Guardia giurata: il ritiro del porto d'armi può causare il licenziamento

 

La Cassazione, con sentenza n. 21672 dell'8 novembre 2005, ha affermato che  provvedimento di ritiro del porto d'armi, emesso nei confronti di lavoratore svolgente mansioni di guardia particolare giurata, può autorizzare il datore di lavoro al licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, ove dimostri che la prestazione è divenuta totalmente impossibile.

Di seguito viene riportata integralmente la sentenza:

 

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, e qui impugnata, il Tribunale di Reggio Calabria in sede di appello cosi si pronunciava "accoglie parzialmente l'appello proposto dalla C. s.r.l. contro C. F., avverso la sentenza emessa dal Pretore di Reggio Calabria il 13 novembre 1998 e per l'effetto, rigetta l'originaria domanda proposta dal C., e conferma nel resto l'impugnata sentenza". Il primo giudice, a sua volta, aveva accolto la domanda proposta dal C. e aveva condannato la C. al pagamento in suo favore della somma di lire 1.502.000, ed aveva rigettato la domanda riconvenzionale della società diretta alla restituzione da parte del lavoratore della somma di lire 10.553.657, oltre al risarcimento del danno, il tutto per retribuzioni non dovute nel periodo di impossibilità della prestazione di lavoro di guardia giurata per effetto di sospensione e ritiro del porto d'armi da parte dell'Autorità amministrativa.

Osservava il Tribunale per quanto ancora sub iudice: il C. aveva richiesto la integrazione di competenze retributive (14^ mensilità 1992 e stipendio gennaio 1993) afferenti il periodo di revoca del porto d'armi di cui al provvedimento prefettizio del 29 maggio 1992, a sua volta revocato con rilascio di nuova concessione del 26 gennaio 1993; il citato provvedimento amministrativo doveva considerarsi causa di sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa; la revoca del porto d'armi si era inserita nell'ordine di reintegra nel posto di lavoro, adottato in giudizio precedente per tutt'altra vicenda di licenziamento dichiarato illegittimo, come fattispecie causale autonoma; non era, pertanto, condivisibile l'assunto di un obbligo retributivo per assoggettamento a tale ordine; irrilevante era stata la offerta disponibilità del lavoratore all'assunzione di mansioni diverse, peraltro formulata in ritardo, e comunque non corrispondente ad un obbligo in tal senso della società, ed irrilevante doveva considerarsi la decisione della società di mantenere in servizio il dipendente, nonostante la revoca del porto d'armi, in considerazione del difetto a monte, comunque del sinallagma contrattuale; le erogazioni effettuate dalla società nel periodo di revoca del porto d'armi erano frutto di transazione intercorsa tra le parti.

Ricorre per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Reggio Calabria C. di F. affidandosi a due motivi di censura.

La C. s.r.l. non si è costituita.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso C. F. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2099, primo comma, 2119 e 2908 c.c., 18 della legge n. 300 del 1970 e 431 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c..

Si deduce in ricorso, in sintesi, che la scelta del datore di lavoro di mantenere il lavoratore in servizio nonostante la impossibilità della prestazione non lo autorizzava a disporre unilateralmente della retribuzione base dovuta al lavoratore a seguito della ricostituzione del rapporto di lavoro giudizialmente adottata.

Con il secondo motivo di ricorso C. F. denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n, 5, c.p.c..

Si deduce in ricorso, in sintesi, che la sentenza impugnata non aveva tenuto in debito conto l'avvenuta reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e quindi la messa a disposizione del datore di lavoro delle sue energie lavorative, l'assenza di un qualsiasi provvedimento di sospensione, neanche temporaneo, da parte della società per effetto del ritiro del porto d'armi, e la scelta del datore di lavoro di non adibire il lavoratore ad altre e diverse mansioni, D'altra parte, si sostiene ancora, oggetto della vertenza erano solo le differenze retributive maturate per effetto della semplice sussistenza del rapporto di lavoro.

