'udienza odierna, in prossimità della quale la parte privata ha depositato una nuova memoria.
Considerato in diritto 1. – E' sottoposta alla Corte la questione di costituzionalità dell'art. 45, terzo comma, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, secondo cui «l'assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l'assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro». Il giudice rimettente ritiene che la norma violi gli artt. 3 e 38 della Costituzione nella parte in cui, nell'interpretazione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, «non contempla tra i lavoratori disoccupati involontari aventi diritto, alle altre condizioni di legge, all'indennità di disoccupazione ordinaria, i lavoratori occupati con contratto a tempo parziale verticale su base annua ultrasemestrale che abbiano chiesto di essere tenuti iscritti nelle liste di collocamento per i periodi di inattività». 2. – L'INPS ha eccepito l'inammissibilità della questione di costituzionalità, sotto il profilo che il rimettente avrebbe dovuto censurare le norme del Capo VI, Sezione III, del r.d.l. n. 1827 del 1935, in particolare l'art. 76, piuttosto che l'art. 45, norma di valenza generale, che non individua direttamente i lavoratori assistibili e le tipologie di lavoro subordinato alla cui cessazione possa conseguire uno stato di disoccupazione involontaria. L'eccezione è infondata. Il rimettente dichiara di censurare la «norma» che (secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione) non ravvisa «disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro» nel caso del lavoratore a tempo parziale verticale ultrasemestrale su base annua che abbia chiesto di rimanere iscritto, per il periodo di inattività, nelle liste di collocamento; e individua tale norma nell'art. 45, comma terzo, del r.d.l. n. 1827 del 1935. Pertanto l'atto avente forza di legge impugnato è sufficientemente identificato; e la sua collocazione nella disposizione dell'art. 45, comma terzo, del r.d.l. n. 1827 del 1935 non è implausibile, poiché proprio tale comma enuncia il requisito dell'involontarietà dello stato di disoccupazione. 3. – Nel merito la questione non è fondata. 4. – L'art. 45 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel fissare l'oggetto delle assicurazioni obbligatorie, stabilisce, al comma terzo, che «l'assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l'assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro». Il successivo art. 73 precisa che la prestazione consiste in un'indennità giornaliera di un dato ammontare, e ribadisce che il diritto sorge «in caso di disoccupazione involontaria». Dal suo canto l'art. 76 dello stesso regio decreto-legge n. 1827 esclude, al primo comma, la spettanza dell'indennità in due casi di lavorazioni intermittenti, caratterizzate dall'alternanza di periodi di attività lavorativa e periodi di inattività: «la disoccupazione nei periodi di stagione morta, per le lavorazioni soggette a disoccupazione stagionale, e quella relativa a periodi di sosta, per le lavorazioni soggette a normali periodi di sospensione». La portata della norma è stata innovata radicalmente dalla sentenza di questa Corte n. 160 del 1974, che ha dichiarato non fondata «nei sensi di cui in motivazione» la questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 1, ritenendo che in base ad esso «il lavoratore, rimasto privo di lavoro durante tale periodo [di sosta], può senz'altro acquisire il diritto all'indennità di disoccupazione» purché «chieda la iscrizione nelle liste di collocamento per altre occupazioni». L'interpretazione adeguatrice della Corte si fonda sull'affermazione che nel lavoro stagionale la prevedibilità del rischio di disoccupazione, fisiologico per la naturale alternanza di periodi di attività produttiva e periodi di sosta, non basta a rendere la disoccupazione volontaria. La Corte è poi tornata sul tema con la sentenza n. 132 del 1991, dopo che l'art. 5 del decreto-legge n. 726 del 1984 aveva introdotto la figura del lavoro a tempo parziale. La sentenza – nel dichiarare parzialmente incostituzionale l'art. 17, comma secondo, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri, con particolare riguardo a quelle assunte con rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua – in motivazione ha richiamato la sentenza n. 160 del 1974, ponendo in rilievo che essa si era occupata della disoccupazione conseguente al periodo di sosta nei rapporti di lavoro stagionali, definiti «analoghi a quello qui considerato». La giurisprudenza della Corte di cassazione in un primo momento ha ritenuto che il lavoratore a tempo parziale annuo abbia diritto all'indennità di disoccupazione per i periodi di sospensione della sua prestazione tra una fase di lavoro e l'altra, purché per tali periodi risulti iscritto nelle liste di collocamento. Ma in seguito è sorto sul punto un contrasto composto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1732 del 2003. La sentenza ha affermato che l'indennità di disoccupazione non spetta in nessun caso di lavoro a tempo parziale su base annua, in quanto – da un lato – la stipula di un tale contratto «dipende dalla libera volontà del lavoratore contraente e perciò non dà luogo a disoccupazione involontaria indennizzabile nei periodi di pausa» e – dall'altro – questa conclusione non contraddice la disciplina della disoccupazione involontaria per i lavori stagionali, che non può essere estesa in via analogica ai lavori a tempo parziale su base annua. 