Conciliazione ex art. 410 cpc: individuazione dell'oggetto 

 

 

Con sentenza n. 15371 del 14 ottobre 2003 la Cassazione ha affermato che nella interpretazione delle conciliazioni intervenute ex art. 410 cpc (in sede amministrativa avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita presso la Direzione provinciale del Lavoro o in sede sindacale) occorre fare ricorso ai normali canoni di interpretazione contrattuale (articoli 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c.) che prevalgono su quelli interpretativi – integrativi (articoli 1366, 1367, 1368, 1369, 1370 e 1371 c.c.). Da ciò ne consegue che laddove il senso della scrittura è chiaro non occorre far riferimento ad altri criteri. Il problema nasceva dal fatto che in una transazione in sede sindacale, pur essendo stati enumerati in premessa tutta una serie di istituti contrattuali oggetto della controversia, poi riportati nella conciliazione, era stata inserita la frase, generica, con cui il ricorrente, accettando la somma versata dal datore di lavoro, dichiarava di non aver più nulla a pretendere “rinunciando, altresì, ad ogni eventuale altro diritto, azione, comunque direttamente od indirettamente connessi con il decorso rapporto di lavoro”. In data successiva a tale conciliazione il lavoratore chiedeva il risarcimento per danno biologico, rispetto al quale il datore di lavoro si opponeva sostenendo la inammissibilità della richiesta per intervenuta transazione e rinuncia espressa in calce al verbale di accordo. La Cassazione, riformando la sentenza di Appello che pur aveva riconosciuto il risarcimento per danno biologico ma aveva ritenuto lo stesso compreso nella rinuncia sottoscritta nella conciliazione, ha sostenuto la piena validità del canone ermeneutico prioritario, per cui quando dal significato delle parole risulti chiaro l’oggetto della transazione, ciò deve essere ritenuto sufficiente. Nel caso di specie, osserva la Suprema Corte, il tenore letterale contempla, analiticamente, le rivendicazioni oggetto della conciliazione (inquadramento, differenze retributive, lavoro straordinario, trattamento di fine rapporto, ecc.) ma non menziona affatto il diritto al risarcimento per danno biologico. E questo è stato ritenuto sufficiente per accogliere la domanda del lavoratore. La Corte si è, poi, soffermata sul significato da dare alla quietanza liberatoria inserita il calce al verbale. Essa è una mera manifestazione del convincimento oggettivo del lavoratore di essere stato soddisfatto per quanto oggetto di controversia e non è idonea ad impedire l’azione giudiziaria per far valere altri diritti non compresi esplicitamente nella transazione.

 

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