La fornitura di personale - raccordo tra la legge 1369/60 ed il d.l.vo 276/03
Con sentenza n. 2583 del 26 gennaio 2004, la terza Sezione Penale della Cassazione ha affrontato, per la prima volta, il rapporto tra il D. L.vo n. 276/2003 e le leggi precedenti che avevano vietato e, poi, parzialmente ammesso, a determinate condizioni, la fornitura di personale. Partendo da una condanna di un imprenditore ex art. 1 della legge n. 1369/1960 confermata in appello, la Suprema Corte ha effettuato una disamina della normativa, caratterizzatasi con il progressivo superamento del monopolio pubblico del collocamento, già affermato dalla legge n. 264/1949 e confermato dalla legge n. 1369/1960, avvenuto con la legge n. 196/1997 (che legittimava le imprese fornitrici di lavoro interinale autorizzate dal Ministero del Lavoro) e con l’art. 10 del D. L.vo n. 469/1997 che ha consentito, anche in questo caso previa autorizzazione ministeriale, l’esercizio della mediazione tra domanda ed offerta di lavoro. In tale quadro, ricorda la Cassazione come la legge n. 1369/1960 trovasse applicazione in caso di mediazione non autorizzata (Cass. Terza Sezione Penale, n. 1055 del 14 gennaio 2003). Passando, poi, ad esaminare le novità introdotte con il D. L.vo n. 276/2003 la Suprema Corte si è soffermata sia sull’albo ministeriale istituito in cinque sezioni, che sul contratto di somministrazione distinto da quello dell’appalto, che sull’apparato sanzionatorio previsto dall’art. 18 che, infine, sulla somministrazione fraudolenta (art. 28) finalizzata ad eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo. Alla luce delle considerazioni espresse circa le novità introdotte la Cassazione si è chiesta se, ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p., i fatti puniti dalle orme abrogate non costituiscano più reato ai sensi delle norme sopravvenute, ovvero se, ai sensi dell’art. 2, comma 3, c.p., i fatti puniti dalle norme abrogate sono ancora punibili a norma della legge sopravvenuta. La Corte ha ricordato di essersi già pronunciata, in passato, circa la permanenza della legge n, 264/1949 e della legge n. 1369/1960, pur dopo l’emanazione sia della legge n. 196/1997 che del D. L.vo n. 469/1997. Ma il problema si pone, oggi, in modo diverso atteso che il D. L.vo n. 276/2003 ha espressamente abrogato le norme sanzionatorie previste dalle prime due leggi sopra citate e le ha sostituite con nuove norme incriminatrici. Prima di entrare nel merito del problema la Cassazione ha ricordato i principi in materia di continuità normativa affermati dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 25887 del 16 giugno 2003) per i quali ricorre la c.d. “abrogatio sine abolitione” se i fatti costituenti reato secondo la legge anteriore sono punibili secondo la legge posteriore, mentre se alcuni fatti puniti dalla legge anteriore restano fuori dal perimetro normativo della nuova fattispecie penale ricorre una abrogazione con effetto parzialmente abolitivo. Alla luce di tali premesse, la Suprema Corte ha osservato che, considerate le fattispecie tipiche, quella di illecita mediazione nella fornitura di manodopera punita dall’art. 27 della legge n. 264/1949 è solo parzialmente abrogata dalla fattispecie di esercizio abusivo della intermediazione di cui all’art. 18, comma primo, secondo e terzo periodo, del D. L.vo n. 276/2003. Da ciò ne discende che i fatti di intermediazione commessi da soggetti privati non formalmente autorizzati, che erano già puniti sulla base della legge precedente, restano punibili anche con la nuova legge, con la conseguente applicazione della normativa più favorevole ex art. 2, comma 3, c.p.. Da ciò discende, altresì, che altri fatti divenuti, nel frattempo, legittimi, restano fuori dalla norma incriminatrice e non possono essere puniti neppure se commessi sotto il vigore della norma abrogata. Proseguendo nella sua disamina, la Corte ha osservato che risulta più complesso il rapporto tra la fattispecie penale già contemplata dagli articoli 1 e 2 della legge n. 1369/1960 e quella introdotta dall’art. 18 comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo, del D. L.vo n. 276/2003, in quanto appare di più incerta applicazione il criterio della coincidenza strutturale tra le due fattispecie. I primi due commi dell’art. 1 della legge n. 1369/1960 avevano una formulazione estremamente ampia e la fattispecie abrogata puniva sia il committente che l’appaltatore nelle ipotesi in cui c’era una qualsiasi prestazione lavorativa con impiego di manodopera assunta dall’appaltatore ma di fatto alle dipendenze del committente. La nuova fattispecie, invece, punisce (sempre, come prima, con un’ammenda proporzionale al numero dei lavoratori ed alle giornate lavorative) sia chi esercita attività non autorizzate, che l’utilizzatore che ricorra alla somministrazione di lavoro fornita da soggetti non abilitati o comunque al di fuori dei casi previsti dalla legge. Se si tiene presente la chiara opzione non formalistica del Legislatore per cui i contratti valgono per il loro contenuto effettivo e non per il “nomen iuris” e se si considera la distinzione tra somministrazione di lavoro ed appalto di servizi effettuata all’art. 29, secondo la quale sussiste l’appalto soltanto nel caso in cui l’organizzazione dei mezzi produttivi, la direzione dei lavoratori ed il rischio d’impresa ricadono sull’appaltatore, se ne deve concludere, ha affermato la Cassazione, che ogni volta che un imprenditore utilizzi prestazioni di lavoro fornite da altri, assumendosi però l’organizzazione dei mezzi, la direzione dei lavoratori e il rischio d’impresa si concretizza una somministrazione di manodopera che resta vietata e penalmente sanzionata se priva dei requisiti soggettivi ed oggettivi prescritti dal D. L.vo n. 276/2003. Da ciò ne consegue, da un punto di vista interpretativo che ciò che per l’art. 1, comma 3, della legge n. 1369/1960 era considerato appalto di mere prestazioni di lavoro, perché l’appaltatore impiegava capitali, macchine e attrezzature fornite dal committente, è ora qualificato come somministrazione di lavoro ed è ugualmente punito se esercitato da soggetti non abilitati o fuori dalle ipotesi previste dalla nuova legge. In questo senso, secondo i parametri precisati dalle Sezioni Unite, anche in questa ipotesi si verifica una abrogazione parziale della fattispecie penale precedente, in quanto solo alcuni fatti puniti dalla legge abrogata non costituiscono più reato (le somministrazioni di lavoro da parte di agenzie private abilitate e nei casi consentiti), mentre altri fatti continuano ad essere puniti (le somministrazioni di lavoro da parte di soggetti non abilitati o fuori dai casi consentiti, che la legge abrogata puniva come appalti di mere prestazioni di lavoro).
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