Svolgimento del processo
Con la sentenza di
cui in epigrafe, e qui impugnata, il Tribunale di Reggio Calabria in sede
di appello cosi si pronunciava "accoglie
parzialmente l'appello proposto dalla C. s.r.l. contro C. F., avverso la
sentenza emessa dal Pretore di Reggio Calabria il 13 novembre 1998 e per
l'effetto, rigetta l'originaria domanda proposta dal C., e conferma nel
resto l'impugnata sentenza". Il primo giudice, a sua volta, aveva
accolto la domanda proposta dal C. e aveva condannato la C. al pagamento
in suo favore della somma di lire 1.502.000, ed aveva rigettato la domanda
riconvenzionale della società diretta alla restituzione da parte del
lavoratore della somma di lire 10.553.657, oltre al risarcimento del
danno, il tutto per retribuzioni non dovute nel periodo di impossibilità
della prestazione di lavoro di guardia giurata per effetto di sospensione
e ritiro del porto d'armi da parte dell'Autorità amministrativa.
Osservava il
Tribunale per quanto ancora sub iudice:
il C. aveva richiesto la integrazione di competenze retributive (14^
mensilità 1992 e stipendio gennaio 1993) afferenti il periodo di revoca
del porto d'armi di cui al provvedimento prefettizio del 29 maggio 1992, a
sua volta revocato con rilascio di nuova concessione del 26 gennaio 1993;
il citato provvedimento amministrativo doveva considerarsi causa di
sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa; la revoca del
porto d'armi si era inserita nell'ordine di reintegra nel posto di lavoro,
adottato in giudizio precedente per tutt'altra vicenda di licenziamento
dichiarato illegittimo, come fattispecie causale autonoma; non era,
pertanto, condivisibile l'assunto di un obbligo retributivo per
assoggettamento a tale ordine; irrilevante era stata la offerta
disponibilità del lavoratore all'assunzione di mansioni diverse, peraltro
formulata in ritardo, e comunque non corrispondente ad un obbligo in tal
senso della società, ed irrilevante doveva considerarsi la decisione della
società di mantenere in servizio il dipendente, nonostante la revoca del
porto d'armi, in considerazione del difetto a monte, comunque del
sinallagma contrattuale; le erogazioni effettuate dalla società nel
periodo di revoca del porto d'armi erano frutto di transazione intercorsa
tra le parti.
Ricorre per
l'annullamento della sentenza del Tribunale di Reggio Calabria C. di F.
affidandosi a due motivi di censura.
La C. s.r.l. non si è
costituita.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso C. F. denunzia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2099, primo comma, 2119 e 2908 c.c., 18 della
legge n. 300 del 1970 e 431 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, il
tutto in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c..
Si deduce in ricorso,
in sintesi, che la scelta del datore di lavoro di mantenere il lavoratore
in servizio nonostante la impossibilità della prestazione non lo
autorizzava a disporre unilateralmente della retribuzione base dovuta al
lavoratore a seguito della ricostituzione del rapporto di lavoro
giudizialmente adottata.
Con il secondo motivo
di ricorso C. F. denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art.
360, n, 5, c.p.c..
Si deduce in ricorso,
in sintesi, che la sentenza impugnata non aveva tenuto in debito conto
l'avvenuta reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e quindi la
messa a disposizione del datore di lavoro delle sue energie lavorative,
l'assenza di un qualsiasi provvedimento di sospensione, neanche
temporaneo, da parte della società per effetto del ritiro del porto
d'armi, e la scelta del datore di lavoro di non adibire il lavoratore ad
altre e diverse mansioni, D'altra parte, si sostiene ancora, oggetto della
vertenza erano solo le differenze retributive maturate per effetto della
semplice sussistenza del rapporto di lavoro.
I motivi, da
trattarsi congiuntamente per evidente connessione fra essi, sono fondati.
