SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 26 marzo - 17 giugno 2003 il Tribunale di Milano dichiarava
inammissibile il ricorso in opposizione proposto da tre lavoratori
dipendenti della SEA di Milano avverso la ordinanza ingiunzione emessa
dalla Direzione Provinciale del lavoro che aveva ingiunto loro il
pagamento della somma complessiva di lire 610,000 ciascuno, per non avere
ottemperato all'ordinanza di precettazione del Prefetto di Milano,
partecipando allo sciopero del 19 gennaio 2001.
Il Tribunale di Milano rilevava che doveva dirsi fondata l'eccezione di
carenza di legittimazione passiva del Prefetto - unico soggetto convenuto
in giudizio dai tre lavoratori - nella sua qualità di rappresentante di
una amministrazione, quella dell'Interno, diversa da quella che aveva
emesso l'ordinanza ingiunzione (Lavoro) e che aveva emesso un atto che -
almeno per quel che qui interessa - non aveva alcuna rilevanza esterna
autonoma.
La legittimazione passiva, infatti, era solo in capo all'autorità
periferica che aveva emesso l'ordinanza nel giudizio disciplinato dagli
articoli 22 e seguenti della legge n. 689 del 1981.
Né poteva invocarsi nel caso di specie l'errore scusabile secondo i
principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa poichè la norma
prevedeva (chiaramente) che l'ordinanza fosse emessa da un organo
periferica di una branca dell'amministrazione statale bene individuata,
del tutto diversa da quella convenuta in giudizio. Avverso tale decisione
i tre lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da tre
distinti motivi. Resiste il Ministero dell'Interno con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il
primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione
dell'art. 9 della legge n. 146 del 1990, cosí come riformato dalla legge
n. 83 del 2000, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o
rilevabile di ufficio.
L'art. 8 della legge n. 83 del 2000, pur apportando alcune modifiche
all'art. 9 della legge 146 del 1990, non ha assolutamente abrogato il
comma quarto di quest'ultimo, secondo il quale: "4. Le sanzioni sono
imposte con decreto della stessa autorità che ha emanato l'ordinanza.
Avverso il decreto è proponibile impugnazione ai sensi degli articoli 22 e
seguenti della legge n. 689 del 1981".
In altre parole, il quarto comma dell'art. 9 è la norma che disciplina
l'impugnazione della sanzione ed essa certamente prevale, ai fini della
individuazione delle modalità di impugnazione, sul primo comma, che ha
solo disposto nuove e diverse modalità di comunicazione del decreto
prefettizio, limitandosi a regolare le attività formative dell'atto:
"1. L'inosservanza da parte
dei singoli prestatori di lavoro, professionisti o piccoli imprenditori,
delle disposizioni contenute nell'ordinanza di cui all'articolo 8, è
assoggettata alla sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di
mancata ottemperanza, determinabile, con riguardo all'infrazione ed alle
condizioni economiche dell'agente, da un minimo di lire 500.000 ad un
massimo di lire 1.000.000. Le organizzazioni dei lavoratori, le
associazioni e gli organismi di rappresentanza dei lavoratori autonomi,
professionisti e piccoli imprenditori, che non ottemperano all'ordinanza
di cui all'articolo 8 sono puniti con la sanzione pecuniaria da lire
5,000.000 a lire 50.000.000 per ogni giorno di mancata ottemperanza, a
seconda della consistenza economica dell'organizzazione, associazione o
organismo rappresentativo e della gravità delle conseguenze
dell'infrazione. Le sanzioni sono irrogate con decreto della stessa
autorità che ha emanato l'ordinanza e sono applicate con
ordinanza-ingiunzione della Direzione Provinciale del Lavoro".
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano nuovamente violazione e
falsa applicazione dell'art. 9 della legge 146 del 1990, come novellata,
nonchè degli articoli 22 e seguenti della legge n. 689 del 1981 ed omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio.
Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, nel prevedere
che la sanzione amministrativa irrogata con decreto prefettizio venga ora
applicata con ordinanza ingiunzione della Direzione Provinciale del
Lavoro, il legislatore non ha voluto affatto introdurre un procedimento
amministrativo piú complesso, né eliminare ogni rilevanza al decreto
prefettizio.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione dell'art. 4 della legge n. 260 del 1958, nonchè omessa,
insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio. Il
Tribunale ha dichiarato inammissibile l'azione intrapresa dai lavoratori
per il fatto che non era stata evocata in giudizio anche la Direzione
Provinciale del Lavoro. I ricorrenti rilevano, per contro, che l'art. 9
della legge n. 146 del 1990 è chiaro neh"individuare nel decreto
prefettizio l'unico atto impugnabile, con l'effetto che unico legittimato
passivo non può che essere il Prefetto che ha emanato l'atto. In ogni
caso, se avesse ritenuto diversamente, il Tribunale ben avrebbe potuto
(dovuto) rimettere i ricorrenti in termini, al fine di permettere la
notifica del ricorso alla Direzione Provinciale del Lavoro, secondo le
previsioni dell'art. 4 della legge n. 260 del 1958, per il quale l'errore
di identificazione della persona alla quale l'atto introduttivo del
giudizio deve essere notificato, va eccepito dalla Avvocatura dello Stato
entro la prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona
alla quale l'atto stesso deve essere notificato.
I tre motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto connessi tra di loro,
sono fondati.
Le argomentazioni svolte dal Tribunale di Milano nella sentenza impugnata
considerano il decreto del Prefetto come atto presupposto dell'ordinanza
ingiunzione, unico atto impugnabile direttamente davanti al giudice
ordinario.
Il Collegio non condivide tale impostazione, ritenendo invece che le
modifiche introdotte dalla legge del 2000 non abbiano modificato in alcun
modo l'attribuzione delle competenze, ai fini dell'impugnazione delle
ordinanze ingiunzione relative alle sanzioni previste in ipotesi di
violazione di provvedimenti del Prefetto, emanati ai sensi della legge n.
146 del 1990.
La modifica apportata all'ultima parte del comma 1 dell'art .9 della legge
146 del 1990 attribuisce alla Direzione Provinciale del Lavoro una
competenza a curare l'esecuzione del provvedimento, sgravando cosí il
Prefetto non solo dai relativi compiti, ma anche dagli adempimenti
successivi (cfr. comma 3 dello stesso articolo), senza che ciò determini
in alcun modo uno spostamento della legittimazione passiva, la cui
attribuzione alla Direzione Provinciale del Lavoro sarebbe - tra l'altro -
del tutto irrazionale e tale da frustrare la stessa effettività di ogni
difesa dell'Amministrazione.
In altre parole, l'ordinanza ingiunzione della Direzione Provinciale del
lavoro si sostanzia in un atto di "mera comunicazione" inserito nel nuovo
iter stabilito dal legislatore al solo fine di rendere piú celere il
procedimento sanzionatorio.
La Direzione Provinciale non esercita alcun potere ordinatorio o
sanzionatorio, limitandosi a notificare l'importo da pagare, secondo
quanto deciso dal Prefetto, ed, a curarne l'esecuzione. Poichè in sede di
impugnazione della sanzione amministrativa dinanzi al giudice ordinario, a
quest'ultimo è richiesto di accertare la legittimità - o meno - del
provvedimento impugnato, e quindi, in ultima analisi, se l'autorità
competente abbia, o meno, irrogato la sanzione nei modi e nel limiti
stabiliti dalla legge, legittimata passi non può che essere l'autorità che
ebbe ad emettere il provvedimento, esercitando lo specifico potere
sanzionatone.
Tra l'altro, nel giudizio di opposizione all'ordinanza ingiunzione, i
ricorrenti avevano impugnato sia il decreto prefettizio che l'ordinanza
ingiunzione.
Correttamente, pertanto, i ricorrenti hanno chiamato in giudizio il
Prefetto competente.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata
cassata con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame,
provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la
sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano, anche per le spese.
Cosí deciso in Roma, il 12 aprile 2005. |