I motivi, da trattarsi congiuntamente per evidente connessione fra essi, sono fondati.

La sentenza impugnata premette che le richieste economiche del C. afferivano a differenze retributive (14^ mensilità del 1992 e mensilità del gennaio 1993) ricadenti nel periodo di momentanea revoca del porto d'armi da parte dell'autorità amministrativa (29 maggio 1992-20 gennaio 1993), e che nel medesimo periodo "è ricaduta l'efficacia dell'ordine di reintegrazione di cui alla sentenza pretorile" "emessa per tutt'altra vicenda" e "concernente un Iicenziamento ritenuto illegittimo". Su tali dati, e in considerazione dell'attività di guardia giurata svolta dal lavoratore, il giudice di appello nega i diritti rivendicati dal lavoratore sul presupposto che sarebbe intervenuta una ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa inseritasi come fattispecie causale autonoma, ritenuta a sua volta "addirittura idonea a giustificare un nuovo e diverso licenziamento del ricorrente perché impossibilitato a svolgere le mansioni per cui era stato assunto". Donde, e nonostante il mantenimento in servizio del lavoratore da parte della società, la legittimità delle decurtazioni retributive "per difetto di sinalIagmaticità", tenuto anche conto che la società "sulla scorta degli atti e in difetto di prova contraria" doveva ritenersi impossibilitata a "beneficiare delle prestazioni del dipendente, che non era tenuta a retribuire".

La motivazione della sentenza, proprio "sulla scorta degli atti", appare evidentemente lacunosa. Sebbene non risultino in alcun modo indicati il momento (formale) della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, in esecuzione dell'ordine pretorile, né se, e con quali modalità, tale reintegrazione sia anche di fatto avvenuta, il dato fattuale non è affatto valutato dal giudice di merito, nonostante esso costituisca espressa manifestazione della volontà societaria di riammettere in servizio il lavoratore con la conseguente e implicita accettazione di ogni obbligo derivante dal ricostituito rapporto di lavoro. Né tale accettazione risulta in qualche modo posta in discussione da un qualche provvedimento (sospensione, nuovo licenziamento o altro) idoneo in tal senso, ed anzi, risulta, per una asserita intervenuta transazione - di cui, peraltro, non si indicano modalità e contenuto - che l'accettazione, da parte della società, degli obblighi derivanti dalla reintegrazione, è anche confermata dal pagamento delle retribuzioni con le sole e limitatissime limitazioni costituite dai crediti azionati (parte della 14^ mensilità e retribuzione del mese di gennaio 1993).

E' opportuno richiamare, a questo punto, il principio già formulato dalla Corte in situazione analoga, ancorché con riferimento a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma indicativo anche per il profilo dell'onere probatorio, secondo cui "il provvedimento di ritiro del porto d'armi, emesso nei confronti di lavoratore svolgente mansioni di guardia particolare giurata, può autorizzare il datore di lavoro al licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, ove dimostri che la prestazione è divenuta totalmente impossibile, occupando egli solo lavoratori addetti all'attività di guardia particolare giurata, oppure, ove lo stesso datore occupi anche personale non richiedenti alcun titolo di polizia, che egli non ha un interesse apprezzabile alla prosecuzione del rapporto, intendendosi tale "apprezzamento, ai sensi dell'art. 3 legge n. 604 del 1966, alla stregua delle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa" (Cass. 24 ottobre 2000, n. 13986).

La carenza della sentenza impugnata sul punto, per nulla contenuta dalla mera considerazione che la intervenuta mancanza del porto d'armi senz'altri elementi probatori, costituisse, da sola, impossibilità per il lavoratore di una qualsiasi prestazione lavorativa nell'ambito del ricostituito rapporto di lavoro, rende la medesima decisione meritevole della censura prospettata.

In rapporto ad essa, in accoglimento del ricorso in esame, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altro giudice di merito, che si designa nella Corte di Appello di Reggio Calabria, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Reggio Calabria.

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