Permessi sindacali non soggetti a controllo
Con sentenza n. 11759 del 1° agosto 2003, la Cassazione ha affermato che non è consentito, attraverso la contrattazione collettiva, rendere facoltativa la concessione dei permessi di cui all'articolo 30 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero condizionare il riconoscimento del diritto, all’assenza di impedimenti di ordine tecnico/aziendale, devoluti alla discrezionale valutazione del datore di lavoro, risultando in tal modo pregiudicato l’interesse, costituzionalmente garantito, sotteso all’articolo 30 dello statuto. La Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittima una domanda di usufruire del suddetto permesso che faceva riferimento ad un impegno sindacale ai sensi ed agli effetti contrattuali delle leggi in vigore, ciò alla luce della clausola contrattuale che prevedeva l’onere di corredare la stessa di permesso dell’indicazione delle ragioni giustificative. La Cassazione ha innanzitutto ripercorso il proprio orientamento in tema di permessi sindacali, ricordando che i permessi di cui agli articoli 23 e 24 si differenziano da quelli ex articolo 30 Statuto dei lavoratori per spettare i primi a coloro che possono definirsi, seppure con qualche approssimazione, "sindacalisti endo-aziendali", cioè a coloro che sono deputati a svolgere la propria attività all’interno dell’impresa, e per essere invece i secondi riconosciuti a quanti possono qualificarsi "sindacalisti extra-aziendali" cui i benefici in questione vengono attribuiti in ragione soprattutto del necessario coordinamento tra singole unità produttive e centri decisionali a carattere territoriale delle organizzazioni sindacali, ed in considerazione altresì dell’esigenza che rivendicazioni lavorative locali e settoriali vengano filtrate ed armonizzate nel più ampio quadro delle politiche generali delle suddette organizzazioni. Nella indicata differenziazione trova fondamento, pertanto, la statuizione secondo cui i permessi sindacali previsti dall’articolo 30 Statuto dei lavoratori per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti interni, collegati genericamente all’esigenza di espletamento del loro mandato e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire dell’aspettativa sindacale sicché l’utilizzazione per finalità diverse dei permessi giustifica la cessazione dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro che è abilitato ad accertare la effettiva sussistenza dei presupposti del diritto. Secondo la Cassazione, al datore di lavoro, a fronte dello stato in cui versa che lo costringe a concedere i permessi, spetta il diritto al controllo volto ad accertare l’effettiva partecipazione dei sindacalisti, destinatari di tali permessi, alle riunioni degli organi direttivi (nazionali o provinciali). Tale diritto non può però accompagnarsi a formalismi o adempimenti capaci, per le loro modalità, di limitare l’attività sindacale e di impedire ai dirigenti di svolgere in piena libertà ed autonomia, i propri compiti. In altri termini, il controllo non può concretizzarsi in condotte volte ad accertare in via preventiva se la richiesta dei permessi sia o meno indirizzata alla partecipazione alle riunioni. Non è cioè consentito fare dipendere - come si fosse in presenza di qualche atto autorizzativo - la concessione dei permessi ad un preliminare esame della relativa domanda e da una positiva valutazione del suo contenuto. E' invece legittimo che le parti sociali di comune accordo e nella loro autonomia privatistica stabiliscano regole comportamentali che, pur agevolando il controllo, non incidano però in maniera sostanziale sul diritto, rendendone gravoso o limitandone incisivamente l’esercizio.
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