La sentenza impugnata
premette che le richieste economiche del C. afferivano a differenze
retributive (14^ mensilità del 1992 e mensilità del gennaio 1993)
ricadenti nel periodo di momentanea revoca del porto d'armi da parte
dell'autorità amministrativa (29 maggio 1992-20 gennaio 1993), e che nel
medesimo periodo "è ricaduta l'efficacia
dell'ordine di reintegrazione di cui alla sentenza pretorile" "emessa per
tutt'altra vicenda" e "concernente
un Iicenziamento ritenuto illegittimo". Su tali dati, e in
considerazione dell'attività di guardia giurata svolta dal lavoratore, il
giudice di appello nega i diritti rivendicati dal lavoratore sul
presupposto che sarebbe intervenuta una ipotesi di impossibilità della
prestazione lavorativa inseritasi come fattispecie causale autonoma,
ritenuta a sua volta "addirittura idonea
a giustificare un nuovo e diverso licenziamento del ricorrente perché
impossibilitato a svolgere le mansioni per cui era stato assunto".
Donde, e nonostante il mantenimento in servizio del lavoratore da parte
della società, la legittimità delle decurtazioni retributive
"per difetto di sinalIagmaticità",
tenuto anche conto che la società "sulla
scorta degli atti e in difetto di prova contraria" doveva ritenersi
impossibilitata a "beneficiare delle
prestazioni del dipendente, che non era tenuta a retribuire".
La motivazione della
sentenza, proprio "sulla scorta degli
atti", appare evidentemente lacunosa. Sebbene non risultino in
alcun modo indicati il momento (formale) della reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro, in esecuzione dell'ordine pretorile, né
se, e con quali modalità, tale reintegrazione sia anche di fatto avvenuta,
il dato fattuale non è affatto valutato dal giudice di merito, nonostante
esso costituisca espressa manifestazione della volontà societaria di
riammettere in servizio il lavoratore con la conseguente e implicita
accettazione di ogni obbligo derivante dal ricostituito rapporto di
lavoro. Né tale accettazione risulta in qualche modo posta in discussione
da un qualche provvedimento (sospensione, nuovo licenziamento o altro)
idoneo in tal senso, ed anzi, risulta, per una asserita intervenuta
transazione - di cui, peraltro, non si indicano modalità e contenuto - che
l'accettazione, da parte della società, degli obblighi derivanti dalla
reintegrazione, è anche confermata dal pagamento delle retribuzioni con le
sole e limitatissime limitazioni costituite dai crediti azionati (parte
della 14^ mensilità e retribuzione del mese di gennaio 1993).
E' opportuno
richiamare, a questo punto, il principio già formulato dalla Corte in
situazione analoga, ancorché con riferimento a licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, ma indicativo anche per il profilo
dell'onere probatorio, secondo cui "il
provvedimento di ritiro del porto d'armi, emesso nei confronti di
lavoratore svolgente mansioni di guardia particolare giurata, può
autorizzare il datore di lavoro al licenziamento, per giustificato motivo
oggettivo, ove dimostri che la prestazione è divenuta totalmente
impossibile, occupando egli solo lavoratori addetti all'attività di
guardia particolare giurata, oppure, ove lo stesso datore occupi anche
personale non richiedenti alcun titolo di polizia, che egli non ha un
interesse apprezzabile alla prosecuzione del rapporto, intendendosi tale
"apprezzamento, ai sensi dell'art. 3 legge n. 604 del 1966, alla stregua
delle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del
lavoro e al regolare funzionamento di essa" (Cass. 24 ottobre 2000,
n. 13986).
La carenza della
sentenza impugnata sul punto, per nulla contenuta dalla mera
considerazione che la intervenuta mancanza del porto d'armi senz'altri
elementi probatori, costituisse, da sola, impossibilità per il lavoratore
di una qualsiasi prestazione lavorativa nell'ambito del ricostituito
rapporto di lavoro, rende la medesima decisione meritevole della censura
prospettata.
In rapporto ad essa,
in accoglimento del ricorso in esame, la sentenza impugnata va annullata,
con rinvio ad altro giudice di merito, che si designa nella Corte di
Appello di Reggio Calabria, che provvederà anche al regolamento delle
spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche
per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Reggio
Calabria. |