5. - Il giudice rimettente – partendo da tale sentenza – ritiene impossibile sottoporre a interpretazione adeguatrice una norma di cui le Sezioni Unite hanno dato un'interpretazione divenuta poi “diritto vivente”. Ma, a suo avviso, questa interpretazione è contraria alla giurisprudenza costituzionale, in particolare in quanto la scelta del lavoratore di accettare, «liberamente e volontariamente», un lavoro a tempo parziale verticale annuo non è indice di volontarietà della condizione di non occupazione per il periodo contrattuale di inattività, più di quanto non lo sia, di per sé, l'accettazione del lavoro stagionale cui si è riferita la sentenza di questa Corte n. 160 del 1974; ed in quanto l'estensione analogica della disciplina del lavoro stagionale a quello a tempo parziale, rifiutata dalle Sezioni Unite, è stata invece ammessa dalla citata sentenza n. 132 del 1991. Ne consegue, secondo il rimettente, la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento dei lavoratori a tempo parziale verticale rispetto ai lavoratori stagionali e agli altri lavoratori fruenti dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria; e dell'art. 38, comma secondo, della Costituzione che garantisce una qualche tutela al disoccupato involontario pur se la sospensione del lavoro sia prevista, voluta e programmata in relazione al tipo di rapporto instaurato, quando ciò derivi dalle condizioni del mercato del lavoro. 6. – La prima delle citate decisioni (sentenza n. 160 del 1974) ha fornito un'interpretazione adeguatrice dell'art. 76 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel senso che nel lavoro stagionale l'indennità di disoccupazione spetta nei periodi di “stagione morta”, ed ha così attratto questo tipo di lavoro nella regola generale secondo cui la disoccupazione involontaria comporta il diritto alla relativa indennità. Ma rispetto al lavoro stagionale (soggetto a tale regola) il tipo contrattuale del tempo parziale verticale presenta sicuri elementi di differenziazione. In particolare, nel lavoro stagionale il rapporto cessa a “fine stagione”, sia pure in vista di una probabile nuova assunzione stagionale; nel lavoro a tempo parziale verticale invece il rapporto “prosegue” anche durante il periodo di sosta, pur con la sospensione delle corrispettive prestazioni, in attesa dell'inizio della nuova fase lavorativa. Pertanto il lavoratore stagionale non può contare sulla retribuzione derivante dall'eventuale nuovo contratto, mentre il lavoratore a tempo parziale può fare affidamento sulla retribuzione per il lavoro che presterà dopo il periodo di pausa. L'esclusione del diritto all'indennità di disoccupazione per i periodi di mancata prestazione dell'attività lavorativa nei rapporti di lavoro a tempo parziale verticale su base annua non viola quindi l'art. 3 della Costituzione, per le differenze esistenti tra le due situazioni poste a confronto. Né viola l'art. 38 Cost., perché nel tempo parziale verticale il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta, assicurando al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale (integrativa della retribuzione) nei periodi di pausa della prestazione. 7. – Questa conclusione non trova ostacoli nella sentenza n. 132 del 1991. Con essa la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 17, comma secondo, della legge n. 1204 del 1971, sul diritto delle lavoratrici all'indennità giornaliera di maternità, «nella parte in cui, per le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, allorquando il periodo di astensione obbligatoria abbia inizio più di 60 giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro, esclude il diritto all'indennità giornaliera di maternità, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell'attività lavorativa». Questa esclusione comportava, per la Corte, «una palese incoerenza, tale da determinare un'ingiustificabile disparità di trattamento» lesiva dell'art. 3 della Costituzione, in quanto «la lavoratrice, per effetto della maternità, viene a perdere una retribuzione di cui avrebbe certamente – e non solo probabilmente – goduto se non si fosse dovuta astenere dal lavoro in ragione del suo stato». Tale motivazione sorregge compiutamente ed esaustivamente la dichiarazione di incostituzionalità della norma, onde il successivo richiamo al lavoro stagionale considerato dalla sentenza del 1974, ed al suo carattere “analogo” rispetto al lavoro a tempo parziale verticale su base annua, è del tutto estraneo alle ragioni che hanno condotto alla decisione. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, terzo comma, regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2006. F.to: Annibale MARINI, Presidente Franco BILE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2006. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA
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