Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Sentenza del 6 marzo 2009, n. 5581
Integrale
Data Udienza: 21/01/2009
Presidente Sezione: Sciarelli
Relatore: Di Nubila
Attore: Visconti
Convenuto: Comune di Roma
Pubbl. Ministero: Fuzio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GUGLIELMO SCIARELLI - Presidente -
Dott. STEFANO MONACI - Consigliere -
Dott. VINCENZO DI NUBILA - Rel. Consigliere -
Dott. GIANFRANCO BANDINI - Consigliere -
Dott. VITTORIO NOBILE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 9874-2006 proposto da:
Vi.Gi., elettivamente domiciliato in Ro., Viale Ma. (...), presso lo
studio dell'avvocato Po.Sa.,
che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
Comune di Ro., in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in Ro., Via De.Te.
Di.Gi. (...), presso ufficio Avvocatura Comunale in Ro., rappresentato e
difeso dall'avvocato Le.
Gi. giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 321/2005 della Corte d'Appello di ROMA, depositata
il 18/03/2005 R.G.
N. 6139/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/01/2009 dal Consigliere Dott.
VINCENZO DI NUBILA;
udito l'Avvocato Le.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RICCARDO
FUZIO che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Vi.Gi. conveniva il Comune di Ro. dinanzi a quel Tribunale ed esponeva
di avere prestato
servizio alle dipendenze del convenuto quale istruttore di Vigilanza e di
essere stato licenziato
in tronco il 27.7.1999. Egli era stato imputato di concussione per un
episodio accaduto il
12.2.1982, quando avrebbe indotto un imprenditore a versargli Lire 50.000
ed a promettere
ulteriori Lire 450.000 per evitare una contravvenzione. Il processo penale
si era svolto con rito
abbreviato e si era concluso con sentenza di condanna confermata in
appello e in cassazione.
L'attore contestava la legittimità del licenziamento perché esso non
poteva basarsi sul
recepimento delle risultanze del processo penale, stante il principio
della separazione dei due
giudizi; occorreva procedere ad una autonoma ricostruzione dei fatti,
anche perché il giudizio
penale aveva posto in evidenza l'assoluta impossibilità di identificazione
del Vi. nel reo.
2. Previa costituzione ed opposizione del Comune di Ro., il Tribunale
respingeva la domanda
attrice. Proponeva appello il Vi. e la Corte di Appello di Roma confermava
la sentenza di primo
grado così motivando:
- la valutazione di gravità del fatto addebitato è preclusa, non già
perché tale valutazione è
stata compiuta dal giudice penale, ma in quanto le parti stipulanti il
CCNL hanno tipizzato le
fattispecie che possono condurre al licenziamento;
- nel contesto di tale previsione, la condanna penale costituisce un fatto
in sé idoneo
all'irrogazione della sanzione espulsiva;
- non sussiste nullità della clausola contrattuale - art. 25 comma 7 del
CCNL - perché le parti
sociali possono considerare il fatto storico della condanna penale come
idoneo a far venire
meno il vincolo fiduciario, anche in relazione alla posizione rivestita
dal lavoratore nell'ambito
dell'ente.
3. Ha proposto ricorso per Cassazione Vi.Gi., deducendo due motivi.
Resiste con controricorso il
Comune di Ro.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione, a sensi
dell'art. 360 n. 3 CPC, degli artt. 112, 651, 654 Codice di Procedura
Civile, nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della
controversia, ex art. 360 n.
5 CPC: la Corte di Appello ha dato del CCNL una interpretazione estensiva,
con una valenza
maggiore rispetto alle stesse norme codicistiche, ritenendo assorbite le
ulteriori doglianze
dell'appellante, secondo le quali occorreva procedere ad autonoma
valutazione dei fatti ex artt.
651-654 CPP in applicazione del principio di autonomia del giudizio civile
da quello penale. Tale
valutazione era tanto più necessaria, in quanto il processo penale aveva
evidenziato un'
incertezza sull'identificazione del reo. Il CCNL non prevede alcun
automatismo tra condanna
penale e licenziamento.
5. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione, a sensi
dell'art. 360 n. 3 CPC, degli artt. 3 Codice di Procedura Civile e 1363
Codice Civile: la
giurisprudenza ha puntualizzato che quando un CCNL tipizza la condotta
idonea ad integrare i
presupposti della giusta causa, nondimeno il giudice è sempre tenuto a
verificare la gravità del
fatto alla luce dell'art. 2119 Codice Civile. Nella specie, doveva essere
rilevato che era stata
disposta la sospensione condizionale della pena principale e di quella
accessoria. La Corte di
Appello non doveva fermarsi al senso letterale delle parole
nell'interpretare il CCNL ed il
Comune di Ro. doveva in ogni caso procedere ad autonoma valutazione dei
fatti oggetto del
processo penale e disciplinarmente rilevanti.
6. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra
loro strettamente
connessi.
Essi risultano infondati.
7. La Corte di Appello, rilevato che il lavoratore ha riportato condanna
penale in esito a rito
abbreviato, per fatti indubbiamente gravi commessi in servizio, ha preso
atto che in tale ipotesi
l'art. 27 del CCNL prevede il licenziamento in tronco. Nella loro
autonomia, le parti sociali
hanno ritenuto che in tema di impiego pubblico la condanna penale comporta
di per sé il venir
meno della fiducia la quale presiede al rapporto di lavoro e tanto è
sufficiente per confermare la
legittimità del recesso. Il principio di autonomia tra processo penale e
processo civile non
rileva, in quanto la motivazione del recesso fa leva non solo sul fatto
storico che sia stata
irrogata al lavoratore stesso una condanna penale, ma anche sulla nuova
valutazione del fatto
oggetto di accertamento penale, anche in sede disciplinare.
8. E' noto che nell'interpretazione del contratto il criterio fondamentale
e prioritario è quello
letterale, secondo il senso delle parole usate ("ex multis" Cass.
19.6.1999 n. 6176). Soltanto
quando il senso delle parole nella loro connessione è ambiguo, potrà farsi
riferimento ad altri
criteri sussidiari, quali lo scopo perseguito ed il comportamento tenuto
prima, durante e dopo la
stipula del contratto (Cass. 29.4.1994 n. 4121). Cass. 28.8.2004 n. 18180
ha affermato che "in
tema di interpretazione del contratto ed ai fini della ricerca della
comune intenzione dei
contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso
letterale delle parole e
delle espressioni utilizzate, con la conseguente preclusione del ricorso
ad altri criteri
interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerge in modo certo
ed immediato dalle
espressione adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di
una volontà diversa; il
rilievo da assegnare alla formulazione letterale va poi verificato alla
luce dell'intero contesto
contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra
loro, dovendo procedersi
al rispettivo coordinamento a norma dell'art. 1363 Codice Civile e con
riguardo a tutta la
formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni parte ed in
ogni parola che la
compone, dovendo il giudice collegare e raffrontate tra loro frasi e
parole al fine di chiarirne il
significato" Conformi: Cass. nn. 14495.2004,13991.2000, 11404.2000,
26690.2006. Incisivo è
il precedente di questa Sezione 2.4.2002 n. 4680: "Dal sistema delle
regole ermeneutiche in
materia di contratti si desume l'esistenza di un principio di gerarchia,
nel senso che le norme
interpretative di cui agli artt. 1362-1365 Codice Civile prevalgono su
quelle interpretative
integrative di cui agli artt. 1366-1371 Codice Civile, per modo che la
determinazione oggettiva
del significato e della portata da attribuire alla dichiarazione negoziale
non ha alcuna ragione di
essere quando la ricerca soggettiva abbia condotto ad un utile risultato".
9. Nella specie, è pacificamente accertato che il Vi. era stato tratto a
giudizio - abbreviato ma a
cognizione piena in base agli atti e con possibilità di proscioglimento
oltreché di condanna a
pena diminuita - per concussione; che l'esito era stato di condanna; che
in sede penale la
responsabilità del prevenuto era stata affermata; valutato il CCNL il
quale prevede la condanna
penale come giusta causa di recesso, tenuto conto del tipo di imputazioni,
il provvedimento di
licenziamento per giusta causa è stato ritenuto legittimo con motivazione
esauriente, immune
da vizi logici o contraddizioni, talché essa si sottrae ad ogni censura in
sede di legittimità. Va
tenuto conto del fatto che la determinazione dirigenziale al riguardo
risulta avere proceduto ad
una autonoma ricostruzione e valutazione dei fatti. Quanto allo scrutinio
di legittimità della
previsione del CCNL, non appare contestabile la scelta delle parti
stipulanti di considerare
giusta causa di licenziamento l'avere riportato condanna penale per un
grave reato connesso
con l'abuso della funzione pubblica rivestita.
10. Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato. Le spese
del grado seguono la
soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Vi.Gi. a rifondere al
controricorrente Comune di Ro. le
spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 18,00 oltre Euro
tremila\00 per onorari, più
spese generali, IVA e CPA nelle misure di legge.
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