Mobbing e responsabilità del datore di lavoro
Con sentenza n. 16148 del 20 luglio 2007, la Cassazione ha affermato che il datore di lavoro risponde di responsabilità per mobbing in tutte quelle ipotesi in cui, pur sollecitato, non ha predisposto misure idonee per preservare il lavoratore da forme di "pressione" di altri colleghi.
Il risarcimento del danno può essere richiesto dal lavoratore "mobbizzato" entro 10 anni, che decorrono da quando si è manifestato il danno e non dall'inizio delle vessazioni.
Svolgimento del processo Con ricorso del 19.11.1996 R. Bruno conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Taranto Enel spa chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale e violazione dell'art. 2087 CC. Assumeva il ricorrente, dirigente della agenzia Enel di Martina Franca, che il proprio datore di lavoro, benché costantemente informato, aveva omesso di adottare gli opportuni provvedimenti per tutelare l'esponente e la moglie dalle continue aggressioni e minacce degli altri dipendenti della sede di Martina Franca, iniziate alla fine degli anni 70 e proseguite fino al novembre 1987. Per tali fatti delittuosi era stato iniziato un procedimento penale a carico di quattro dipendenti Enel per i reati di furto, ingiurie, minacce e lesioni personali, concluso in data 13 novembre 1987 con sentenza istruttoria di improcedibilità per amnistia. Lamentava il ricorrente che il datore di lavoro, benché a conoscenza dei fatti suddetti, aveva altresì omesso di accogliere le sue domande di trasferimento. Sosteneva che, in conseguenza del comportamento negligente dell'azienda e per effetto delle continue aggressioni e minacce, egli stesso aveva subito dapprima una grave debilitazione psico fisica, seguita poi da un infarto, mentre la moglie era deceduta il 16 gennaio 1992. L'Enel si costituiva ed eccepiva in via preliminare la prescrizione del diritto azionato dal dipendente. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettava la domanda per intervenuta prescrizione decennale, visto che il diritto del R. a far valere la responsabilità contrattuale della società poteva essere esercitato dalla fine degli anni settanta, epoca alla quale risalivano i primi episodi di aggressione, e che da tale data decorreva anche il termine di prescrizione, non essendovi prova di atti interruttivi anteriori alla proposizione della domanda giudiziale del 19.11.1996. L'appello proposto dal R. veniva respinto dalla Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto. La Corte territoriale osservava che il dipendente, per poter avanzare le sue pretese risarcitorie, non doveva attendere la definizione del processo penale instaurato nei confronti dei suoi aggressori, né l'aggravamento delle sue condizioni di salute. Per la cassazione di tale sentenza Bruno R. ha proposto ricorso sostenuto da un unico motivo. Enel Distribuzione s.p.a., succeduta ad Enel s.p.a., resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2087 e 2935 CC, 9 legge n. 300 del 1970, nonché vizi di motivazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver fatto decorrere il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità contrattuale “dalla fine degli anni 70” anziché dal 13.11.1987, data della sentenza penale di proscioglimento per amnistia degli autori di aggressioni e minacce nei suoi confronti. Sostiene il ricorrente che solo dalla pronuncia della predetta sentenza si è manifestata la responsabilità contrattuale del datore di lavoro per aver omesso qualsiasi misura atta a salvaguardare il proprio dipendente. Occorre premettere che il ricorrente ha precisato di agire per l'accertamento dell'inadempimento contrattuale del suo datore di lavoro e per il risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale ex art. 2087 C.C. (vedi pagg. 9 e segg. del ricorso). Nel motivo di ricorso non si fa alcun accenno ad una ipotetica responsabilità extracontrattuale dell'Enel per il decesso del coniuge Anna Rita C. Infatti non è configurabile una responsabilità contrattuale dell'Enel nei confronti di terzi estranei al rapporto di lavoro. Il problema della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento va dunque esaminato con esclusivo riferimento alla posizione del dipendente Bruno R. e nessuna rilevanza può assumere, in relazione alla domanda come sopra precisata, la data del decesso della sig.ra C.. Ciò precisato, il ricorso è fondato nei limiti delle considerazioni che seguono. Il ricorrente, che assume di aver subito una depressione psico fisica ed un infarto in conseguenza delle aggressioni e minacce subite da parte dei dipendenti dell'agenzia di Martina Franca, addebita all'Enel di non aver adottato ex art. 2087 C.C. tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del dipendente. La sentenza impugnata è condivisibile nella parte in cui ha affermato che la prescrizione non può iniziare a decorrere dal 13.11.1987, data della sentenza di proscioglimento degli imputati per amnistia, come vuole il ricorrente. Infatti il comportamento omissivo e negligente dell'azienda, che secondo le allegazioni del R. nulla ha fatto per porre fine agli episodi delittuosi in danno del dirigente posti in essere all'interno dell'agenzia di Martina Franca ed in chiara relazione con l'attività di dirigenza della vittima, prescinde dalla identificazione degli autori materiali dei fatti e dalla condanna penale dei medesimi. La sentenza è condivisibile altresì nella parte in cui afferma, conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte, che il mero aggravamento delle condizioni di salute del dipendente non vale a determinare lo spostamento del termine iniziale di prescrizione (cfr. Cass. n. 23220 del 2005, Cass. n. 3498 del 2004, Cass. n. 7937 del 2000). La sentenza impugnata non è invece condivisibile laddove afferma che il termine di prescrizione ex art. 2935 C.C. decorre dal momento in cui il diritto al risarcimento del danno può esser fatto valore e quindi, nella specie, dai primi episodi delittuosi lamentati dal R. e cioè dal 1979. In tal modo la Corte territoriale che non ha svolto alcun accertamento in fatto (né alcun accertamento in fatto ha svolto il giudice di primo grado) limitandosi all'esame della eccezione preliminare non ha tenuto conto della circostanza che il R. ha lamentato di aver subito una molteplicità di aggressioni e minacce a partire dal 1979 e fino al novembre del 1987. Allo stesso modo non ha tenuto conto che il comportamento negligente dell'azienda, in relazione ai suddetti episodi di cui il dipendente assume di aver tenuto sempre informato il datore di lavoro, si è protratto per tutto il tempo in cui i fatti criminosi di sono ripetuti. A fronte della allegazione da parte del ricorrente di fatti delittuosi protratti nel tempo e della colpevole negligenza del datore di lavoro per tutto il tempo in cui i reati sono stati commessi, ciascuno dei quali era idoneo a fondare la richiesta di risarcimento, non è conforme al diritto sostenere che in caso di pluralità di fatti illeciti protratti nel tempo il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento della commissione del primo degli episodi denunciati, poiché anche i successivi illeciti sono potenzialmente idonei a determinare una autonoma lesione del diritto e quindi a fondare una domanda di risarcimento. Neppure è conforme a diritto far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno dal fatto illecito lesivo anziché dal manifestarsi all'esterno della produzione del danno. In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sia per responsabilità contrattuale che per responsabilità extracontrattuale, questa Corte ha ripetutamente affermato che il termine di prescrizione ex art. 2935 C.C. inizia a decorrere non già dal momento in cui il fatto del terzo viene a ledere l'altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (cfr. Cass. n. 12666 del 2003, Cass. n. 9927 del 2000, Cass. n. 8845 del 1995, Cass. n. 3206 del 1989, Cass. n. 4532 del 1987). Per tutte le considerazioni sopra svolte il ricorso, dunque, deve essere accolto. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, designato in dispositivo, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e procederà a tutti gli accertamenti del caso che non risulta essere stati espletati dai giudici di merito. Provvederà il giudice di rinvio anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. PQM La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Bari. |
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