Interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno dall’inizio della gestazione
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, con interpello n. 51 del 5 giugno 2009, ha risposto ad un quesito dell'Università degli Studi di Perugia, in merito alla permanenza del divieto, sancito dall’art. 16 del D.Lgs n. 151/2001, di adibire al lavoro una donna, con contratto di formazione specialistica stipulato ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs n. 368/1999, durante il periodo di congedo obbligatorio post partum, nel caso di interruzione della gravidanza, con espressa rinuncia della lavoratrice al diritto di godere del periodo di astensione predetto, corredata dei certificati rilasciati sia dal medico curante sia dal medico competente, comprovanti il suo stato di buona salute.
La risposta in sintesi:
"...
Ne consegue che il divieto di cui all’art.
16 del D.Lgs n. 151/2001 permane anche nei casi di interruzione spontanea o
terapeutica della gravidanza avvenuta successivamente al 180° giorno dall’inizio
della gestazione, in quanto circostanza equivalente al parto. La lavoratrice non
potrà, pertanto, essere adibita al lavoro, nel periodo di astensione
obbligatoria successivo all’evento interruttivo, evento coincidente non con la
morte del nascituro, bensì con l’espulsione del feto (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav.,
n. 3993/1984), con conseguente diritto all’indennità di maternità, così come già
precisato dall’INPS con le circolari n. 134382/1982 e n. 139/2002.
Tale disciplina trova applicazione anche nell’ipotesi di contratto di formazione
specialistica stipulato ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs n. 368/1999, fattispecie
quest’ultima prospettata dall’interpellante, attesa la riconosciuta
estensibilità delle disposizioni dettate dal D.Lgs n. 151/2000, in materia di
congedo di maternità, con l’unica differenza che, durante il periodo di
sospensione, alla donna spetterà esclusivamente la parte fissa del trattamento
economico, così come determinata dal’art. 39 del D.Lgs n. 368/1999 (v. risposta
ad interpello n. 64/2008).
Appare opportuno, infine, precisare che il divieto di adibizione in questione
non decade né in presenza dell’esplicita rinuncia della lavoratrice al diritto
di fruire del periodo di congedo obbligatorio post partum, trattandosi di
diritto indisponibile, né tantomeno in presenza dell’attestazione da parte del
medico curante e/o del medico competente dell’assenza di controindicazioni alla
ripresa dell’attività lavorativa. L’inosservanza al predetto divieto, infatti,
costituisce ipotesi di reato penalmente sanzionata, indipendentemente
dall’accertamento in concreto delle condizioni psicofisiche della puerpera,
poiché l’illecito ricorre sulla base della semplice presunzione, operata dal
Legislatore, della idoneità della condotta a ledere, o semplicemente mettere in
pericolo, la salute della lavoratrice nel periodo di congedo post partum. In tal
senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità riconoscendo che “lo
stato effettivo di salute della donna in tale periodo può risultare indifferente
al datore di lavoro considerata l’obbligatorietà in ogni caso dell’astensione
dal lavoro” (v. Cass. civ., Sez. Lav. n. 2466/2000).”.
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