Stato crisi cooperative e provvedimenti conseguenti
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, con interpello n. 7 del 6 febbraio 2009, ha risposto ad un quesito dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane, in materia di incrementi contrattuali (ferie, permessi, ROL, ex festività, 13° e 14° mensilità e TFR), in presenza di crisi aziendale, in relazione alla possibilità di un differimento temporale nella fruizione dei medesimi.
La risposta in sintesi:
".... Al riguardo va richiamata anche la
disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo 6 della Legge in esame la
quale, nello stabilire il principio generale dell’inderogabilità in pejus del
trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1, prevede esplicitamente
alcune eccezioni tra cui proprio quelle conseguenti alla deliberazione del
“piano di crisi aziendale”.
Queste due ipotesi, però, presuppongono in primo luogo l’esistenza di un
regolamento della cooperativa ai sensi dell’art. 6 della L. n. 142/2001 (in
merito all’impossibilità di ricorrere agli istituti in esame in assenza del
regolamento questo Ministero si è già espresso con circ. 10 marzo 2004, n. 10) e
in secondo luogo la legittima deliberazione da parte dell’assemblea di un “piano
di crisi aziendale” che disponga anche ai sensi ai sensi dell’art. 6, comma 1,
lettere d) ed e) della stessa legge. Questa deliberazione ha dunque natura e
carattere di eccezionalità e si collega eziologicamente ad una oggettiva e
riconoscibile situazione di crisi. Al riguardo, quindi, si ritiene che, al fine
di evitare possibili abusi a danno dei soci lavoratori, la deliberazione del
“piano di crisi aziendale” debba contenere elementi adeguati e sufficienti tali
da esplicitare:
- l’effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi
straordinari consentiti dalla legge;
- la temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi;
- uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e
l’applicabilità ai soci lavoratori degli interventi in esame.
Con riferimento, dunque, al ricorso a ciascuna delle ipotesi di gestione della
crisi aziendale da parte della società cooperativa, si deve però precisare
quanto segue. L’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 1, lett. d), ha ad oggetto
solo la “possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici
integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell'articolo 3” e cioè del ristorno.
Invece, l’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 1, lett. e), concerne il
conferimento di “forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori,
alla soluzione della crisi”. Pertanto, non potendosi escludere, secondo la
lettera della legge, la legittimità di un conferimento economico disposto dalla
delibera assembleare che ad es. preveda il conferimento di parte della
retribuzione attraverso la riduzione della retribuzione anche sotto il minimo di
cui all’art. 3 comma 1, si ritiene però che la cooperativa debba comunque
procedere con trasparenza, nel rispetto delle regole democratiche della
deliberazione assembleare, garantendo la leale e corretta informazione
preventiva a tutti i soci lavoratori in merito agli effetti retributivi della
adozione della delibera del piano di crisi aziendale. Inoltre, si precisa che
l’art. 6, comma 1, lettera e), vincola la legittimità del conferimento del socio
lavoratore al fatto che esso sia determinato “in proporzione alle disponibilità
e capacita finanziarie” del socio lavoratore stesso, nel senso che, in assonanza
con la lettera dell’art. 53 della Costituzione che per altra materia richiama i
principi di proporzionalità e di progressività, l’entità dei sacrifici economici
deve essere rapportata nel “quantum” alla capacità economica dei singoli soci
lavoratori.
Si ritiene poi che le due disposizioni, entrambe giustificate dall’ipotesi di
“piano di crisi aziendale” deliberato dall’assemblea, debbano comunque essere
lette l’una alla luce dell’altra, al fine di valutare le peculiarità di
ciascuna. Infatti, mentre nel caso dell’art. 6, comma 1, lettera d), il socio
lavoratore affronta una vera e propria perdita retributiva per tutto il
perdurare della crisi, che però è espressamente limitata nel quantum ad una
riduzione “dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b),
dell'articolo 3”, l’“apporto anche economico” di cui alla successiva lettera e)
può incidere anche sui trattamenti retributivi minimi, così come previsto
dall’art. 6, comma 2.
Secondo la lettura sistematica proposta dunque e sempre al fine di evitare
possibili abusi a danno dei soci lavoratori, si ribadisce il carattere di
eccezione della norma in esame, nella parte in cui consente deroghe al
“trattamento economico minimo” previsto dalla contrattazione collettiva e dunque
l’impossibilità dell’estensione analogica delle ipotesi legali, nonché
conseguentemente delle disposizioni del regolamento della cooperativa che ne
costituiscono l’attuazione.
Con riferimento poi alla deliberazione del piano di crisi, inoltre, in risposta
al quesito inerente la possibilità di ricondurre detto strumento alla disciplina
della L. n. 223/1991, si precisa che quest’ultima regolamenta le modalità e gli
strumenti per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dei casi di crisi
aziendale. Si tratta di una disciplina generale che non rileva nel caso
dell’esercizio, da parte dell’assemblea dei soci lavoratori, della facoltà di
formulare un piano di crisi, uno strumento societario, cioè, non riconducibile
alle procedure di ammortizzazione sociale di cui alla L. n. 223/1991.
Il predetto piano di crisi aziendale consiste, dunque, in uno strumento di
natura prettamente endo-societaria con il quale i soci, riuniti in assemblea,
decidono le soluzioni da adottare per far fronte alle difficoltà emergenti.
Il Legislatore non fornisce indicazione riguardo il significato dell’espressione
“piano di crisi aziendale”, riconoscendo all’assemblea della cooperativa la più
ampia libertà di intervenire per preservare il benessere economico ed i livelli
occupazionali della società.
Diversa situazione si pone quando l’impresa cooperativa opta per utilizzare le
procedure di cui alla L. n. 223/1991 per dichiarare lo stato di crisi.
La possibilità è prevista dalla citata Legge anche per imprese cooperative che
dovranno, in base ai criteri di approvazione dei programmi di crisi aziendale di
cui al D.M. 18 dicembre 2002, attivare le corrette procedure del caso.
Il peso finanziario che lo Stato è chiamato a sobbarcarsi con l’erogazione degli
ammortizzatori sociali comporta che la P.A. intervenga al fine di verificare la
sussistenza delle condizioni per ottenere l’integrazione salariale.
Infine, per quanto concerne la richiesta di chiarimenti sui provvedimenti che
possono essere adottati dal personale ispettivo delle Direzioni provinciali del
lavoro si precisa che – fatta salva la competenza del Ministero dello sviluppo
economico per quanto attiene i requisiti e la situazione economica e gestionale
delle cooperative – detto personale, anche in tale ambito, esercita le proprie
competenze in materia di lavoro e legislazione sociale ai sensi degli artt. 6 e
7 del D.Lgs. n. 124/2004 come nei confronti della generalità dei datori di
lavoro.".
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