Responsabilità del datore di lavoro nella verifica del
permesso di soggiorno
Con sentenza n. 32934 del 31 agosto 2011, la I Sezione Penale della Cassazione ha affermato la responsabilità penale del datore di lavoro che, in buona fede, assume un lavoratore extracomunitario non in regola con il permesso di soggiorno.
A detta della Suprema Corte, il datore di lavoro deve sempre verificare la regolarità del documento e non "fidarsi" di ciò che gli viene detto dal lavoratore, in quanto non potrà invocazione a sua discolpa la buona fede in caso di inesattezza o insussistenza delle affermazioni del cittadino extracomunitario.
SENTENZA N.
32934 31/08/2011 - CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE I PENALE
...
omissis..
Ritenuto in
fatto
1. XXXXX/XXXXX
titolare di un'impresa edile, ha proposto ricorso per Cassazione, per il
tramite del suo difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di
Torino del 18 giugno 2010, la quale ha confermato quella del Tribunale della
sede in data 20 ottobre 2008, che ne aveva affermato la penale
responsabilità in relazione all'assunzione alle proprie dipendenze di due
lavoratori stranieri, di nazionalità rumena, privi del permesso di
soggiorno; fatto accertato in Torino il 20 settembre 2006.
1. A sostegno
dell'impugnazione in ricorso si denunzia, in primo luogo, erronea
applicazione della legge penale e vizio di motivazione, relativamente
all'affermazione di penale responsabilità del XXXXX/XXXXX da parte dei
giudici di appello, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza sia
dell'elemento psicologico che di quello materiale del reato contestato (articolo
22 comma 12, D. L. vo n. 286/1998).
1.1 Al
riguardo, nel premettere che in tema di elemento soggettivo delle
contravvenzioni, non è sufficiente la mera coscienza e volontà dell'azione o
dell'omissione, non sussistendo una presunzione iuris tantum di
colpevolezza, da parte del ricorrente si sostiene che i giudici di appello
hanno rigettato le deduzioni svolte dalla difesa sul punto con
argomentazioni incongrue, avendo per un verso, riconosciuto la buona fede
dell'imputato, il quale aveva dato credito alle rassicurazioni fornite dai
lavoratori assunti in merito alla «regolarità» della loro presenza sul
territorio italiano, salvo poi ritenere in ogni caso integrata la
sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, per avere l'imputato
colpevolmente omesso di verificare, prima dell'assunzione, l'effettivo
rilascio del permesso di soggiorno.
Quanto poi
all'elemento materiale del reato, da parte del ricorrente si sostiene che i
giudici di appello, disattendendo le deduzioni svolte nell'atto di appello
che segnalavano l'assenza di elementi di prova certa relativamente alla
irregolarità della presenza in Italia dei lavoratori assunti, incongruamente
avevano valorizzato le dichiarazioni del «teste verbalizzante», posto che lo
stesso si era limitato a riferire quanto appreso dalla questura, laddove in
atti non era possibile rinvenire alcuna informativa che attestasse lo stato
di clandestinità dei lavoratori, deponendo anzi in senso contrario la
circostanza che successivamente al fatto i due lavoratori extracomunitari,
lungi dall'essere espulsi dal territorio dello Stato, erano stati
regolarmente assunti dal XXXXX/XXXXX.
1.2 In
subordine da parte del ricorrente si deduce che il reato contestato è
comunque estinto per prescrizione.
Considerato in
diritto
1.
L'impugnazione è inammissibile perché basata su motivi non consentiti nel
giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
1.1 Quanto al
primo motivo d'impugnazione, le censure sviluppate in ricorso con
riferimento all'affermazione di responsabilità del ricorrente, nelle loro
poliformi articolazioni, si risolvono, in vero, nella sostanziale
riproposizione in sede di legittimità, di deduzioni in fatto e in diritto,
già esaminate e valutate dai giudici di appello, i quali, con motivazione
congrua ed esente da vizi logici o giuridici, ne avevano rimarcato
l'infondatezza, evidenziando, quanto all'elemento soggettivo del reato,
all'epoca di natura contravvenzionale, come l'imputato non potesse
fondatamente invocare la sua buona fede, visto che egli si era «fidato di
assicurazioni verbali dei due soggetti assunti senza pretendere l'esibizione
del prescritto permesso di soggiorno», con ciò implicitamente uniformandosi,
per altro, all'insegnamento di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 37409 del
25/10/2006, dep. il 13/11/2006, Rv. 235083, imp. Grimaldi), secondo cui «la
responsabilità del datore di lavoro che assume alle proprie dipendenze uno
straniero privo del permesso di soggiorno non è esclusa dalla buona fede
invocata per aver preso visione della richiesta di permesso di soggiorno
avanzata dallo straniero»; eventualità questa, per altro, neppure mai
evocata dal XXXXX/XXXXX ritenuto colpevole non già in forza di presunzioni
ma a ragione della circostanza in fatto, assolutamente pacifica, che
l'imputato non aveva effettuato alcuna verifica in merito alle interessate
dichiarazioni dei lavoratori relativamente alla regolarità della loro
permanenza nel territorio dello Stato.
Quanto poi
all'elemento materiale del reato, incontestato il fatto storico
dell'avvenuta assunzione da parte del XXXXX/XXXXX dei lavoratori
extracomunitari, è agevole rilevare che la circostanza che i predetti, al
momento dell'assunzione, fossero effettivamente privi di regolare permesso
di soggiorno, è stata desunta dai giudici di merito dalla deposizione di un
teste qualificato, che ha riferito in merito agli accertamenti effettuati
presso (a questura di Torino, la quale non risulta contrastata da
allegazioni documentarie di segno contrario, posto che l'avvenuta
regolarizzazione della posizione dei lavoratori stranieri successivamente
all'accertamento dell'illecito, anche a seguito dell'adesione della Romania
all'Unione Europea, come correttamente rilevato dai giudici di appello,
rappresenta un dato di per sé inconferente non escludendo esso la
sussistenza della condotta antigiuridica dell'imputato né la punibilità del
reato a lui contestato
(in termini S.
U., sentenza n. 2451, del 27/9/2007, dep. il 16/01/2008, Rv. 238197, imp.
Magera).
1.2
Manifestamente infondata deve ritenersi anche l'eccezione di prescrizione,
ove si consideri che la condotta contestata all'imputato risulta accertata
il 20 settembre 2006 e che la sentenza impugnata è stata pronunciata il 18
giugno 2010, prima quindi dello spirare del termine di prescrizione di anni
quattro, e ciò a prescindere dall'esistenza di fatti interruttivi o cause di
sospensione, con la conseguenza che l'inammissibilità del ricorso dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione e preclude, in ogni caso, la possibilità di
rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo
129 cod. proc. pen.
(così ex multis,
Cassazione, Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000, dep. il 21/12/2000, Rv.
217266, rie. De Luca).
2. Alla
dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge
del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla
cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell'assenza di
colpa (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente
determinabile in € 1000,00.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Direzione Provinciale del Lavoro di Modena - Sentenze di Cassazione Lavoro - www.dplmodena.it